Par condicio, superata dalla storia e dalla tecnologia
La par condicio ha fatto il suo tempo. In vista delle elezioni europee del 25 maggio sta già provocando dure polemiche. Il problema è che si tratta di un sistema vecchio. Misura la quantità della copertura e non la qualità. Urgono regole nuove.
Entra nel vivo la campagna elettorale per le europee e monta subito la polemica sulla par condicio, cioè sull’equa distribuzione degli spazi visibilità mediatica tra tutti gli attori politici. Dopo la “partita del cuore”, il premier Renzi ha dovuto rinunciare anche alla sua prevista partecipazione ad “Amici”, talent show condotto dalla De Filippi. Infatti, la normativa in vigore vieta la presenza di esponenti politici durante le trasmissioni di intrattenimento (il segretario Pd non è candidato alle europee ma è pur sempre un leader politico di primo piano).
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrebbe vigilare affinché la legge sulla par condicio, del 2000, venga applicata dai notiziari televisivi e assicuri uguaglianza di trattamento a tutti i candidati delle diverse forze politiche in competizione. Ma quelle regole sono diventate di difficilissima (e sterile) applicazione. Nei giorni scorsi il direttore del telegiornale de La 7, Enrico Mentana, è stato bacchettato dall’Authority per aver dato troppo spazio al Presidente del consiglio, mandando in onda per intero una sua conferenza stampa. Subito dopo, nel mirino dell’Agcom sono entrate le tv Mediaset, responsabili di dare pochissimo spazio ai grillini. Infine, i partiti minori come Ncd e Scelta civica hanno parlato di boicottaggio nei loro confronti da parte delle principali Tv nazionali e hanno invocato un intervento dell’Autorità.
C’è da scommettere che di qui al 25 maggio altre rivendicazioni di questo tipo finiranno sul tavolo dell’Agcom e non è detto che le eventuali sanzioni possano in qualche modo ristabilire una certa regolarità nella campagna elettorale. La legge sulla par condicio, infatti, fa acqua da tutte le parti e il bilancino con cui viene applicata, attraverso un asfissiante meccanismo di minutaggio puramente quantitativo nell’assegnazione degli spazi di visibilità mediatica, è davvero quanto di più lontano ci possa essere rispetto ad un’effettiva parità di trattamento per tutti gli attori politici.
Molti conduttori di telegiornali e talk show nascondono la loro partigianeria dietro un formale rispetto degli obblighi di legge. Un giornalista che realizza un servizio televisivo o un conduttore di una trasmissione di approfondimento politico si adeguano in linea teorica alla par condicio se invitano un esponente di ciascuno schieramento o di ciascuna forza politica; ma se optano per un personaggio di punta di una parte politica e per personaggi di seconda fascia per le altre forze in campo in realtà avvantaggiano il primo e gli lasciano campo libero perché le sue argomentazioni risulteranno di gran lunga più persuasive delle altre, esposte da soggetti meno noti e meno abili dialetticamente.
Altra anomalia dell’attuale regolamentazione riguarda l’assenza di norme per quanto riguarda la Rete. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha richiamato i media on line ad essere ugualmente rispettosi del principio delle pari opportunità in campagna elettorale, ma tantissimi canali internet, anche audiovisivi, non hanno vincoli di questo tipo e non sono contenitori giornalistici né di intrattenimento. Si tratta, spesso, di blog o di social network che alimentano dialoghi in libertà spesso sbilanciati nei confronti di qualcuno. E la formazione dell’opinione pubblica passa sempre più spesso attraverso queste forme di condivisione, difficilmente controllabili. Anche in materia di sondaggi la Rete rappresenta un’oasi dorata, una sorta di zona franca nella quale, con gli opportuni marchingegni (pseudonimi, nickname, ecc.) è possibile diffondere le intenzioni di voto fino al giorno prima dell’apertura dei seggi. E nessuno può vietare queste pratiche né tentare di frenarle sul piano squisitamente informatico e tecnologico.
Infine, si sa che, al di là del controllo quantitativo, molti esponenti politici riescono a far parlare maggiormente di sé “sparandola grossa”, alzando il termometro dello scontro politico e guadagnando le prime pagine dei giornali e le aperture dei telegiornali. Sia Grillo (con gli strali contro Napolitano) sia Berlusconi (con le frasi sull’Olocausto) hanno occupato spazi di visibilità enormi, oscurando quasi le opinioni degli altri soggetti in campo. Ed è facile prevedere che queste sortite si moltiplicheranno, trattandosi di leader che si esaltano in campagna elettorale e che sanno come guadagnare le attenzioni dei media.
Negli altri Stati europei le norme sulla par condicio esistono e vengono rispettate, ma i meccanismi di quantificazione degli spazi non sono così farraginosi come in Italia e non scatenano lotte fratricide nelle settimane che precedono il voto. Esiste un sacro rispetto dell’avversario e non si fa ricorso a tecniche subdole e a colpi bassi per prevaricare le altre forze politiche. In Italia c’è da augurarsi che la normativa sulla par condicio venga rivista, prevedendo da un lato regole più ferree per quanto riguarda la scelta degli interlocutori da coinvolgere per ciascun partito e assicurando dall’altro lato una copertura maggiore per quanto riguarda la disciplina di internet.
L’Agcom ha spesso le armi spuntate e anche al suo interno spesso si divide tra commissari vicini al centrodestra e commissari vicini al centrosinistra, il che rende spesso meno credibile la sua giurisdizione in materia di rispetto del pluralismo e della par condicio. È ora di cambiare. Insieme con l’auspicata riforma della legge elettorale, sarebbe assai opportuno che nell’ambito della disciplina della ripartizione degli spazi di propaganda elettorale intervenissero modifiche sostanziali. L’assillo del bilancino e del minutaggio paritetico non hanno sin qui assicurato lealtà tra gli attori politici né rispetto sostanziale delle regole.