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LA STORIA

Parroco spiega la messa a islamica. E lei va altrove

A Cremona un'islamica chiede a un parroco di partecipare alla messa. E lui le spiega il significato affinchè comprenda l'inutilità del suo gesto. Così la ragazza decide di andare in un'altra parrocchia. E i giornali lo accusano di averla respinta. In realtà è il solo che le ha usato misericordia e verità nella carità. 

Libertà religiosa 04_08_2016
I musulmani a messa

Peri i giornali l’occasione era troppo ghiotta titolare: “Islamica a messa rifiutata dal parroco”. Roba da disegnarci la prima pagina del lunedì. E infatti a Cremona, la Provincia c’è riuscita a titolare Musulmana “respinta” a messa, ma accolta dall'altro parroco. Le virgolette davano già il senso dell’operazione truffaldina. Perché infatti l’articolo, firmato da Mauro Cabrini raccontava una storia di buon senso, unito alla saggezza tutta cattolica di dare ragione della propria speranza che ormai abbiamo dimenticato.

La scena è quella standard degli imam alla ricerca di una messa per domenica 31 luglio. A Cremona una giovane islamica contatta il parroco di Sant’Imerio. “Vorrei venire a portare la mia testimonianza di pace alla messa domenica, per dire che l’islam non è terrorismo”. Il parroco l’ha squadrata per bene, ma non l’ha rifiutata affatto. Le ha parlato. Come un pastore parla ad ogni pecorella. E le ha spiegato il significato della messa affinché fosse consapevole dell’inutilità e dell’inopportunità della sua presenza.

La ragazza, per nulla offesa, a quel punto ha deciso di recarsi in un'altra chiesa, a San Michele dove il parroco l’ha accolta a braccia aperte senza neanche conoscerla e l’ha salutata dall’altare al termine della celebrazione.

Ovviamente, per quanto l’articolo fosse rispettoso delle opinioni di don Giuseppe Nevi, è intuibile immaginare da che parte stesse il giornale: dalla parte del parroco buono, mentre l’altro, quello cattivo che ha respinto con le virgolette la ragazza, sarebbe il cattivo.

Ma le cose stanno davvero così?

Don Nevi ha raccontato al giornale della sua città quanto ha detto a quella donna. “Il mio non è stato un rifiuto – ha spiegato – e nemmeno un atto di esclusione. La mia volontà era quella di farla riflettere per capire, prima di compiere un gesto come quello, che cosa significa essere cristiani e che cosa significa essere musulmani. Così quando mi ha telefonato annunciandomi la sua intenzione, l’ho invitata ad una riflessione. Ma non le ho detto no, non venire”. Già, che cosa le ha detto? “Prima rifletti, poi decidi e la scelta di non venire alla fine è stata sua”. Versione confermata dalla stessa ragazza.

Proprio come Gesù ai discepoli di Emmaus, ha snocciolato il succo del discorso: “Le ho spiegato che la messa non è un incontro e nemmeno un’assemblea. Non ci si trova per caso o semplicemente per stare insieme. La messa è partecipazione al sacrificio di Dio che si è fatto carne ed è morto in croce, una partecipazione non riconosciuta dall’Islam. Ed è proprio sulla base di questa differenza sostanziale che ho ritenuto e ancora ritengo che la manifestazione di solidarietà organizzata dalla comunità islamica andasse sviluppata fuori dalle nostre chiese. Non dentro. Diversamente sarebbe stato ed è stato un atto poco rispettoso del nostro e del loro credo. E per questo non ne capisco il senso”.

Ma don Nevi è andato oltre il semplice catechismo. “Perché venire in chiesa? Secondo quale convinzione quando sanno di non riconoscere il sacrificio che invece noi celebriamo? Diversamente, se decidessero di venire in chiesa perché riconoscono il nostro credo allora a quel punto mi viene da pensare che sarebbe normale convertirsi. La vicinanza si può dimostrare in altro modo”.

Chapeau. Nella babele di versioni trite e ritrite all’insegna del dialogo qualunquista, questo sacerdote ha mostrato una serie di virtù tale da far impallidire un manuale di filotea. Ha evangelizzato, ha dato ragione della sua speranza, ha custodito il bene perfetto e sommo della messa perché nulla andasse perduto. E lo ha fatto con quelle tanto strombazzate armi del dialogo, che permettono ad un uomo di farsi conoscere, rispettare e ascoltare.

In tempi dove tutto è scontato e deprezzato al gran mercato del volemosebbene e dell’annacquamento delle identità, don Nevi non si è sottratto ad un compito faticoso, ma richiesto proprio ad ogni battezzato: difendere la verità nella carità. Ovviamente per il mainstream questo prete è retrogrado e oscurantista. Più facile non avere grane con giornali e vescovadi e allinearsi al pensiero più conveniente. Tentare di evangelizzare come un novello San Francesco col sultano, poi, men che meno. Meglio non rischiare. 

Come ha fatto il suo vescovo Antonio Napolioni, che ieri è intervenuto nella vicenda. Chi ha ragione tra i due sacerdoti? "Entrambe sono posizioni legittime perché sono state spiegate le ragioni - ha detto - ma le nostre chiese sono aperte, noi non chiediamo nè passaporto nè carta di identità, dobbiamo costruire ponti e non muri. L'iniziativa è stata positiva e spero che si ripeterà". 

Ma se mai questa ragazza un giorno dovesse seriamente interrogarsi su quel confronto e approdasse ad una conversione, dovrebbe ringraziare questo anacronistico pastore. Che forse, a differenza di tanti altri, le ha usato davvero misericordia, perché non si è accontentato di esaudire una pretesa, ma è andato al cuore di un’esperienza che anche lei potrebbe vivere.