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ISLAMABAD

Pakistan, è sempre caccia al cristiano

Un cristiano arrestato per blasfemia e un intero villaggio cristiano incendiato e distrutto, sono il risultato di un nuovo gravissimo episodio di persecuzione religiosa nei confronti dei cristiani in Pakistan. Come sempre la violenza è partita da un'accusa inventata.

Esteri 11_03_2013
Pakistan

Un nuovo, gravissimo episodio di persecuzione religiosa nei confronti dei cristiani si è verificato in Pakistan, a Lahore, la capitale del Punjab. Il 9 marzo migliaia di islamici a caccia di un cristiano accusato di blasfemia hanno attaccato l’insediamento cristiano Joseph Colony distruggendo e incendiando circa 150 tra abitazioni e negozi.

Più di 300 famiglie hanno perso casa e ogni avere e almeno 35 persone sono state ferite mentre la maggior parte degli abitanti tentava di sottrarsi alla violenza dandosi alla fuga. All’origine del mob islamico, questa volta, è stata una violenta discussione nata il giorno prima in un negozio di barbiere.
Sawan Masih, un cristiano di 26 anni, vi si era recato per farsi tagliare i capelli. Ma il proprietario, Imran Shahid, musulmano, ha rifiutato di servirlo usando espressioni offensive a proposito del cristianesimo alle quali Masih sembra abbia a sua volta replicato dicendo qualcosa che al barbiere non è garbato.

In seguito Shahid, accompagnato da altre persone, ha quindi denunciato per blasfemia Sawan Masih presso una stazione di polizia sostenendo che il giovane si era presentato nel suo negozio ubriaco e aveva insultato il profeta Maometto.
Masih è stato subito arrestato, ma questo non è valso a calmare gli animi. Al contrario, attorno al barbiere si è raccolta una folla sempre più numerosa e agguerrita che ha dapprima attaccato la casa di Masih malmenandone il padre e poi ha diretto la violenza contro l’intera comunità cristiana, accanendosi anche contro un religioso accorso sul posto al quale è stata distrutta l’automobile.

Solo in serata è giunto infine un contingente di agenti che hanno arrestato un centinaio di persone e hanno ammansito la folla assicurando che la denuncia era stata registrata e che il colpevole di blasfemia, già in carcere, sarebbe stato giudicato e punito.
Un futuro incerto attende Sawan Masih. In Pakistan le pene per chi offende la religione sono molto severe. Da quando negli anni 80 il governo militare del generale Zia-ul Haq ha aggiunto nuovi articoli alle leggi in materia, dissacrare il Corano comporta l’ergastolo e la blasfemia può essere punita con il carcere a vita o con la morte.

Se anche venisse assolto, Masih potrebbe tuttavia cadere vittima della “giustizia” popolare. Più volte è già successo che persone incriminate per blasfemia siano state assassinate mentre erano in carcere, in attesa della sentenza, oppure dopo il rilascio e che i loro familiari siano stati a loro volta perseguitati.
Per questo, come si ricorderà, la piccola Rimsha Masih, la bambina cristiana affetta da un disturbo mentale arrestata anch’essa lo scorso agosto con l’accusa di blasfemia per aver profanato il Corano, è stata tenuta in un luogo sicuro per tutto il tempo intercorso tra il rilascio e il giudizio definitivo della corte suprema che l’ha infine assolta il 16 gennaio 2013: e ancora non può dirsi salva.

Colpisce inoltre, della vicenda di Sawan Masih, il fatto che un islamico possa offendere altre religioni, discriminare chi non è musulmano, di fatto comportandosi come in regime di apartheid – di segregazione, in questo caso non razziale bensì religiosa – senza subire conseguenze, anzi confidando nel consenso generale e nell’inerzia delle autorità; e che possa inoltre usare disinvoltamente l’accusa di blasfemia per liberarsi di un avversario, di un nemico, di una persona antipatica con cui ha litigato oppure per suscitare ostilità per i cristiani e approfittarne.

L’imam Khalid Jadoon Chishti aveva montato l’accusa contro Rimsha in realtà per creare risentimento verso la comunità cristiana a cui la bambina appartiene e requisirne le proprietà.
Invece Barkat Masih, di famiglia indu, ma convertito al cristianesimo, era stato accusato nell’ottobre 2011 di blasfemia da due operai solo perché aveva impedito loro di entrare negli uffici di un edificio di cui era guardiano, nei quali volevano rubare gli atti di proprietà relativi a un appezzamento di terra che intendevano occupare. Al suo rifiuto di farli entrare, lo avevano minacciato e insultato promettendo di fargliela pagare. Difatti lo avevano poi accusato di aver insultato il profeta Maometto. Anche lui è stato assolto il 28 gennaio, dopo aver trascorso in carcere 18 mesi e dopo essere stato condannato a morte in primo grado.

Delle manifestazioni di protesta organizzate da alcuni movimenti cristiani si sono svolte domenica 10 marzo in diverse città pakistane. A Lahore alla testa della protesta c’era Julius Salick, leader cristiano ed ex ministro federale, in prima linea nel denunciare le violenze ai cristiani e l’assenza del governo che non ne garantisce la sicurezza. Si è fatto portavoce tra l’altro della richiesta di un risarcimento di almeno 11,5 milioni di rupie per ogni famiglia danneggiata (circa 11.500 euro): ma il governo ne offre solo 200.000.
“Non si può escludere che la situazione dell’ordine pubblico diventi incontrollabile – ha dichiarato Salick all’ANSA durante la manifestazione – se le nostre richieste di sicurezza e di indennizzo verranno ignorate”.