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DOPO IL CASO FIORAMONTI

Parlamentarismo, malattia politica tutta italiana

La nostra è una Repubblica parlamentare. Lo diciamo con orgoglio, ma proprio lì sta invece il problema. Ecco gli effetti perversi del parlamentarismo. I giochi si fanno in parlamento e quindi il Parlamento ha una composizione smontabile e rimontabile a piacimento, basta che sia garantita una maggioranza numerica a sostegno del governo.

Editoriali 29_12_2019

Le dimissioni del ministro della pubblica istruzione Fioramonti hanno messo nuovamente a nudo un grave difetto del nostro sistema costituzionale che si chiama “parlamentarismo”. La nostra - diciamo solitamente con fierezza - è una repubblica parlamentare. Lo diciamo con orgoglio, ma proprio lì sta invece il problema. Problema che sta avendo per noi dei costi piuttosto ingenti. Cosa c’entra il parlamentarismo con le dimissioni di Fioramonti?

La Nuova Bussola ha messo in evidenza come dietro alla mossa delle dimissioni del ministro ci sia un probabilissimo riposizionamento politico. Fioramonti sarebbe a capo di una decina di parlamentari che si sfilerebbe dal gruppo parlamentare 5 stelle per formare il primo nucleo di un futuro partito del presidente Conte. Insomma una manovra politica di palazzo, come quella, fatte le debite distinzioni, di Matteo Renzi che ha portato via al Partito Democratico il gruppo dei “suoi” parlamentari per costituire Italia Viva. Nel frattempo, le due compagini, quella ancora ipotetica di Fioramonti e quella reale di Renzi, continueranno a sostenere il governo, non tanto per sostenere il governo ma per evitare le elezioni. Abbiamo così gli eletti dal popolo in una certo partito, che si sfilano da quel partito ma non dal governo di cui quel partito fa parte, per evitare che i loro elettori possano esercitare nuovamente il diritto di voto. In Italia, la cosa che gli eletti temono di più sono gli elettori.

Ecco gli effetti perversi del parlamentarismo. I giochi si fanno in parlamento e quindi il Parlamento ha una composizione smontabile e rimontabile a piacimento, basta che sia garantita una maggioranza numerica a sostegno del governo. Nasce a seguito delle elezioni politiche con i tasselli del puzzle posizionati in un certo modo e durante la legislatura i tasselli cambiano di posto e il quadro viene rivoluzionato.

Si ha un altro parlamento, ma al parlamentarismo questo non interessa, gli basta che ci sia un parlamento, ossia una maggioranza numerica, qualsiasi essa sia. Il parlamentarismo blocca così il Paese. Infatti il presidente Mattarella, in ossequio al carattere parlamentare della nostra Repubblica, non scioglie le Camere e non indice nuove elezioni se esiste una maggioranza numerica in aula. Anche se il quadro è ormai balcanizzato? Anche se si tratta di una accozzaglie di profughi?

Anche se sono partiti “personali” che trasmigrano da un gruppo all’altro? Anche se il motivo della maggioranza non è di contenuto politico ma teso solo ad evitare elezioni? Anche se le prossime elezioni in Emilia Romagna dovessero confermare che il volto politico del Paese è cambiato? Anche se i Fioramonti e i Renzi, garantiti in ciò dal parlamentarismo, minano sistematicamente il governo che sostengono? Certo, anche in questi casi, e così il parlamentarismo ingessa la nazione. La qualità si trasforma in quantità, la materia in forma e i contenuti in procedura. Il governo è in stallo proprio per questi giochi parlamentari che indeboliscono il governo? Il Paese è attraversato da gravi conflitti?

I nodi al pettine non vengono affrontati? In Libia ci facciamo la figura dei cretini? Sul Fondo salva Stati il governo ha detto bugie? Governa chi ha perso le ultime elezioni? Non importa, ciò che importa è il parlamentarismo che in fondo è legato ad un solo criterio: una maggioranza numerica, ossia quantitativa, una somma di voti in aula, un conteggio di lampadine che si accendono. Quando poi anche i presidenti della Repubblica non entrino nel gioco del montaggio e dello smontaggio delle maggioranze parlamentari, cosa di cui possiamo vantare molti esempi.

Il parlamentarismo è un gioco in cui ognuno sposta le proprie truppe, ci sono i tradimenti e i passaggi al nemico che diventa amico, il tutto coperto e reso proceduralmente corretto dalla formalità di una maggioranza quantitativa che, poiché il più non viene dal meno, non potrà mai produrre qualità.

Di recente si sono tenute le elezioni politiche nel Regno Unito. Il presidente Johnson le ha chieste, la Regina ha sciolto le Camere, si è votato, il giorno successivo all’esito elettorale si è insediato il nuovo governo e ha preso decisioni importanti come l’accelerazione della brexit. Nel parlamentarismo all’italiana tutto ciò è impossibile. Nel nostro sistema le elezioni sono considerate un cataclisma e lo sono – strano a dirsi – in virtù di una Carta costituzionale secondo cui la sovranità appartiene al popolo. Ma forse la contraddizione sta proprio qui. Il popolo esprime la sua sovranità votando, quindi tramite una maggioranza quantitativa.

Di conseguenza quello della maggioranza quantitativa è il criterio fondamentale della nostra democrazia parlamentare. Perché mai allora questo principio non dovrebbe valere anche in parlamento? se è stato ritenuto valido alle elezioni politiche che hanno eletto quel parlamento?