Pell, la preghiera e l’attesa per il verdetto definitivo
L’11 marzo l’Alta Corte discuterà il ricorso di George Pell contro la condanna a sei anni per abusi su minori, emessa malgrado le molte incongruenze dell’accusa. In Australia continua il clima ostile verso di lui: la comunità Lgbt lo dileggia e raffigura come diavolo. Ma ci sono anche molti fedeli che lo sostengono e che hanno iniziato una novena per lui. Si chiede l’intercessione della Madonna e dei santi martiri Tommaso Moro e Giovanni Fisher, di cui il cardinale è devotissimo
Si avvicina l’11 marzo, giorno in cui l’Alta Corte australiana discuterà il ricorso del cardinale George Pell contro la sentenza che lo ha condannato a sei anni di detenzione per abusi su minori. Per il prefetto emerito della Segreteria per l’Economia è l’ultima possibilità di veder riconosciuta l’innocenza proclamata sin dall’inizio del suo calvario giudiziario.
Tre anni fa, nella solennità dei santi Pietro e Paolo, l’allora ‘tesoriere’ del Vaticano annunciò nel corso di una conferenza stampa a Roma che sarebbe tornato in Australia per difendersi in aula dalle accuse di reati sessuali. Una decisione presa nonostante la possibilità di avvalersi del passaporto diplomatico che gli avrebbe consentito di rimanere all’interno delle Mura Leonine, evitando un eventuale mandato di cattura e nella piena consapevolezza del clima a lui - e alla Chiesa cattolica più in generale - non favorevole, clima creato dai media in patria.
In più articoli la Nuova Bussola si è occupata del caso, mettendo in evidenza le incongruenze delle accuse contro l’ex arcivescovo di Sydney e l’evoluzione processuale della vicenda culminata nella condanna pronunciata a maggioranza (2-1) dalla Corte d’Appello di Victoria. In quest’occasione, però, c’è stato il significativo distinguo di Mark Weinberg - uno dei tre giudici della Corte - che in una lunga e approfondita relazione si è opposto al verdetto, avanzando dei dubbi sulle prove portate dall’accusa ed evocando il principio dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”.
Qualora il suo appello venisse respinto, il cardinale Pell dovrà scontare almeno altri due anni e otto mesi di detenzione. Attualmente si trova nel carcere di massima sicurezza di Barwon, dove è stato trasferito a gennaio dopo che la polizia aveva sorpreso un drone intento a sorvolare il penitenziario di Melbourne, la struttura in cui era detenuto da quasi un anno. Gli autori del gesto volevano probabilmente catturare immagini dell’ex “numero tre” del Vaticano con la divisa arancione da prigioniero. Questo episodio dà l’idea dell’attenzione morbosa dei media australiani per questo caso e del clima di “caccia alle streghe” che essa ha contribuito a creare nel Paese.
Un’altra dimostrazione di ciò è arrivata pochi giorni fa durante il “Sydney Gay and Lesbian Mardi Gras” organizzato dalla comunità Lgbt australiana e che ha visto sfilare anche costumi che dileggiavano Pell, ritratto incatenato e affiancato da un diavolo.
Il cardinale sta vivendo nella sua nuova cella l’attesa per la decisione dei sette giudici che si riuniranno in udienza l’11 marzo. Probabilmente dovrà aspettare settimane prima di sapere l’esito della richiesta d’appello presentata dai suoi legali. Un tempo che trascorrerà in preghiera, così come alla preghiera si affidano parenti, amici e i tanti sostenitori della sua innocenza.
Ieri è stato il primo giorno della Novena speciale per i bisogni spirituali e temporali del cardinal Pell (vedi qui) che si concluderà il 10 marzo. L’iniziativa è partita dalla parrocchia “San John Henry Newman” dell’arcidiocesi di Melbourne e subito rilanciata dai collaboratori più stretti del prefetto emerito della Segreteria per l’Economia. Ci si affida all’intercessione della Madonna e di san Tommaso Moro e san John Fisher - i due santi preferiti del porporato australiano - affinché nell’udienza che si aprirà l’11 marzo possa prevalere la giustizia.
Queste due figure di santi, di cui Pell è grande conoscitore, lo stanno aiutando nei giorni difficili della sua prigionia. Una passione, quella per il patrono dei politici, che in Pell, già studioso esperto dell’esperienza dei cattolici martirizzati sotto il regno di Enrico VIII, si rafforzò all’inizio degli anni Novanta grazie all’incontro con padre Vincent Hongsheng Zhu, un gesuita cinese che per la sua fedeltà a Roma trascorse 31 anni tra le celle e i campi di lavoro del regime comunista di Pechino. Il futuro cardinale rimase particolarmente colpito dal racconto del religioso sopravvissuto e specialmente dalla forza nella fede che gli aveva consentito di non avere paura dei carcerieri e di resistere durante quell’ingiusta prigionia.