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OMELIE LUNGHE

Papa inascoltato se denuncia la sindrome da microfono

Il plauso del clero per il «nuovo corso» inaugurato da papa Francesco è pressoché universale. Ma i "bergogliani" fanno spallucce quando il Papa chiede omelie brevi. E' la sindrome da microfono che colpisce i preti. 

Economia 14_02_2018

Bisogna scomodare la psicologia del profondo per capire certe cose. Per esempio, il plauso del clero per il «nuovo corso» inaugurato da papa Francesco è pressoché universale: bando alla dottrina, misericordia, no al proselitismo, dialogo, accoglienza, poveri & periferie sono le nuove parole d’ordine e, anzi, lo «stile» di Francesco ha sostituito lo «spirito del concilio» nell’entusiasmo clericale. E non c’è alzata d’ingegno eterodossa che non invochi l’ormai classico «come dice il papa».

Solo che, il papa, qualche giorno fa ha esternato sulle omelie. Ha detto, giudiziosamente, che devono essere non improvvisate ma ben preparate. E che – udite, udite - non devono superare i dieci minuti di durata. Ed ecco che il clero già fan bergogliano ha fatto spallucce, orecchie da mercante, come se quello non avesse detto niente. Qui Francesco non viene seguito, qui poteva risparmiarsi il fiato, qui è come se avesse parlato al vento. Dieci minuti? Chi, io? Con tutte le cose meravigliose e avvincenti che ho da dire? Così, il clero si è voltato dall’altra parte e si è riaccomodato sul cuscino. Francesco ha parlato? Ecchissenefrega.

Il prete standard non parla meno di venti minuti, qualcuno parla per venticinque, c’è chi supera la mezz’ora. Così che il centro della messa non è il Sacrificio, relegato nell’ultimo quarto d’ora, ma lui, il prete e il suo comizio. Quando ha finito, si siede e si osserva l’unico minuto (scarso) di silenzio dell’intera messa. Per meditare sulla Parola di Dio? No, per meditare su quel che ha detto il prete. Il quale, nella maggior parte dei casi, si ritiene un oratore nato, tant’è che parla a braccio, senza avere «preparato» un bel niente. Eh, i preti non hanno tempo (lo trovano tutto in chiesa la domenica).

Abbiamo parlato inizialmente di psicologia? Infatti. E’ la sindrome del microfono, così come vediamo anche nei talkshow o quando, in tivù, il giornalista dislocato in qualche località fa parlare la gente dei comitati di protesta. Spesso, in quest’ultimo caso, si svolgono vere e proprie colluttazioni tra il giornalista e quello che gli vuole strappare il microfono di mano per parlare lui. Tutti, quando abbiamo, appunto, il microfono in mano, ci sentiamo al centro dell’attenzione e lottiamo per non rinunciarvi. Così, un prete, afferrato il microfono, si trova protagonista dello show e fa una fatica boja a smettere. Certuni, mai paghi, costellano di mini-omelie l’intera messa, commentando ogni minimo passaggio e cominciando dall’inizio: prima dello start, ecco un commento (di solito logorroico e pleonastico) su quel che avverrà. Cioè, aria fritta in perfetto pretese.

E che dire di quelli che, per affettare bontà, parlano in modo melenso e strascicato, così che per dire cinque parole ci mettono un sacco di tempo? Per quanto riguarda i contenuti delle omelie, sarebbe interessante effettuare un sondaggio. Cioè, mettersi  all’uscita della messa, fermare chi esce e chiedergli: saprebbe riassumermi quel che ha detto il celebrante? Ora, ammesso che l’intervistato sia rimasto attento per tutto il discorso, cosa veramente improbabile, la verità è che un sunto è impossibile. Troppo generico e genericamente buonista l’omelia.

In sintesi: il prete ha parlato venti-venticinque minuti senza dire niente di speciale. Solo che, meno aveva da dire, e più lo ha detto. Sindrome del microfono. Povero papa Francesco: per una volta che ne ha detto una giusta, eccolo snobbato. Tra l’altro, col suo stile franco ha aggiunto che, se l’omelia supera i dieci minuti, c’è il rischio che l’ascoltatore esca a fumarsi una sigaretta. Così era, ricordo, nel Sud negli anni Cinquanta e Sessanta: appena cominciava la «predica», gli uomini uscivano di chiesa, si accendevano una sigaretta sul sagrato e poi tornavano quando sentivano silenzio. Davvero, il popolo dei fedeli è troppo educato: sta seduto, zitto e buono, a sorbirsi la noia mortale della domenica mattina. Sarebbe auspicabile un «voto coi piedi»: appena l’omelia supera i dieci minuti, tutti fuori, e lasciare il prete a parlarsi addosso da solo. Viva papa Francesco.