Pechino usa il Vaticano per coprire il suo traffico di organi
Huang Jiefu, attualmente presidente del Comitato nazionale cinese sulla donazione e il trapianto di organi è ospite in Vaticano, al summit internazionale organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze. La Cina ha ufficialmente abolito l'espianto di organi dai condannati a morte, spesso prigionieri politici e religiosi. Ma nessuna fonte indipendente lo ha potuto verificare. Ora vuol lavarsi la coscienza.
«La Cina cerca di usare il Vaticano per coprire i crimini del prelievo forzato di organi», i propri crimini. A dirlo sono i medici per i diritti umani aderenti a una delle sigle più accreditate e note del settore, il Dafoh (acronimo di Doctors Against Forced Organ Harvesting), esterrefatti per la presenza di un rappresentante del regime cinese al summit internazionale organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze per stigmatizzare il traffico degli organi umani e il “turismo dei trapianti” che si chiude oggi alla Casina Pio IV: Huang Jiefu, attualmente presidente del Comitato nazionale cinese sulla donazione e il trapianto di organi, ma già viceministro della Salute. Di quel commercio, infatti, la Cina è stata uno dei centri mondiali per circa un ventennio: ma non per colpa di qualche banda criminale, come si cercherebbe di far credere ora, bensì proprio perché il governo neopostcomunista di Pechino ne ha fatto una vera e propria e redditizia industria, trasformando i condannati a morte per reati “politici” in soggetti da depredare, oltre che della vita e della dignità, anche degli organi da espianto.
Il punto centrale, infatti, aggiunge il Dafoh, è che la Cina non ha ancora fornito dati e documenti utili a dimostrare che quella turpe pratica sia solo un ricordo del passato. Perché, come efficacemente ricorda TGR Leonardo, il telegiornale quotidiano della scienza e dell’ambiente del terzo canale RAI, qualcosa non quadra. Stante che dal 2015 la legge cinese ammette solamente donazioni di organi volontarie, i dati ufficiali parlano per quello stesso anno (per esempio) di 7758 donazioni a fronte però di 11mila operazioni di trapianto (sempre dato ufficiale), che tra l’altro per alcuni ricercatori sarebbero in realtà addirittura almeno 60mila l’anno.
Di quel che accade sul serio in Cina, insomma, il mondo sa solo quello che la Cina vuole che il mondo sappia; e che il convegno in Vaticano sia per Pechino un’occasione ghiotta per rifarsi la verginità e ottenere pure una benedizione autorevole è un’impressione che la stampa internazionale non riesca a togliersi dalla mente.
In Cina i soggetti preferiti per gli espianti sono da sempre soprattutto gli aderenti al Falun Gong, una minoranza religiosa colpevole di “reati di opinione” (la fede) e quindi oggetto di una mattanza orrenda con cui il regime neopostcomunista cinese ha sempre ottenuto il duplice risultato di anzitutto procurarsi organi da trapianto e poi decapitare una realtà che testimonia in modo lampante il grande fallimento dello sforzo profuso per ateizzare il Paese.
Il traffico di organi umani è solo l’ennesimo orrore cinese. L’ennesimo dopo l’aborto di Stato imposto alle famiglie con già un figlio e ora due; dopo le piazze trasformate in laghi di sangue; dopo gli esperimenti sociali finiti in catastrofi umanitarie; e dopo i parossismi rivoluzionari giunti sino al cannibalismo. Da tutto ciò il governo del partito unico, lo stesso sempre ancora in carica, non ha mai fatto ammenda pubblica netta. L’industria governativa cinese degli espianti rubati è ben documentata e ben illustrata. In italiano esiste un rapporto intramontabile, diffuso nel 2008 dalla Laogai Research Foundation del noto dissidente cattolico Harry Wu (1937-2016) e pubblicato ? sotto gli auspici della sezione italiana della Laogai, che ha sede a Roma ? con il titolo Cina. Traffici di morte. Il commercio degli organi dei condannati a morte (a cura di Maria Vittoria Cattanìa e Toni Brandi, Guerini & Associati, Milano), con annesso raccapricciante DVD. Che ne penserà l’ex ministro e oggi “ambasciatore” Huang Jiefu?