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EFFETTO PROPORZIONALE

Parisi scende in campo in una destra senza orizzonti

Il centrodestra continua a non avere un orizzonte programmatico credibile e molta parte del suo elettorato guarda con interesse al Movimento 5 Stelle quale forza di opposizione alla sinistra. In questo scenario confuso, Stefano Parisi scende in campo con un programma liberal-popolare contro gli estremisti. Farà strada? 

Politica 02_04_2017
Stefano Parisi

Un cantiere nel cantiere. “Energie per l’Italia”, il movimento fondato da Stefano Parisi, prova ad aggregare consensi nell’area moderata e a recuperare i milioni di voti che negli anni Forza Italia e il centrodestra hanno perso. Ma per ora si tratta solo di un laboratorio di buone intenzioni di matrice liberalpopolare, con qualche interessante individualità. Un laboratorio che si affianca al cantiere permanentemente aperto in quell’area politica.

Ieri i parisiani hanno tenuto la loro convention a Roma parlando di temi concreti, di economia, servizi ai cittadini, welfare e tanto altro. E’ una prospettiva interessante, considerato che l’elaborazione politica nel centrodestra è stata sempre molto deficitaria, anche a causa della figura dominante di Berlusconi, che ha giocato per anni a bruciare possibili delfini, Parisi compreso, salvo riproporsi per l’ennesima volta alla guida dello schieramento.

Con l’attuale sistema elettorale, però, unirsi non è un imperativo categorico. Tutti possono correre da soli o aggregarsi in un secondo momento, a patto che raggiungano la fatidica soglia del 3%, che consente di avere rappresentanza in Parlamento. Parisi nega di voler puntare al minimo, cioè a dire semplicemente la sua nella prossima legislatura con un manipolo di senatori e deputati. Dice di avere ambizioni più robuste. Sogna il 10%, che gli garantirebbe di essere quasi l’ago della bilancia in un’ipotetica ma non remota alleanza tra tutte le forze riformiste e antipopuliste di destra e di sinistra.

Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo un mare di incognite. In primo luogo l’effettiva consistenza elettorale dei partiti di centrodestra. C’è chi sostiene che se Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, parisiani e alfaniani si unissero, sarebbero sicuramente maggioranza nel Paese. Potrebbe anche essere, ma con quale programma politico? Troppe le differenze culturali e di prospettiva politica. E poi manca un federatore, che non può essere l’incandidabile Berlusconi, che potrebbe non ricevere da Strasburgo l’agognata riabilitazione. 

Inoltre, se la legge elettorale restasse quella attuale, con il premio di maggioranza al primo partito e non alla coalizione, i seggi aggiuntivi andrebbero quasi sicuramente al Movimento Cinque Stelle, nei sondaggi ormai di gran lunga in vantaggio sugli altri. Ma per governare ci vorrebbe il 40% e a quel punto i grillini sarebbero costretti a fare accordi con gli scissionisti Pd o con la Lega. 

Data quest’incertezza e nell’imminenza del varo di una manovra finanziaria che potrebbe far venire al pettine tutta una serie di nodi impopolari per le attuali forze di governo, non è possibile sbilanciarsi e non è possibile fare previsioni. Lo hanno capito molto bene sia Alfano che Berlusconi che Parisi. Mentre Meloni e Salvini sono fortemente etichettati sul fronte anti-euro e mai potrebbero appoggiare una coalizione con i centristi che attualmente sostengono l’esecutivo Gentiloni, Alfano ha cambiato nome al suo partito per tenersi le mani libere e cioè riservarsi la possibilità di entrare indifferentemente in un governo di larghe intese destra-sinistra oppure anche in un governo di centrosinistra o in uno di centrodestra, Berlusconi rassicura la Merkel ponendosi come argine e garanzia contro i populismi ma contemporaneamente apre a Salvini e Meloni su un programma condiviso e Parisi annuncia di non voler presentare sue liste alle amministrative di giugno per paura di doversi contare e di sfigurare, perdendo potere negoziale in vista delle politiche.

Appare comunque quasi certo che ancora una volta, mentre il centrosinistra designerà il suo candidato premier con le primarie, il centrodestra punterà su un cavallo scelto a tavolino dai leader di partito. E non è detto che sia uno solo, perché, in un sistema proporzionale puro, ciascuna forza politica potrebbe indicare un candidato premier diverso, salvo poi convergere a urne chiuse sul meno peggio.

Il centrodestra continua a non avere un orizzonte programmatico credibile e molta parte del suo elettorato guarda con interesse e anche con un po’ di speranza al Movimento Cinque Stelle, considerato la vera alternativa alla sinistra, nonostante al suo interno ci siano molti esponenti profondamente antiberlusconiani e distanti anni luce dal centrodestra.

La svolta potrebbe essere il diktat che una parte consistente del Pd, in particolare quella che si raduna attorno a Orlando e Emiliano, sfidanti di Renzi, lancerà a quest’ultimo sulla modifica della legge elettorale. I due sospettano che l’ex premier voglia tenersi l’attuale legge elettorale, andare a votare già dopo l’estate e poi fare le larghe intese con Berlusconi e allora provano a stanarlo su questo, chiedendogli perché non si impegna a introdurre il premio di coalizione (anziché quello alla lista). In questo modo sarebbe costretto a fare fin da subito l’accordo con le altre anime del centrosinistra, pur di arrivare al 40% e governare. 

Il premio alla coalizione sarebbe il collante del centrosinistra e del centrodestra che a quel punto sarebbero costretti a ricomporsi in versione tradizionale. Quello che né Berlusconi né Renzi vogliono, convinti di poter gestire le grandi partite che riguardano il Paese con un governo di solidarietà nazionale aperto a tutte le forze “responsabili”. Ma sarebbe davvero il bene del Paese?