Pedofilia, la tolleranza zero viene da Benedetto XVI
Sul caso dell’arcivescovo Józef Wesolowski, arrestato dalla gendarmeria vaticana con l'accusa di atti di pedofilia, abbiamo letto sui giornali una serie di stranezze. Prima fra tutte, quella di una presunto giro di vite attribuito a Papa Francesco. In realtà, le severe norme in vigore sono state promulgate già da Papa Benedetto XVI.
Sul caso dell’arcivescovo polacco Józef Wesolowski, già nunzio apostolico a Santo Domingo, arrestato dalla gendarmeria vaticana in quanto accusato di atti di pedofilia compiuti quando era diplomatico, abbiamo letto sui giornali italiani una serie di stranezze che dimostrano una scarsa conoscenza sia del diritto della Santa Sede sia della questione dei sacerdoti pedofili. Molti per applaudirla, e qualche «ateo devoto» per deplorarla, hanno parlato di una svolta radicale nella lotta alla pedofilia voluta da Papa Francesco, sostenendo anche che la Chiesa, dopo averlo a lungo combattuto nelle sedi internazionali e nei tribunali, ora accetterebbe il punto di vista dell’Onu per cui la Santa Sede è responsabile degli atti di pedofilia compiuti da sacerdoti non solo entro le mura del Vaticano, ma in tutto il mondo. Si tratta di due grosse bufale: cerchiamo di capire perché.
Bufala numero uno: arrestando Wesolowski la Santa Sede avrebbe accettato il principio per cui deve assumersi la responsabilità degli abusi compiuti da sacerdoti – o peggio vescovi – cattolici dovunque nel mondo. Un canonista di fama, l’avvocato Giancarlo Cerrelli, ha già spiegato ieri sul nostro giornale che non è così. Gli studi di carattere giuridico sono raramente una lettura leggera, ma chi fa la fatica di leggere Cerrelli capisce che le malefatte di un nunzio apostolico durante l’esercizio del suo mandato diplomatico, dovunque commesse, cadono sotto il codice penale della Santa Sede, mentre quelle di un normale prete o parroco no. Dunque no, la gendarmeria vaticana non verrà ad arrestare il vostro parroco se si comporta male – speriamo che sia un santo – ed è inutile stracciarsi le vesti perché il Papa non ha mandato i gendarmi ad arrestare altri preti pedofili che hanno occupato le cronache, i quali non erano però nunzi apostolici e neppure funzionari di qualche congregazione della Santa Sede.
Quest’ultima ha vigorosamente difeso il principio per cui non è responsabile dei reati commessi da sacerdoti e vescovi che, a differenza dei nunzi apostolici, non rappresentano direttamente la Santa Sede. Lo ha difeso contro l’Onu e contro certi studi legali miliardari americani ancora negli ultimi mesi, e su istruzioni di Papa Francesco. Il riferimento agli avvocati americani è importante: non si tratta di teoria, ci sono studi legali in America che promuovono questo principio per chiedere i danni alla Santa Sede in ogni caso di vera o presunta pedofilia, sperando di arricchirsi ulteriormente a spese del Vaticano dopo avere mandato in bancarotta diverse diocesi. Perseguendo secondo il suo diritto penale chi lavora in Vaticano – e un nunzio apostolico lavora per definizione in Vaticano anche se si trova a Santo Domingo, né c’è da stupirsi perché lo stesso principio vale per un ambasciatore italiano all’estero – la Santa Sede non accetta affatto di essere responsabile degli abusi eventualmente compiuti da parroci o anche da vescovi sparsi per l’orbe terracqueo.
Bufala numero due: finalmente è arrivato Papa Francesco che persegue i preti pedofili, mentre prima quel cattivone di Benedetto XVI li proteggeva. Se preferite un’altra versione: purtroppo per disgrazia è arrivato Papa Francesco, che non tutela e perdona le pecorelle smarrite ma le mette in prigione (in verità, agli arresti domiciliari), mentre prima Benedetto XVI, resistendo impavidamente all’Onu e a Repubblica, le ammoniva ma le teneva fuori di galera. Tutte e due le versioni sono false. È vero che all’arresto la giustizia penale vaticana ricorre molto raramente, ma la nuova severità verso i preti responsabili di abusi su minori non è un’invenzione di Papa Francesco. Le norme in vigore sono state volute e, per il novanta per cento – Francesco ha aggiunto qualche ulteriore elemento –, promulgate da Benedetto XVI.
Mi si perdonerà l’autocitazione, ma nel 2010 ho pubblicato con le edizioni San Paolo un libro, Preti pedofili, che faceva il punto sulla questione della pedofilia nella Chiesa. Il volume ebbe un notevole successo di vendite e di recensioni, e fu tradotto in diverse lingue. Vi esponevo tre tesi. La prima era che la pedofilia diffusa tra il clero era un fenomeno reale, giustamente denunciato come «vergogna» e «tragedia» da Benedetto XVI il quale non si limitava alla denuncia, ma indagava anche sulle sue radici, rintracciandole nella rivoluzione antropologica degli anni 1960, che aveva coinvolto la morale ed era penetrata anche nella Chiesa Cattolica. La seconda tesi era che questo dramma reale – per un fenomeno noto ai sociologi come «panico morale» – era stato amplificato oltre ogni ragionevole misura dai media, creando l’impressione che i preti pedofili – certamente meno dell’uno per cento del totale dei sacerdoti nei Paesi per cui si dispongono di studi statistici seri – fossero invece una percentuale significativa del clero mondiale. La terza tesi era che Benedetto XVI aveva identificato correttamente le radici del problema, e che i provvedimenti da lui presi – sul piano sia della prevenzione sia della repressione – andavano nella direzione giusta.
Non avevo sfere di cristallo, ma mi permetto di dire che le mie previsioni non erano sbagliate. Nel 2014 ho pubblicato, con lo psicologo Roberto Marchesini, un nuovo volume intitolato Pedofilia. Una battaglia che la Chiesa sta vincendo (Sugarco, Milano), offrendo dati che dimostrano come – grazie alle misure di Benedetto XVI – il numero reale dei casi di pedofilia clericale, da non confondersi con l’intensità del volume delle campagne giornalistiche, sia diminuito in modo veramente notevole. Diminuito non vuol dire ridotto a zero: per l’abolizione totale dei peccati dei preti, come di ogni peccato, dobbiamo aspettare la fine del mondo.
Il 3 maggio 2011 la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato una «Lettera circolare per aiutare le Conferenze episcopali nel preparare Linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici». Il documento, pubblicato sotto Benedetto XVI, contiene pure una breve storia della risposta della Chiesa alla crisi dei preti pedofili. Ne consiglio un’attenta lettura prima di scrivere sciocchezze sui giornali. Il documento non ricostruisce la storia precedente al 2001 – su cui pure ci sarebbe molto da dire – ma parte dal motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela, del 2001, di san Giovanni Paolo II, con cui la repressione dei delitti sessuali commessi da sacerdoti – a proposito della quale erano dettate norme più severe quanto alla prescrizione – passava alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Questo mirava a rendere l’azione contro i colpevoli non certamente più blanda, ma più rigida, superando un certo malinteso buonismo purtroppo diffuso in qualche diocesi.
Ricorda poi la Lettera del 2011 che «nel 2003, l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Joseph Ratzinger, ottenne da Giovanni Paolo II la concessione di alcune facoltà speciali per offrire maggiore flessibilità nelle procedure penali per i “delicta graviora”, fra cui l’uso del processo penale amministrativo». Questa precisazione non ha un puro valore storico, ma è importante a fronte di tante bugie che si leggono sui giornali. Come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’attuale Pontefice Emerito fu severissimo contro i preti pedofili, e non cessò d’inasprire le misure repressive. Un’opera, sottolinea ancora la Lettera, che ha continuato da Pontefice, con la «revisione del motu proprio [di san Giovanni Paolo II] approvata dal Santo Padre Benedetto XVI il 21 maggio 2010», che inaspriva ancora le pene e per la prima volta puniva severamente anche la frequentazione da parte di sacerdoti di siti pornografici su Internet. Infine, la stessa Lettera del 3 maggio 2011 è stata rivista e voluta da Benedetto XVI, e afferma fra l’altro che «va sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte [degli Stati], senza pregiudicare il foro interno sacramentale. Naturalmente, questa collaborazione non riguarda solo i casi di abusi commessi dai chierici, ma riguarda anche quei casi di abuso che coinvolgono il personale religioso o laico che opera nelle strutture ecclesiastiche».
Avendo partecipato a numerosi convegni e gruppi di studio sul tema, e avendo personalmente redatto note e pareri su richiesta di organi della Santa Sede, ho qualche titolo per indignarmi di fronte alle autentiche menzogne che si leggono nei confronti di Benedetto XVI. Semmai, Papa Ratzinger era criticato per l’eccessiva severità nei confronti dei preti pedofili, perché la sua normativa draconiana avrebbe rischiato di pregiudicare la presunzione d’innocenza e i diritti della difesa. Se ne può certamente discutere, possibilmente tra persone che conoscono le norme e hanno letto i documenti. Quello che non si può fare, senza rendersi colpevoli di calunnia – eventualmente scusata solo da un’ignoranza invincibile, che però non fa onore a chi scrive su giornali considerati autorevoli –, è scrivere che Benedetto XVI si comportava in modo blando o iper-garantista nei confronti dei preti pedofili, mentre è vero precisamente il contrario.
Non si tratta di togliere nulla a Papa Francesco, che ha continuato sulla strada tracciata prima dal cardinale Raztzinger come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e poi da Benedetto XVI, e ha ulteriormente aggiornato e precisato la normativa con il motu proprio dell’11 luglio 2013. Ma lo stesso Papa Francesco, ogni volta che è intervenuto sul tema, ha affermato di muoversi nel solco delle iniziative del suo predecessore, il quale aveva accompagnato il rigore normativo ai segnali di attenzione, richiesta di perdono e accoglienza nei confronti delle vittime dei preti pedofili, che anche Benedetto XVI aveva più volte incontrato. Del resto, perché mai Papa Francesco avrebbe dovuto cambiare una strategia che stava dando i suoi frutti?
Nell’intervista a Ferruccio De Bortoli apparsa sul Corriere della Sera del 5 marzo 2014, Papa Francesco ha affermato che la Chiesa, in materia di lotta alla pedofilia «ha fatto tanto. Forse più di tutti». «Le statistiche sul fenomeno», ha detto il Papa, mostrano che oggi ci sono più abusi altrove. «La Chiesa cattolica è forse la sola istituzione pubblica a essersi mossa con trasparenza e responsabilità. Nessun altro ha fatto di più». Credo che neanche il giornalista più capzioso possa immaginare che parlando della Chiesa che ha ottenuto risultati migliori di chiunque altro, documentati dalle statistiche, il Papa volesse parlare solo di se stesso e della Chiesa com’è da quando è diventato Pontefice lui: se non altro, perché i dati statistici disponibili si riferiscono ancora agli anni del pontificato di Benedetto XVI. Dunque le parole sono riferite a un impegno che certo continua con Papa Francesco, ma che è stato promosso e guidato per anni da Benedetto XVI. Sono certo applicabili a Papa Ratzinger le parole di Papa Francesco nell’intervista: tra i potenti della Terra, in materia di lotta seria alla pedofilia, «nessun altro ha fatto di più». L’attuale Pontefice continua – e avanza – su una strada che già il suo predecessore aveva rigorosamente tracciato.