Pasqua con chi vuoi, meglio tutti assieme
Celebrare Pasqua nella stessa data, tutti insieme, cattolici e ortodossi. L'idea lanciata da Papa Francesco arriva in un momento di estremo pericolo per la cristianità, chiusa fra l'incudine dei laicismo e il martello dell'islamismo. La storia della data di Pasqua di Resurrezione (che segue quella ebraica) ha condizionato il nostro calendario. Ora si può fare un passo in più.
La data della Pasqua, per forza di cose, non è come quella del Natale. Innanzitutto in ordine all’importanza religiosa. Infatti, a nascere sono buoni tutti, non così a risorgere. Insomma, la ricorrenza più importante per i cristiani è la Pasqua, giorno in cui Cristo ha riaperto all’umanità la via del Cielo. Però Pasqua è una «festa mobile», perché non cade ogni volta nello stesso giorno ma va ogni anno ricalcolata. Ciò è dovuto al fatto che Gesù era prima di tutto il Messia atteso dagli ebrei, i quali usavano un calendario non solare, come i Romani, ma lunare. E Gesù morì esattamente nel giorno e nell’ora in cui nel Tempio si sacrificava l’agnello pasquale. Ecce Agnus Dei, qui tollis peccata mundi: il Cristo, di cui l’agnello sacrificale era solo una figura. Gesù resuscitò l’indomani della Pasqua ebraica, che cadeva di sabato, e da allora quel giorno fu detto Dies Dominica, Giorno del Signore (prevengo il lettore purista -o che crede di esserlo- lesto di precisazione: in latino, dies è maschile solo al plurale). La Pasqua ebraica cadeva in plenilunio, per la precisione il primo dopo l’equinozio di primavera. Ricordava, come tutti sanno, la liberazione degli ebrei dalla schiavitù egiziana e il loro Esodo verso la terra promessa da Dio ad Abramo.
Insomma, era, ed è, la Festa delle Feste, che ricapitola e conclude con un happy end l’intera storia dei rapporti di Dio con l’uomo. A stabilire che la Pasqua doveva essere festeggiata la domenica successiva a detto plenilunio fu il Concilio di Nicea nel 325. Prima di allora i cristiani avevano altro a cui pensare, per via delle persecuzioni, ma con Costantino ebbero l’agio di sistemare, per così dire, le loro cose. La datazione della Pasqua, via via che il cristianesimo si espandeva, non fu da tutti i popoli accettata automaticamente. Le vicende politiche, dal crollo di Roma in avanti, crearono problemi, anche perché si trattava di introdurre l’uso latino e il calendario romano, cosa non sempre agevole per le genti che, via via, passavano al cristianesimo. Ma ogni volta le cose si appianavano e alla fine la Cristianità ebbe un calendario liturgico abbastanza uniforme, almeno per le festività principali. Tutto andò liscio fino al 1582, anno in cui il papa Gregorio XIII varò il calendario che ancora porta il suo nome. Quello precedente risaliva a Giulio Cesare ed era ormai «in ritardo» di una decina di giorni sul sole. Continuando così, si sarebbe finiti col celebrare la Pasqua in estate. Dunque, fu proprio la datazione della Pasqua la causa dell’aggiustamento del calendario onde farlo coincidere con quello astronomico.
Non tutti i Paesi si adeguarono subito, ognuno per un motivo diverso. Alcuni ci misero secoli. Anche perché la riforma del calendario era avvenuta quando la Cristianità era bell’e spaccata, e i protestanti non avevano alcuna voglia di adottare un computo che portava il nome di un papa. Ma alla fine l’Occidente trovò che, papa o non papa, il calendario gregoriano era più pratico, come il sistema decimale e la notazione musicale, ed era ridicolo continuare a fare ognuno per conto proprio. Perfino la Gran Bretagna, la cui Chiesa aveva a capo il Re, lo comprese. E pure il Sultano, se voleva commerciare con l’Europa. Gli unici a ostinarsi rimasero gli ortodossi. Dato il loro particolare intreccio col potere civile, ancora oggi la Russia non riesce a svincolarsi dal calendario di Cesare. Così, l’Occidente festeggia Natale a Natale, l’Oriente all’Epifania. Noi potremmo fare spallucce, ma nei Paesi orientali, dove cattolici e ortodossi sono geograficamente contigui, la cosa stride vieppiù; e nel Terzo Millennio, di fronte alla secolarizzazione aggressiva da un lato e al risorgere dell’islam violento dall’altra, sarebbe l’ora che le varie confessioni cristiane si dessero una regolata. Cancellare le divergenze non pare possibile, ma almeno smussare qualche discrepanza si può.
E’ ciò che ha pensato papa Francesco in Laterano parlando al migliaio di preti convenuti da una novantina di Paesi il 12 giugno. Dunque, si è detto disponibile a contrattare una data comune per la Pasqua. La mano tesa del pontefice è un’iniziativa lodevolissima, anche se epocale: si tratta di trasformare una «festa mobile» in «fissa», e non una festa qualsiasi ma quella centrale per il cristiano. E’ una misura inaudita, ma i tempi richiedono una serrata di ranghi. I cristiani, insomma, almeno nel giorno di Pasqua potrebbero sentirsi e mostrarsi uniti. La Chiesa greca già festeggia il Natale il 25 dicembre, e parrebbe la più favorevole alla proposta. Staremo a vedere. Il fatto è che le varie Chiese ortodosse sono autocefale, perciò bisogna convincerle una ad una. Le più ostiche ai riavvicinamenti sono sempre state quelle slave. Tuttavia, a questo punto Putin potrebbe dare una mano. Perché non pensa lui ad aggirare il problema abolendo il calendario giuliano nella Federazione Russa? In questo momento storico sarebbe una mossa propagandistica formidabile. Mostrerebbe a un Occidente costretto dagli Usa a mostrargli i denti la «buona volontà» russa di appartenere più all’Ovest che all’Est. Visto che c’è, poi, potrebbe adottare l’alfabeto latino completando l’opera (cosa che favorirebbe il turismo). Fatto questo, vedrà che l’intendence suivra, e gli ortodossi avranno un motivo in più per archiviare una buona volta lo scisma del Filioque. Sempre che ci sia ancora in giro qualcuno che sappia di che si tratta.