Pakistan, anche i musulmani sufi sono perseguitati
Un terrorista suicida dello Stato Islamico, lo scorso 16 febbraio, si è fatto esplodere in un santuario sufi di Sehwan, provincia del Sindh, nel sud del Pakistan. Il bilancio è di almeno 80 morti e 250 feriti. I sufi stanno subendo una persecuzione continua da parte dei jihadisti, con centinaia di morti.
Un terrorista suicida dello Stato Islamico, lo scorso 16 febbraio, si è fatto esplodere nel santuario sufi di Syed Usman Marwandi, a Sehwan, provincia del Sindh, nel sud del Pakistan. Il bilancio è di almeno 80 morti e 250 feriti e continua ad aumentare di giorno in giorno. L’attentato non può in alcun modo essere letto come un fatto isolato. E’ parte di un’offensiva terroristica degli jihadisti: 6 attentati in appena 3 giorni. Ed è l'ultimo episodio, in ordine di tempo, di una cruenta persecuzione dei sufi.
Con una serie di raid al confine con l’Afghanistan e retate nei covi individuati, il governo dichiara di aver ucciso almeno 100 terroristi nei due giorni successivi all’ultimo attentato. Gli altri cinque attacchi terroristici miravano a colpire esercito, governo e una manifestazione di protesta dei farmacisti a Lahore. Sono tutti stati rivendicati dai (o attribuiti ai) Talebani del Pakistan, il Ttp, la sigla più irriducibile. Il governo di Islamabad ha accusato l’Afghanistan di fornire loro un rifugio sicuro entro i suoi confini. L’attentato contro i sufi, invece, è stato rivendicato dallo Stato Islamico che, più di ogni altro, colpisce le minoranze religiose. I sufi, i mistici dell’islam, sono particolarmente colpiti nel paese. Quella che stanno subendo, più che un’ondata di attentati è una vera e propria persecuzione.
Il primo grande attentato subito da un tempio sufi in Pakistan risale al 18 dicembre 2007, quando gli attentatori, miliziani dei Talebani, fecero esplodere una bomba nel santuario di Abdul Shakoor Malang Baba. Un anno dopo, fecero saltare l’antico santuario (risalente al XVII Secolo) di Hazrat Abu Saeed Baba, nei pressi di Peshawar, provocando la morte di 10 persone. Il 5 marzo fu la volta del santuario di Rehman Baba (poeta del XVII Secolo): nessuna vittima, ma grande scalpore per la violazione di un luogo sacro noto sia in Pakistan che in Afghanistan. Il giorno dopo, razzi furono lanciati sul santuario di Bahadur Baba. Il primo massacro di grandi dimensioni si ebbe a Lahore nel luglio del 2010: due attentatori suicidi si fecero esplodere nel santuario di Data Ganj Bukhsh Hajveri, provocando 45 morti. L’ottobre successivo, un altro attacco suicida provocò una nuova strage a Karachi, nel santuario di Abdullah Shah Ghazi: 9 morti. Il 3 aprile 2011, 50 morti e 120 feriti nell’esplosione di due attentato suicidi nel santuario di Ahmed Sultan. L’11 dicembre 2012, altri due santuari nella provincia autonoma tribale di Khyber furono attaccati simultaneamente.
Gli attacchi ripresero nel 2013, mirando a colpire i leader spirituali del movimento. Il 20 febbraio gli jihadisti tesero un’imboscata al convoglio di Syed Hussain Shah, senza riuscire a ucciderlo ma provocando la morte di suo nipote e il ferimento di otto persone del suo seguito. Il 25 febbraio di quell’anno, venne attaccato il santuario di Ghulam Shah Ghazi: 4 morti e 27 feriti, fra cui il leader spirituale Pir Syed Hajan Shah, spirato dieci giorni dopo per le ferite riportate.
Questi sono solo i fatti più eclatanti. Dal 2005 ad oggi, secondo i calcoli del Center for Islamic Research Collaboration and Learning, i sufi hanno subito 29 attacchi, con un totale di 209 morti e 560 feriti, escluso l’ultimo attentato del 16 febbraio. Che è e resta il più grave nella storia di questa persecuzione.
I sufi sono musulmani. Non sono una minoranza scismatica, come gli sciiti. Sono anch’essi parte della tradizione sunnita. La loro persecuzione è dunque la dimostrazione più eclatante del settarismo dei jihadisti, che colpiscono tutti coloro che rifiutano di seguire la loro particolare visione dell’islam politico e guerriero. Mirano all’instaurazione di uno Stato mono-confessionale da loro guidato e normato. Il Pakistan, sebbene abbia una popolazione quasi interamente sunnita, subisce negli attentati jihadisti il maggior numero di vittime nel mondo, secondo solo all’Iraq. E’ anche la dimostrazione di quanto sia sfaccettata la persecuzione religiosa. Il Pakistan è a noi noto per la persecuzione dei cristiani, fra cui Asia Bibi ancora in attesa di sentenza per blasfemia da quasi otto anni. Ma gli stessi musulmani non possono dormire sonni tranquilli. Ecco perché non è affatto “razzismo” dare la priorità a chi è perseguitato per motivi religiosi, quando si tratta di accogliere i rifugiati. Il perseguitato, in questi e molti altri casi, può essere un musulmano nel mirino dei jihadisti.