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La giungla dei rimpatri

“Paesi insicuri”, quei giudici creativi che fanno di testa loro

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Altri setti emigranti illegali tornano in Italia dall'Albania perché il giudice di Roma ritiene non sicuri Egitto e Bangladesh. Musk provoca il nostro sistema giudiziario. Ma le sentenze sono piene di decisioni discutibili sulla valutazione di stati dotati di leggi adeguate. 

Attualità 13_11_2024

Sono arrivati in Italia il 12 novembre altri sette emigranti illegali che lo scorso venerdì erano stati portati in Albania. A decidere il loro trasferimento è stato il tribunale di Roma che ha sospeso il provvedimento di convalida del loro trattenimento nel centro di Gjdaer allestito dall’Italia, nell’ambito del Piano Albania, per ospitare persone provenienti da paesi sicuri e intercettate da navi italiane nel Mediterraneo mentre cercano di entrare in Unione Europea. Pochi giorni fa la stessa sorte era toccata ai primi 16 emigranti arrivati a Gjdaer il 16 ottobre. In entrambi i casi si tratta di cittadini egiziani e bengalesi e la motivazione del tribunale di Roma è che né l’Egitto né il Bangladesh sono paesi sicuri. Per questo non può essere adottata nei loro confronti la procedura semplificata prevista per chi proviene dai 19 Stati che secondo il governo italiano non presentano situazioni critiche tali da giustificare, se non i casi specifici, una richiesta di protezione internazionale. I giudici di Roma hanno rimesso tutto nelle mani della Corte di giustizia europea. I sette emigranti illegali si trovano adesso, come quelli che li hanno preceduti, in uno dei tanti Cas, Centri di accoglienza straordinaria, nei quali i richiedenti asilo vengono ospitati in attesa che la loro pratica venga esaminata da una Commissione territoriale e, in caso di parere negativo, fino a ricorso in Cassazione e alla sentenza definitiva.

Esultano cooperative e organizzazioni non governative. «Non sono migranti senza volto, ma persone in pericolo che meritano protezione – ripetono da settimane i post su Facebook di SOS MEDITERRANEE ITALIA – il protocollo Italia-Albania compromette l'obbligo di soccorso e discrimina chi è in fuga». «Il protocollo Italia-Albania viola la dignità e il diritto alla protezione dei richiedenti asilo» sostengono Refugees in Libya e Baobab Experience che hanno chiesto all’Alto commissariato Onu per i rifugiati di interrompere il monitoraggio svolto nell’ambito del Piano: è inutile, dicono, è superfluo, perché «è il Protocollo stesso (del Piano) a violare la dignità e il diritto alla protezione dei richiedenti asilo e non è necessario alcun monitoraggio ulteriore».

Evidentemente ci sono dei giudici dello stesso parere: oltre che a Roma, anche al tribunale di Bologna, che il 30 ottobre ha rinviato alla Corte di giustizia europea il caso di un richiedente asilo bengalese affinché stabilisca se si debba o meno applicare il Decreto legge del 21 ottobre con cui il governo italiano ha riformulato la lista dei Paesi sicuri; e a quello di Palermo, dove è in corso il processo al ministro delle infrastrutture Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona per aver cercato nel 2019 di impedire lo sbarco in Italia degli emigranti illegali che viaggiavano a bordo di Open Arms, una nave di proprietà di una Ong spagnola.

Elon Musk ha scritto su X: «Questi giudici devono andarsene». Ma quello che Musk non sa, e con lui sicuramente la maggior parte degli italiani, è la quantità di giudici che, se anche non condividono del tutto i giudizi delle Ong e dei loro colleghi, concedono a degli emigranti illegali protezione internazionale (status di rifugiato o protezione sussidiaria) oppure protezione speciale (prima del 2018,  protezione umanitaria) accettando come plausibili richieste di asilo che invece sarebbe opportuno considerare con prudenza, a maggior ragione se di fatto rivolgono a dei governi l’accusa di non tutelare i rispettivi cittadini – il diritto alla vita, alla libertà, alla salute – al punto da indurli come unica, disperata soluzione a fuggire.

Ci sono effettivamente governi che possono, e anzi devono, essere considerati responsabili di violare i diritti umani: il Sudan, lo Myanmar, l’Afghanistan, il Venezuela… ma nel caso di molti altri l’accusa ai loro governi di non tutelare i cittadini potrebbe addirittura provocare incidenti diplomatici.

La pagina web dell’Ong Melting Pot Europa riporta centinaia di sentenze, segnalate da avvocati di tutta Italia come il trionfo della giustizia. Il 16 ottobre 2024, ad esempio, il tribunale di Milano si è pronunciato contro l’espulsione di un cittadino di El Salvador affetto da una patologia sostenendo che il suo paese non è in grado di offrirgli adeguato supporto sanitario prova ne sia che, nonostante una riforma risalente al 2009, la copertura del sistema sanitario pubblico rimane bassa e si è registrato un aumento della spesa a carico dei cittadini, passata da 98,15 dollari nel 2009 a 118,24 dollari nel 2021. Inoltre, sebbene la legge in Salvador proibisca la discriminazione delle persone con disabilità fisiche, sensoriali, intellettuali e mentali, tuttavia il governo non la applica e non esiste nemmeno un sistema formale per presentare una denuncia di discriminazione basata sulla disabilità.

Il 14 ottobre 2024 anche il tribunale di Roma ha accolto il ricorso di un cittadino tunisino e gli ha rinnovato il permesso di soggiorno in Italia per cure mediche avendo stabilito che il sistema sanitario tunisino non garantirebbe al ricorrente la qualità delle cure ricevute nel nostro paese. Può darsi che l’Italia stia garantendo loro cure migliori che in patria. Ma per esserne certi bisognerebbe sapere, per un confronto, quanto lunghe sono nei loro paesi le liste d’attesa per effettuare esami e visite mediche (in Italia ormai mesi e persino anni) e quante persone sono costrette a rinunciare alle cure mediche perché non sono in grado di pagarle e lo Stato non vi provvede (nel 2021 quasi cinque milioni di famiglie italiane hanno rinunciato o rimandato visite mediche ed esami e almeno dal 2016 la quota di spesa sanitaria a carico dei privati è in continuo aumento).

Andando a ritroso, il 10 luglio 2023 il tribunale civile di Roma ha riconosciuto lo status di rifugiato a un cristiano copto egiziano nella convinzione che il rimpatrio lo avrebbe esposto al rischio di essere perseguitato a causa della sua fede, vista «l’assenza di protezione da parte dello Stato di appartenenza». «Degno di nota –  si legge nel commento alla sentenza – il cenno relativo alla legislazione egiziana sulla blasfemia (articolo 98 F del Codice penale), frequentemente utilizzata per arrestare e perseguire membri di minoranze religiose, tra cui cristiani». Però denunciare «l’assenza di protezione» ai cristiani da parte del governo egiziano è ingiusto. L’attuale presidente Abdel Fattah al-Sisi ha più volte dato prova del contrario. Oltre tutto il citato articolo 98F del codice penale in realtà punisce «chiunque sfrutti e usi la religione sostenendo e propagandando con parole o gli scritti, o con qualsiasi altro mezzo, pensieri estremisti allo scopo di istigare sedizione e divisione o di disdegnare e disprezzare una qualsiasi delle religioni o delle sette ad esse appartenenti, o di pregiudicare l'unità nazionale o la pace sociale». Sebbene talvolta abusata, la legge è stata pensata proprio per proteggere le minoranze religiose.

Ecco un altro caso, infine, tra quelli raccolti da Melting Pot. Il tribunale di Roma il 9 luglio 2024 ha riconosciuto lo status di rifugiato a una richiedente asilo tunisina, vittima di violenza domestica da parte del compagno della madre. Con riferimento all’articolo 3 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), il tribunale ha stabilito che in Tunisia, paese ritenuto sicuro dal governo italiano, nonostante l’esistenza di leggi e misure volte a contrastare la violenza contro le donne, permangono varie e sistematiche forme di discriminazione e violenza contro queste ultime e che, a fronte di numerosi e diffusi episodi di violenza domestica, lo Stato tunisino non offre una tutela adeguata.

Per le stesse, identiche ragioni si può dire allora che l’Italia per le donne non è un paese sicuro.