Paese che vai, festa dei morti che trovi. Come memento mori
Feste e piatti in occasione della commemorazione dei defunti hanno tutte un ruolo di un memento mori che dovrebbe farci riflettere su come spendere la nostra vita, ricordandoci che la dobbiamo vivere in tal modo da non dovere avere rimpianti quando arriverà l’ultima ora, quell’ora che, dopo tutto, è la più importante dell’intera vita. Dal Piemonte alla Sicilia, fino al Messico. Ogni paese ha la sua consuetudine.
- RICETTA: OSSA DEI MORTI
Il culto dei defunti ha radici antichissime, che rimontano alla preistoria, come testimoniano le incisioni rupestri della Val Camonica (sito UNESCO della provincia di Brescia). Nella chiesa latina il rito viene fatto risalire al Medioevo, quando l’abate benedettino sant'Odilone di Cluny, nel 998, con la riforma cluniacense, stabilì che le campane dell'abbazia fossero fatte suonare con rintocchi funebri dopo i Vespri del 1° novembre per celebrare i defunti, e il giorno dopo l’Eucaristia sarebbe stata offerta pro requie omnium defunctorum.
Successivamente il rito venne esteso a tutta la Chiesa cattolica. La festività era chiamata originariamente Anniversarium Omnium Animarum. Essa appare ufficialmente per la prima volta nell'Ordo Romanus del XIV secolo.
La commemorazione è collegata alla verità di fede nella comunione dei santi, nella remissione dei peccati e nella resurrezione della carne. La biografia di Odilone curata da san Pier Damiani riferisce che un monaco nativo di Rodi, di ritorno a Gerusalemme, si fermò nell'Isola di Vulcano dove un eremita gli riferì eventi soprannaturali vissuti dalle anime tormentate da demoni e della loro liberazione interceduta dalle orazioni ed elemosine degli abati cluniacensi. È proprio questo racconto del monaco che influenzò l'iniziativa dell'abate Odilone e la relativa celebrazione. Quest’ultima si basa sulla dottrina che le anime dei fedeli che alla morte non si sono purificate dai peccati veniali, o non hanno espiato le colpe passate, non possano raggiungere la Visione Beatifica, ma possano essere aiutate a conseguirla mediante la preghiera e il sacrificio della Messa.
Queste feste, che onorano le "anime dei defunti" come se fossero vive in un altro reame rispecchiano l’idea di una vita oltre la morte, da sempre presente in ogni gruppo umano e di cui vi sono tracce fin da epoche preistoriche.
Ogni Paese ha le proprie abitudini gastronomiche legate alla Festa dei defunti. In Italia è consuetudine, oltre a portare in dono fiori (tradizionalmente crisantemi) e lumini sulle tombe dei propri cari, di preparare piatti specifici, destinati a celebrare le anime dei defunti. In genere sono dolci (i “dolci dei morti”), ma anche salati, come il famoso Fasulìn de l'öc cun le cùdeghe (fagioli dell’occhio con le cotenne di maiale), tipico delle provincie lombarde di Lodi e di Cremona: tale pietanza viene servita in una manifestazione gastronomica pubblica dedicata che si svolge proprio tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre a Pizzighettone (provincia di Cremona).
In Piemonte la vigilia del 2 novembre le famiglie si riuniscono per cenare con le castagne e pregare insieme, lasciando poi la tavola apparecchiata per i defunti che potranno mangiare. Il 2 novembre, dopo il tramonto, le famiglie vanno al cimitero a visitare le tombe dei propri cari, mentre le anime dei morti entrano per riposare nelle case lasciate vuote. Quando suonano le campane le famiglie possono ritornare a casa. Questa tradizione esiste anche in Valle D’Aosta.
In Veneto si mangiano gli ossi dei morti, (fave di pasta frolla colorata), mentre a Treviso per la ricorrenza dei morti si mangiano delle focacce tipiche, chiamate “i morti vivi”. In Liguria ci sono i bacilli (fave secche) e i balletti (castagne bollite). In Umbria (Perugia) ci sono dei dolcetti a forma di fave, gli stinchetti dei morti che sono dei dolcetti secchi a forma di tibia (osso di stinco), preparati nel periodo da Novembre a Natale. In Toscana si celebra il bèn d’i morti con il quale in origine gli estinti lasciavano in eredità alla famiglia l'onore di distribuire cibo ai più bisognosi, mentre chi possedeva una cantina offriva a ognuno un bicchiere di vino; ai bambini inoltre veniva messa al collo la sfilza, una collana fatta di mele e castagne bollite. Sempre in Toscana, nella zona del monte Argentario era l'usanza di mettere delle piccole scarpe sulle tombe dei bambini defunti perché si pensava che nella notte del 2 novembre le loro anime (dette angioletti) tornassero in mezzo ai vivi.
Il Meridione ha un’incredibile ricchezza di piatti legati alla ricorrenza dei defunti. In Puglia c’è un piatto molto interessante, chiamato il Grano dei morti (Cicc cuòtt), un dolce antichissimo fatto con grano e melagrane. In Campania, a Castel San Giorgio, si espone un Presepe (realizzato da un grande artista) all'interno del cimitero e nel giorno dei defunti viene eseguito un concerto di musica classica che attrae migliaia di persone. Sempre in Campania (ma anche in altre regioni, sia al nord che al sud) ci sono i dolci caratteristici detti “ossa dei morti”, biscotti secchi a base di albume, zucchero, cannella e chiodi di garofano o altre spezie. In Abruzzo, analogamente a quanto avviene in occasione della festa di Halloween, tipica del mondo anglosassone, era tradizione usare come lanterne le zucche, che venivano scavate e intagliate con motivi geometrici, mettendo poi una candela che avrebbe guidato le anime dei defunti.
In Sicilia il 2 novembre è una festa con molti riti per i bambini. Se sono stati buoni, troveranno dei regali lasciati dai morti, spesso sono giochi che i bambini hanno richiesto in una lettera scritta ai propri cari defunti. Secondo la tradizione, nel corso di questa notte i morti entrano nei negozi e nelle pasticcerie per prendere i doni per i più piccoli. Insieme ai giochi, la mattina del 2 novembre i bambini trovano anche ceste o vassoi con i dolci tipici di questo giorno, come i Pupi di zuccaro (bambole di zucchero) e la Frutta di Martorana, fatta con la pasta di mandorle dipinta. I pupi di zucchero sono piccole statue realizzate in zucchero, rappresentanti in origine dame e cavalieri della Storia dei Paladini di Francia o personaggi tipici siciliani (oggi sono rappresentati anche i personaggi dei cartoni animati).
In Sardegna la mattina del 2 novembre i ragazzini bussano alle case chiedendo offerte e ricevendo pane fatto in casa, fichi secchi, fave, mandorle, uva passa, melagrane e dolci.
Anche gli altri Paesi hanno delle tradizioni molto interessanti legate a questa festa. Ci fermeremo su uno in particolare, il Messico: la festa dei morti messicana (el Día de los Muertos) ha origine azteca ed è stata proclamata dall'UNESCO Patrimonio culturale immateriale dell'Umanità nel 2003: la ricorrenza rappresenta una commemorazione per il ritorno dei defunti sulla terra ed è profondamente sentita e radicata nella tradizione.
La presentazione tipica della morte è La Catrina, rappresentata sotto forma di uno scheletro con sombrero. La figura venne creata alla fine del XIX secolo come critica verso il malinchismo, ovvero l'attitudine delle persone a rinnegare le proprie origini, mentre il nome La Catrina è dovuto all’artista Diego Rivera (1886-1957), che nel 1947 ha realizzato per la sala da pranzo principale del lussuoso Hotel del Prado a Città del Messico, un grande murale che si trova oggi all’interno del Museo Mural Diego Rivera, dove fu spostato a seguito della demolizione dell’albergo, a causa di irreversibili danni strutturali provocati dal terremoto del 1985.
Questa rappresentazione de La Catrina ha poi assunto per la festa dei morti il significato di burla nei confronti della morte.
Durante il Dia de los muertos viene data particolare attenzione letteralmente al cibo dei morti: vengono cucinate le pietanze preferite del defunto per accoglierlo nel migliore dei modi e sfamarlo durante il suo ritorno nel mondo dei vivi. Non può mai mancare il Pan de Muertos, un dolce tipico la cui preparazione inizia qualche giorno prima del 1° novembre. La ricetta del pan de los muertos è molto semplice essendo frutto di una tradizione contadina e povera: la base è quella classica del pane, aromatizzata con l’anice o con l’acqua di arancio mentre in superficie si pratica una croce. Ci sono inoltre le calaveritas de azucar (teschi colorati di zucchero), un bicchiere d’acqua per dissetare il defunto dopo il suo lungo viaggio e del sale come simbolo di protezione e poi del cibo.
La festa messicana ha il ruolo di un memento mori che dovrebbe farci riflettere su come spendere la nostra vita, ricordandoci che la dobbiamo vivere in tal modo da non dovere avere rimpianti quando arriverà l’ultima ora, quell’ora che, dopo tutto, è la più importante dell’intera vita.