Papa in Israele, chi vuol rovinare il pellegrinaggio
A pochi giorni dal pellegrinaggio in Terra Santa, un gruppo di ebrei ortodossi manda minacce ai cristiani e scrive graffiti incendiari. Si tratta di una piccola minoranza, ma le autorità latitano e l'inchiesta procede a rilento.
“Morte a tutti gli arabi cristiani e ai nemici di Israele”. Con il nome vendicativo di “price-tag” (letteralmente: prezzo da pagare) un gruppo di estremisti ebrei ultraortodossi ha fatto molto parlare di sé in questi mesi in Israele. Dopo gli atti vandalici al Cenacolo e al monastero trappista di Latrun, qualche giorno fa è comparsa questa scritta sui muri del Notre Dame Center, l’istituto per l’accoglienza di pellegrini gestito dai Legionari di Cristo e proprietà del Vaticano. E nella lettera minatoria inviata al Vicario patriarcale per la Galilea, mons. Marcuzzo, firmata da un certo «Messia, Figlio di Davide», i cristiani, considerati «idolatri» e seguaci di «culti pagani», venivano minacciati di essere uccisi se non avessero lasciato la Terra Santa a breve. Il tutto a pochi giorni dalla visita di Papa Francesco.
Se da una parte il Pontefice gode di una popolarità indiscussa tra chi abita nella terra di Dio, rimangono alcuni piccoli gruppi determinati a mettere – per quanto possibile – i bastoni tra le ruote a questo breve ma intenso viaggio papale. Il primo a fugare le preoccupazioni per questi gesti di pochi estremisti è il Custode di Terra Santa padre Pierbattista Pizzaballa, che non intende certo “creare allarmismi per un piccolo gruppo di idioti”. Quello che è successo «provoca certamente fastidio, ma deve essere ricondotto a un piccolissima parte della società ebraica e non alla maggioranza, che riconosce in questo Papa un grande amico e privilegiato interlocutore». E tuttavia alle parole del frate francescano fanno eco dei fatti che gettano alcune ombre sul “pellegrinaggio di pace” di Francesco.
Alla Knesset non sembrano determinati a risolvere in breve la vicenda. Il Ministro della Giustizia, Tzipi Livni, è al momento l’unica che ha risposto e ha denunciato i crimini che ha descritto come «terrorismo», aggiungendo sul suo profilo Facebook: «Chi ha fatto ciò non può appartenere al mio popolo». La latitanza della polizia nell’individuare – e fermare – i colpevoli è però ormai sotto gli occhi di tutti. A Gerusalemme, alla porta di Jaffa dove sorge il Christian Information Center, è stata posta un’enorme gigantografia che recita: “Benvenuto papa Francesco”. Nei giorni scorsi è stata proprio la polizia a chiedere ai francescani che gestiscono il centro di togliere il poster con la foto del pontefice. Qualcosa insomma – nel generale clima di cordialità - non torna. E il Ministro israeliano per la Sicurezza interna, Yitzhak Aharonovitch ha indicato che il suo governo aveva «l’intenzione di ricorrere alla detenzione amministrativa» contro gli artefici di questo tipo di attacchi. Un tipo di detenzione fino a ora utilizzata solo contro i palestinesi, che prevede di imprigionare i sospettati più rapidamente, senza processo e su ordine di un tribunale militare, per un periodo di sei mesi rinnovabili. Ma il Ministro, in questa situazione di tensione e dopo un’inerzia di diversi mesi, ha invitato anche tutta la classe politica a rispondere a queste domande. Perché la maggior parte di questi crimini sono impuniti? La polizia dovrebbe considerare di rivedere i suoi mezzi per impedire tali atti criminali? Dovremmo sviluppare nuove tecnologie per filtrare i social network e per fermare questi estremisti prima che passino all’azione?
Domande ancora rimaste senza risposte, a causa di una classe politica israeliana per lo più sorda a questi attacchi contro i cristiani. Difficile pensare che il paese più “sicuro” del mondo abbia difficoltà a rintracciare questi criminali. E se questo Papa si è sempre dimostrato amico degli ebrei (e co-autore di un libro con un rabbino di Buenos Aires), è anche vero che non è mai apparso conciliante con il governo di Netanyahu. E viceversa. La fredda cordialità tra i due si declina anche su certi versanti pratici. A smentire – per esempio – le voci che davano per sicura la cessione del cenacolo al Vaticano (questione che va avanti da anni) è stato il ministro degli esteri Avigdor Lieberman e l’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Zion Evrony, secondo cui “Israele non ha alcuna intenzione di passare il controllo della stanza luogo dell’ultima cena di Gesù”. Ma non solo. Il fatto che da Amman Francesco abbia scelto di atterrare – il giorno dopo - direttamente a Betlemme, snobbando Tel Aviv, sta a significare quanto sia poco interessato agli intricati equilibri politici di questo Paese (che prevedono infatti per ogni viaggio ufficiale l’atterraggio sul suolo ebraico prima di arrivare ai territori occupati). Tanti incontri con le persone e pochi i politici, in un paese dove conta tanto la politica e poco le persone, avverte tutti su che tipo di viaggio sta per intraprendere Sua Santità. Per inciso, quell’enorme poster a Jaffa Gate è rimasto ancora lì. Perché le pietre vive, i cristiani di Terra Santa lo aspettano, eccome.