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Il caso

Payback sui dispositivi medici, a rischio centinaia di Pmi

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A seguito del meccanismo ripescato nel settembre 2022 dall’allora governo Draghi, centinaia di piccole e medie imprese produttrici di dispositivi medici si ritrovano a rischio licenziamenti e chiusure. Sul caso è intervenuta anche la Consulta, deludendo le Pmi.

Economia 28_08_2024

Si torna a parlare di payback (vedi qui), meccanismo contenuto nel decreto-legge del 19 giugno 2015, n. 78, convertito poi in legge e ripescato nel settembre 2022 dall’allora governo Draghi.

Inizialmente previsto per le case farmaceutiche, è stato poi diretto anche alle aziende produttrici dei dispositivi medici, le quali – con il decreto Aiuti bis poi convertito in legge (n. 142 del 21 settembre 2022) – si sono trovate a ripianare uno sforamento di miliardi di euro della spesa sanitaria a disposizione delle Regioni negli anni compresi tra il 2015 e il 2018 e tra il 2019 e il 2021, dovendo così rimborsare parte dei debiti fatti dalle Regioni con le gare per gli acquisti sanitari, debiti di cui non avrebbero dovuto rispondere, motivo per cui hanno fatto ricorso ai vari tribunali amministrativi regionali (Tar).

Il governo Meloni era poi intervenuto con il decreto-legge 11 gennaio 2023, n. 4, prorogando il termine di adempimento al 30 aprile 2023 invece che entro i 30 giorni dalla pubblicazione dei provvedimenti regionali e provinciali, mettendo inoltre a disposizione un fondo (D.L. del 30 marzo 2023, n. 34, art. 8, c. 3) per le aziende che avessero rinunciato al ricorso, le quali si sarebbero trovate a pagare il 52% del totale dovuto per gli anni 2015-2018.

La questione si è poi protratta fino alle ultime due sentenze emesse dalla Corte costituzionale nel luglio di quest’anno, la 139/2024 e la 140/2024.

La prima – adottata dalla Corte su ricorso della Regione Campania nei confronti dell’art. 8 del D.L. n. 34/2023 sopracitato, al c. 2, dove anche a tale Regione non è consentito di avere accesso ai soldi stanziati dal Governo a copertura parziale del payback che devono le aziende – fa fronte al fatto che la norma originaria che prevedeva l’accesso ai soldi del Fondo istituito per la copertura del 52% del payback “condonato” alle sole aziende che avessero rinunciato al contenzioso, era accordato alle sole Regioni che avessero sfondato il tetto e non anche a quelle che erano state virtuose senza generare un eccesso di spesa, come appunto la Campania.

Una questione che sembrava riguardare i rapporti tra le Regioni è divenuta in realtà centrale nella decisione complessiva resa dalla Corte costituzionale. Il ricorso della Campania è stato respinto, ma sulla base dell’incostituzionalità della norma in questione dove veniva negato l’accesso allo stanziamento dei fondi a quelle aziende che non avessero abbandonato il contenzioso. Di conseguenza, per effetto della sentenza, anche le aziende che intendono proseguire nel giudizio dinanzi al Tar potranno usufruire dello sconto del 52% pagando non più il 100% della richiesta di ripiano.

La seconda sentenza, la 140/2024, riguarda i ricorsi presentati dalle varie aziende e poi rimessi dal Tar del Lazio al controllo di costituzionalità da parte della Corte costituzionale. La Corte dichiara respinte le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9-ter del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito poi, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125. Le questioni sollevate dal Tar del Lazio sono state giudicate non fondate dalla Consulta, che non ha ravvisato la violazione dei parametri costituzionali evocati in relazione al periodo 2015-2018, considerando inoltre il meccanismo del payback – chiamato dalla stessa Corte “contributo solidaristico” (sic!) – compatibile con le norme della Costituzione italiana.

Non solo. Avendo esteso lo sconto del 52% come da sentenza 139/2024, per la Corte il payback imposto alle aziende non risulterebbe sproporzionato né in grado di ridurre in modo eccessivo l’utile delle imprese. Questo “sconto” però riguarderebbe, come già detto, solamente il periodo che va dal 2015 al 2018, senza contare l’impatto che tale sentenza avrà sui bilanci del 2024 delle aziende coinvolte.

Le imprese che hanno pagato le imposte in base al bilancio effettivo per ciascun anno devono ora restituire alle Regioni somme di cui allora non erano a conoscenza, calcolate sulla spesa extra dell’ente rispetto al tetto dei fondi sanitari a disposizione, basata sui fatturati delle imprese al lordo dell’Iva, e non sugli utili di settore. La conseguenza è quella di condizionare pesantemente la sorte di centinaia di piccole e medie imprese che si ritrovano a dover fronteggiare il rischio di licenziamenti e/o chiusure, come ricorda Massimo Rambaldi, presidente di Asfo (Associazione fornitori in sanità) Toscana-Confcommercio, e quindi di mettere a repentaglio migliaia di famiglie, come osserva il presidente di Pmi Sanità, Gennaro Broya de Lucia, in una lettera alla Corte costituzionale.

Con il payback, il processo di individuazione e quantificazione della “prestazione economica” richiesta in sede di gara alle aziende fornitrici risulta falsato; inoltre, non essendo determinati previamente il tetto regionale di spesa né le modalità di calcolo, si viene a creare un’incertezza riguardo agli accordi e ai rapporti tra le parti. Si avrà un effetto distorsivo anche sul piano finanziario, poiché le aziende hanno già pagato le imposte su un imponibile provvisorio e la deducibilità fiscale del pagamento del payback arretrato difficilmente potrà essere assorbita in modo integrale dalla base imponibile dell’anno in corso. Sarà quindi impossibile redigere bilanci annuali con una corretta quantificazione dei costi.

A rimetterci sono anche i pazienti e le persone che si rivolgono alla sanità pubblica, osserva in un comunicato stampa Vincenzo Bottino, presidente dell’Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani, che già a dicembre 2022 aveva denunciato il rischio causato dal payback sui dispositivi medici, e che oggi segnala una prevedibile desertificazione delle Pmi. Le quali, è bene ricordare, consentono di erogare servizi fondamentali per una sanità sicura, e normalmente si trovano a far fronte a emergenze e situazioni critiche che vanno al di là dell’attività commerciale.



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