Pena di morte, le due facce di Amnesty
Presentato l'annuale Rapporto, ma Amnesty International mentre combatte la pena di morte, lotta perché anche l'aborto sia riconosciuto come un diritto umano. Schizofrenia che condivide con la gran parte delle agenzie umanitarie.
Puntuale come ogni anno è arrivato il Rapporto di Amnesty International sulla pena di morte. E ci dice che continua la tendenza positiva verso l’abolizione della pena capitale anche se ci sono dei passi indietro, come in Iraq. Il Rapporto ci informa poi che le esecuzioni nel 2012 sono state 682, divise in 20 paesi. A parte va conteggiata la Cina che, da sola (21esimo paese), mette a morte più persone di tutti gli altri Paesi messi insieme, ma non fornisce alcuna cifra ufficiale. Secondo Amnesty si tratta di migliaia.
Bene, certamente non possiamo non rallegrarci del calante ricorso alla pena di morte, anche se il tema meriterebbe di essere approfondito meglio. In questa sede però vorremmo cogliere l’occasione del Rapporto per mettere in evidenza la schizofrenia delle agenzie umanitarie, a partire proprio da Amnesty. La quale si attiva tantissimo per mettere fine alla pena di morte e poi non solo non dice nulla sugli aborti, ma addirittura da anni fa campagna all’Onu – e in singoli paesi - per far riconoscere l’aborto come diritto. Ma come: ci si addolora tanto per la messa a morte di un adulto – che magari avviene dopo un regolare processo per un grave reato – e poi si è addirittura in favore dell’eliminazione del più vulnerabile, del più innocente, del più indifeso tra gli esseri umani?
Eppure è così. Prendete la Cina: grandi denunce sulla pena di morte, poi ogni anno si praticano quasi 10 milioni di aborti, in molti casi forzati, e se si spende una parola è soltanto per censurare i modi eccessivamente violenti in cui si persegue lo scopo. Insomma, da una parte si invocano i diritti umani per evitare la morte di poche migliaia di uomini l’anno e dall’altra si invocano gli stessi diritti umani per fare fuori nello stesso periodo di tempo 50 milioni di esseri umani nel grembo della propria madre (tanti sono gli aborti ogni anno nel mondo). Come è possibile una tale follia?
Il punto è che negli ultimi decenni è maturata una visione perversa dei diritti umani, figlia di una concezione ridotta dell’uomo. Non si può parlare di diritti umani se non riconoscendo l’unicità dell’uomo e il suo destino, che va oltre la vita materiale e che lo fa più grande di ogni altra creatura. Non si può non riconoscere che l’uomo – ogni uomo, di ogni tempo e di ogni cultura – ha una legge inscritta nel suo cuore, che viene prima di ogni legge stabilita dagli uomini, e che deve essere riconosciuta e rispettata. Da qui nasce la sacralità e l’irriducibilità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale.
A questa visione, che è poi alla base della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (1948), si è sostituita una concezione “positiva” dei diritti umani, che non sono più universali ma sono determinati dalla cultura. Ecco allora che oggi si parla di “nuovi diritti umani”, e tra questi le ben note lobby inseriscono i diritti riproduttivi (quindi contraccezione e aborto). Ma se non c’è una legge naturale, universale, si entra nel campo dell’arbitrio, alla fine è il potere che stabilisce quali siano i diritti da perseguire. Ed è quello che sta accadendo.
Ed è così che ci si può spendere tranquillamente contro la pena di morte per alcuni e a favore della pena di morte per tantissimi altri. Ed è triste riconoscere che a inseguire il consenso e il riconoscimento del potere mondano ci sono anche importanti gruppi cattolici che profondono enormi risorse contro la pena di morte, ma non spendono una sola parola per i bambini non nati.
In ogni caso, questa schizofrenia riguarda tante agenzie cosiddette umanitarie, il cui “umanesimo senza Dio” si rivolge inevitabilmente contro l’uomo, come ci hanno ricordato tante volte Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Basterebbe qui citare la già nota Unicef o anche Save the Children, che in Italia è sempre più presente nel lanciare appelli per salvare i bambini dei paesi poveri, salvo poi essere in prima linea nei programmi di controllo delle nascite lautamente finanziati dai miliardari americani.