Parlare bene per pensare meglio
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Cosa fare di fronte al diffuso impoverimento culturale e lessicale? Un valido strumento è il diario, inteso come una specie di Zibaldone leopardiano. Superata la paura della pagina bianca, ci si stupirà di quante idee abbiamo in testa.
Non occorrono le statistiche per ribadire l’abbassamento della conoscenza dell’italiano e delle competenze linguistiche nell’ambito della scrittura e della lettura da parte degli studenti. Quando, però, le ricerche confermano in modo allarmante il peggioramento, allora il campanello d’allarme si dovrebbe accendere.
Dall’indagine internazionale Pisa (Programme for International Students Assessment) dell’OCSE 2022 (i cui dati sono stati pubblicati a fine 2023) in Italia un quindicenne su cinque non riesce a leggere in modo fluente, perché appare incerto, troppo lento o veloce, commette errori.
I dati relativi allo stesso anno sono ancora più negativi se considerati alla fine del percorso delle Scuole secondarie di secondo grado. In base all’Invalsi svoltasi nella primavera del 2022 in Italia la metà degli studenti non raggiungeva il livello base (3); eppure a giugno dello stesso anno il 95 % degli stessi studenti avrebbe superato gli Esami di Stato.
La preparazione degli studenti universitari, confermata non solo dal giudizio dei docenti, ma anche da tutte le ricerche, corrobora questo quadro d’insieme: gli studenti non solo commettono errori di ortografia e di sintassi, ma non sono in grado di usare la punteggiatura in modo corretto e di stendere frasi complesse; le conoscenze del vocabolario sono drammaticamente basse.
Nei luoghi di lavoro, poi, si avverte sempre più la scarsa padronanza linguistica nelle comunicazioni scritte.
Non è questo il luogo per esaminare le cause del progressivo abbassamento culturale e dell’impoverimento del patrimonio lessicale che chiunque può verificare. Di certo, l’allontanamento graduale dalla lettura e la sempre più scarsa abitudine a svolgere temi e a scrivere sulla carta, inviando, invece, messaggi brevi sui differenti social, favoriscono una comunicazione che si avvale per molti ragazzi di solo qualche centinaia di vocaboli.
Con una decina di verbi (essere, avere, dire, dare, fare, andare, mettere, prendere, guardare, vedere), qualche aggettivo (bello, grande, forte), pochi sostantivi (cosa, fatto) e un pronome (qualcosa) alcuni studenti esprimono, per lo più, le loro riflessioni nei temi.
Come affrontare la situazione? Nella mia esperienza lo strumento migliore è quello di riportare i ragazzi a pensare e a riflettere, a fermarsi per capire in cosa credano, che idee abbiano, cosa desiderino. A questo punto si renderanno conto di non possedere gli strumenti adeguati per esprimersi e sorgeranno in loro l’esigenza e il desiderio di impadronirsene.
C’è una consegna domestica che si rivela come la più incisiva per la crescita umana e scolastica dello studente: il diario. Credo che vada proposta già dalla scuola primaria fino alla secondaria di secondo grado.
Non ci sono dubbi che assegnare lo svolgimento continuo e costante del diario richieda coraggio e spirito di sacrificio da parte dell’insegnante.
Coraggio, perché la maggior parte degli studenti è stupita di fronte al compito che viene assegnato. Qualcuno lo reputa addirittura una consegna fanciullesca e adolescenziale. Sono i ragazzi che hanno il maggior numero di pregiudizi al riguardo, perché tendono a reputare la stesura come un’attività da femmine.
Allora, spieghiamo che il diario è una sorta di Zibaldone leopardiano, una raccolta di pensieri e di riflessioni sulla vita, su quanto accade di bello e di brutto nella giornata, su incontri e fatti, discussioni e meditazioni, letture o film visti, è la scoperta del proprio arriere boutique (ovvero del proprio retrobottega). Il diario non deve riportare tutte le attività svolte dal ragazzo durante la giornata, ma deve essere un momento di approfondimento di un aspetto della vita, l’apertura di una finestra sulla realtà.
Nel tempo lo studente si stupisce di avere tante idee e pensieri nella testa, di possedere un desiderio profondo oppure si chiede perché non abbia nulla da dire. Il ragazzo così si mette in moto, inizia un cammino, cioè un percorso.
All’inizio il ragazzo potrà aver paura della pagina bianca, ma, poi, acquisirà una maggiore familiarità con lo strumento e si renderà conto che sempre più rapidamente il pensiero prenderà forma in parole sulla pagina. A scuola si sente sempre il leit motiv: per imparare a scrivere bisogna leggere tanto. Ma questo consiglio è molto parziale: è necessario scrivere tanto.
Lo strumento del diario deve, però, essere supportato da un accompagnamento ad acquisire una sempre maggiore proprietà lessicale.
Oltre alla rubrica settimanale (di cui si è trattato nell’ultimo articolo) assai utile è lavorare su schede lessicali che permettano ai ragazzi di sostituire il loro ristretto dizionario con una più vasta gamma di vocaboli.
Notavo con alcuni studenti che è più facile, spesso, che essi usino il termine inglese appropriato che quello italiano: per cui molti dicono to pay attention mentre pochi usano l’espressione «prestare attenzione» (usando il generico «stare attenti»).
Così, si può arricchire il vocabolario proprio partendo dai verbi più ripetuti negli scritti. Al posto del verbo «dare», in relazione alle differenti situazioni possiamo scrivere: «cedere il posto agli anziani», «assegnare il posto agli alunni», «impartire le istruzioni», «produrre le prove», «distribuire regali», «infondere coraggio», «concedere il permesso», «prestare il soccorso», «fissare un appuntamento», «comminare la pena», «appiccare il fuoco», «attribuire la responsabilità».
Ricordiamoci che prima di studiare una lingua straniera bisogna conoscere bene le basi grammaticali e lessicali della propria lingua madre: non è solo un dovere, ma anche il mezzo per imparare bene le altre lingue.
Ricordiamoci, inoltre, (forse pochi lo sanno) che l’italiano è la quarta lingua più studiata nel mondo, dopo l’inglese, lo spagnolo e il cinese, prima del francese e del tedesco. I dati degli ultimi anni raccontano che più di due milioni di stranieri scelgono di studiarlo. Qualche studioso contesta i dati relativi allo studio delle lingue, sostenendo l’impossibilità di raccogliere dati completi da tutti i Paesi e da tutte le scuole del mondo.
Quale che sia la posizione dell’italiano appare chiaro che è una lingua – a differenza della maggior parte delle altre – studiata non per ragioni commerciali, storiche o politiche. Gli stranieri la studiano perché la trovano bella e permette di godere di ciò che l’Italia offre, dall’arte alla musica, dal cibo al paesaggio fino alla grandissima nostra letteratura che per secoli ha affascinato i lettori dell’Occidente.
Noi conosciamo il nostro glorioso passato, «ma per avere un futuro occorre cambiare strada e abbandonare alcuni luoghi comuni a cui ci si è affezionati in anni recenti. […] La dittatura dell’inglese in sostanza mette a rischio tutti allo stesso modo. […] La globalizzazione appiattisce tutti quanti sulla base di un’utopia universalistica che poi di fatto non dà i risultati sperati, anche se continuiamo ad ascoltare la nenia sui grandi vantaggi che possono venire da ogni forma di globalizzazione» (Claudio Marazzini).