Passata la festa, l'Ue chiede la stangata fiscale
E’ umiliante che ci si sia ridotti a definire il bilancio dello Stato prima a Bruxelles con la Commissione che a Roma con il Parlamento nazionale (che a questo punto non si capisce più bene a che cosa serva). Ma tant'è. L'Ue chiede ingenti correzioni al bilancio, che si tradurrebbero in nuove tasse o tagli.
Finita la festa, si fa per dire, del 60° anniversario dei trattati di Roma, si torna alla vita di sempre ovvero alla sconfortante e anche umiliante pantomima dei mercanteggiamenti del nostro governo con la Commissione Europea. E’ umiliante che ci si sia ridotti a definire il bilancio dello Stato prima a Bruxelles con la Commissione che a Roma con il Parlamento nazionale (che a questo punto non si capisce più bene a che cosa serva). E’ sconfortante perché l’interesse che la Commissione tutela, sempre meno europeo e sempre più soltanto tedesco, va contro il nostro urgente bisogno di ripresa.
In questo quadro si potrebbe se non altro giocare la carta della trattativa aperta e trasparente facendone l’occasione per una presa di coscienza generale del Paese, dei suoi grandi e piccoli soggetti sociali e dei suoi territori. Invece è tutta una mesta girandola di mezze parole, di ammiccamenti e di reticenze di cui sono campioni dalla parte di Roma il ministro Pier Carlo Padoan e dalla parte di Bruxelles il commissario all’Economia, il socialista francese Pierre Moscovici. Entrambi in vario modo maestri nell’arte di intrattenere il pubblico con frasi irrilevanti, e di parlare invece delle cose che contano soltanto a porte chiuse.
Viene però il momento in cui qualcosa deve pur venire a galla. Siamo adesso alla vigilia di una di queste scadenze: si tratta del Documento di Economia e Finanza, Def, che il governo deve rendere pubblico entro il 10 aprile di ogni anno, quindi tra pochi giorni. Il Def non è una legge ma un documento con cui il Parlamento viene informato in via preliminare sulle grandi linee del bilancio preventivo che dovrà esaminare nel successivo autunno.
Nell’insieme la spesa pubblica italiana è attualmente pari a oltre 800 miliardi di euro. Al momento sembra che Bruxelles si accontenti del preannuncio di una “correzione” di 3 miliardi e 400 milioni. In termini relativi, sono in fondo dei bruscolini. Significano però imposte in più o spese in meno che possono avere su specifici settori un’incidenza in termini assoluti anche molto rilevante. Chi paga, ovvero chi ci perde? Sarebbe bello saperlo.
La disonestà del metodo non si ferma poi qui. In effetti nel Def non si dice tutto. In autunno, quando sarà il momento della stesura del bilancio vero e proprio, si sa già che da Bruxelles verranno richieste “correzioni” ben più consistenti. I proverbiali addetti ai lavori le stimano tra un minimo di 20 e un massimo di 40 miliardi. Quest’ultimo, ossia il limite massimo, equivale peraltro a un po’ meno del 5% della spesa totale. Quale famiglia e quale azienda non riescono, se necessario, a ridurre del 5% le proprie spese? E nei quasi dieci anni dallo scoppio della crisi in corso quante famiglie e aziende non hanno proceduto a riduzioni di spese anche ben superiori non solo al 5 ma anche al 10%? Proporre invece risparmi analoghi allo Stato è a quanto pare impensabile. Al delinearsi di una prospettiva del genere il “partito” trasversale della spesa pubblica inefficiente e parassitaria si mobilita, si impadronisce della bandiera non sua della spesa pubblica necessaria, e blocca qualsiasi riforma promettendo vendetta alle elezioni prossime venture al governo che volesse insistere.
Nessun governo ha mai seriamente provato a farlo, e men che meno ci sta provando il governo attuale. Siamo allora al gioco del cerino che Gentiloni cerca di non accendere o di accendere il più tardi possibile in modo che bruci le dita di Renzi e non le sue. Tutto induce a credere che l’ormai vicino congresso del Pd rimetterà il partito nelle mani di quest’ultimo, anche se con una maggioranza meno plebiscitaria della precedente. Inaugurare il suo ritorno in sella con una “stangata” fiscale o con veri e consistenti tagli della spesa pubblica è ovviamente qualcosa che Renzi vorrebbe evitare. Non è però certo che Gentiloni sia così pronto a passare quietamente dal ruolo del cireneo a quello del capro espiatorio. Così, a causa di un braccio di ferro che riguarda due persone e qualche decina di loro amici, il Paese rischia di dover subire quest’autunno una “stangata” improvvisata e casuale. Una “stangata” che darebbe un durissimo colpo a una ripresa già adesso troppo debole rispetto a quella che si registra nel resto dell’eurozona.