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L'INDAGINE

Pandemia sessista: fa differenze tra i maschi e femmine

La pandemia ha rammentato le differenze psicologiche tra i sessi. A documentarlo è una nuova ricerca a cura di quattro studiosi della prestigiosa Virginia Tech. 

Editoriali 28_08_2021

Che cosa insegnerà la pandemia? Per capirlo toccherà aspettare che l’attuale stagione si concluda, sperando naturalmente lo faccia al più presto. Tuttavia, una cosa si può già evidenziare, ed è una verità politicamente molto scorretta – secondo alcuni addirittura «sessista» - che il coronavirus, più che insegnare, sta ricordando: gli uomini e le donne sono profondamente differenti. Un dato che, in realtà, sul piano clinico è assodato da tempo dato che sappiamo che il tasso di letalità della Covid-19, come si rilevava ancora lo scorso anno su Frontiers in Public Health, è maggiore, se non doppio, tra i pazienti maschi.

C’è però dell’altro: la pandemia ha rammentato pure le differenze psicologiche tra i sessi, che ci sono e risultano peraltro assai nette. A documentarlo è una nuova ricerca a cura di quattro studiosi della prestigiosa Virginia Polytechnic Institute and State University - più nota come Virginia Tech – pubblicata negli scorsi giorni sulla rivista Frontiers in Psychology. Con questo lavoro, si è inteso studiare la paura e il rischio percepito nel corso della pandemia, valutando se vi fossero, in proposito, delle differenze di genere; per fare questo, si è sottoposta una batteria di domande ad un campione causale di circa 1.500 persone residenti negli Stati Uniti.

La ricerca è stata svolta ad aprile 2020, quando cioè il contagio e purtroppo anche i decessi erano in forte crescita, chiedendo alle persone interpellate di esprimersi su vari ambiti: sui rischi sanitari e finanziari, sulle conseguenze sul reddito della famiglia della pandemia, sulla possibilità che un componente del nucleo potesse ammalarsi o morire. Ebbene, ciò che si è osservato è che non solo le differenze tra maschi e femmine ci sono, ma risultano pure piuttosto nette.

Nello specifico, si è anzitutto visto come la parte femminile del campione fosse più timorosa di quella maschile, con quasi il 20% delle donne che ha scelto il valore più alto disponibile per descrivere la propria paura della pandemia, opzione che invece gli uomini hanno individuato in poco più del 9% dei casi: una differenza notevole. In seconda battuta, nonostante gli uomini, rispetto alle donne, abbiano più probabilità di soffrire le conseguenze del virus, hanno mostrato di avere, rispetto alla controparte femminile, aspettative sistematicamente inferiori sulle conseguenze negative del contagio.

Ancora, gli uomini, confermando l’attenzione maschile al lavoro, hanno espresso più preoccupazione delle donne rispetto alle implicazioni economiche legate alla pandemia. Beninteso: ora – lo affermano gli stessi autori principali dello studio, i professori Sheryl Ball e Alec Smith - la paura della pandemia è di certo più contenuta dell’anno scorso; inoltre, gran parte di queste risultanze sono a ben vedere in linea con acquisizioni precedenti, note agli psicologi. Ma quest’ultimo, in realtà, più che essere un punto di debolezza rappresenta un elemento di interesse di questa ricerca, perché conferma che neppure il coronavirus è riuscito ad attenuare differenze tra i sessi che, al contrario, ad ogni esame empirico ritornano come un dato evidente e solido.

Forse pure la pandemia è «sessista» e nemica dell’osannata «parità di genere»? Pare francamente il caso di iniziare a chiederselo. Battute a parte, risulta rilevante come, oltretutto in un tempo dominato dall’ideologia gender-neutral – quella secondo cui sarebbero da abbandonare parole come «signore e signore», «padre e madre» e «maschio e femmina» -, sia un’altra protagonista di questo periodo, e cioè appunto la pandemia, a rispecchiare e suffragare quella differenza sessuale che, appunto, si sta facendo l’impossibile per negare; ma che è ancora al suo posto: sotto allo sguardo di chiunque non abbia i paraocchi.