Pd: dalla lotta per il salario minimo, a quella per il vitalizio di Fassino
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Il deputato Fassino (Pd) protesta contro il nuovo taglio dei vitalizi. Mostra in pubblico il suo cedolino, per dire che guadagna "solo" 5mila euro netti al mese. A parte il fatto che non ha citato tutti i benefit, nell'ordine di altre migliaia di euro, dimentica che l'italiano medio guadagna meno della metà.
In casa Pd, dalla battaglia per il salario minimo a quella per il salario minimo di Fassino il passo è breve. Potrà sembrare una battuta, ma c’è tanto del vero in questa iperbole. Quanto accaduto due giorni fa alla Camera con lo show inaspettato del solitamente pacato Piero Fassino, deputato ed esponente storico della sinistra, la dice lunga sul “vento di casta” che soffia fortissimo sui palazzi del potere, nonostante i proclami di altra natura.
Antefatto. A inizio luglio il consiglio di garanzia del Senato aveva dato il via libera a una delibera che prevedeva il ripristino dei vitalizi tagliati per gli ex senatori. Vitalizi che erano stati tagliati da una delibera del 2018, che stabiliva l’applicazione retroattiva del metodo contributivo e lo stop a quello retributivo.
Mercoledì, però, nell’aula di Montecitorio si è discusso nuovamente del taglio dei vitalizi e la Camera ha approvato con 240 voti a favore, 5 contrari e 24 astenuti l’ordine del giorno a prima firma Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia, presentato al Bilancio della Camera, che ripristina il taglio dei vitalizi per gli ex parlamentari, cioè impegna il collegio dei questori a “mantenere per tutti i beneficiari, deputati ed ex deputati, la vigente normativa di calcolo su base contributiva per il calcolo delle indennità di fine mandato” che spettano agli onorevoli. Nelle premesse si fa esplicito riferimento al fatto che “nelle scorse settimane, il Consiglio di Garanzia di secondo grado del Senato della Repubblica ha deliberato la cancellazione del taglio dell’indennità di fine mandato spettante agli ex senatori maturati prima del 2012”.
Piero Fassino è stato tra i 5 deputati che hanno votato contro il provvedimento, e questo può starci nella normale dialettica parlamentare, ma ha manifestato in modo rumoroso e sopra le righe il suo dissenso. Con un gesto simbolico ha mostrato in aula il suo cedolino con tutte le voci del suo stipendio da deputato, sostenendo che il suo salario mensile netto di quasi cinquemila euro non può essere considerato uno "stipendio d'oro". Ecco le sue discusse (e discutibili) parole: “Un luogo comune è che i parlamentari godano di uno stipendio d’oro ma qui ho il cedolino di luglio 2023, che è uguale per tutti. Risulta che l’indennità lorda è di 10mila 435 euro da cui giustamente vengono defalcati l’Irpef, l’assistenza sanitaria, la previdenza dei deputati è di 1000 euro, le addizionali regionali e comunali. Fatti questi giusti prelievi l’indennità netta è di 4,718 euro al mese. Va bene? Sì. L’unica cosa che chiedo è che quando sento dire che i deputati godono di stipendi d’oro, non è vero: sono una buona indennità ma non sono uno stipendio d’oro”.
Prevedibile che gli piovessero addosso feroci critiche per questa sua uscita infelice, fatta peraltro proprio nelle ore in cui il Pd rumoreggia contro le politiche del governo, accusandolo di avercela con i poveri. Senza trascurare che proprio negli ultimi giorni si registrano proteste in molte città italiane, soprattutto al sud, per il taglio del reddito di cittadinanza. Le parole di Fassino sono in qualche modo uno schiaffo ai poveri, ma in generale a tutti gli italiani che, stando alle ultime rilevazioni ufficiali, percepiscono un reddito medio mensile di 2.200 euro, dunque meno della metà di quello che l’esponente Pd dichiara di percepire, peraltro lamentandosi.
Fassino piange miseria, ma allora cosa dovrebbero fare i milioni di lavoratori che guadagnano molto di meno di lui? La sua esternazione ha dunque risvegliato lo spirito anti-casta di alcune forze politiche come i 5 Stelle e di gran parte dell’opinione pubblica. Walter Rizzetto, deputato di Fratelli d'Italia, ha espresso il suo disaccordo con Fassino, affermando che i deputati ricevono una buona paga e sono ben remunerati per il loro lavoro e che dovrebbero considerarsi fortunati, soprattutto in un periodo in cui molti italiani stanno affrontando difficoltà economiche.
E poi, come ha sottolineato l’ex deputata grillina Roberta Lombardi, i conteggi di Fassino sono errati: “Aggiungiamoci anche i 3.500 euro di diaria mensile, i 3.700 euro mensili di spese esercizio mandato, i 3.500 euro trimestrali delle spese accessorie di viaggio, i 1.200 euro di spese telefoniche forfettarie annue, la dotazione per le spese informatiche di inizio legislatura pari a 5.500 euro. Tutto senza pezze di appoggio, salvo una piccolissima parte di 1.800 euro al mese per l’esercizio mandato. E senza che il parlamentare ci paghi le tasse sopra”. Sì, perché le tasse i parlamentari le pagano sull’indennità e non sui rimborsi o i giustificativi.
Detto questo, la diffusa indignazione popolare verso i privilegi e i vantaggi dei parlamentari si lega al fatto che quei soldi sono soldi di tutti i cittadini e non di un privato. Inoltre, va valutata più in generale la questione dello status di parlamentare, che riguarda la serietà e l’utilità del lavoro di deputati e senatori. I cittadini fanno fatica a percepire l’effettiva entità del loro impegno e spesso apprendono di aule parlamentari semideserte durante votazioni importanti e di ex politici che percepiscono pensioni astronomiche. Normale, quindi, che ci si indigni di fronte a esternazioni come quella di Fassino.