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ABORTO

Padova, la nuova cittadella degli abortisti

Dopo un nuovo caso esemplare, una donna padovana che vuole abortire il suo terzo figlio e si vede rifiutata per ben 23 volte nel triveneto, la Ulss locale costruisce un polo abortista, specializzato. Dopo il bando per soli medici abortisti della Regione Lazio, ora sorge un ospedale che pratica solo aborti, rappresentazione plastica del pensiero unico.

Editoriali 05_03_2017
Padova

Lei ha 41 anni e vive a Padova. Ha già due figli e rimane incinta del terzo. A dicembre scorso decide di abortire ma, a suo dire, non trova nessun medico disposto a compiere questo omicidio prenatale. Afferma di aver girato a vuoto il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e il Trentino. Per ben 23 volte le è stato risposto: “Mi spiace ma non possiamo aiutarla”. Le motivazioni addotte sono delle più varie: non c’è nessun medico non obiettore, molti sono in ferie, ci sono problemi burocratici, etc. Gira e rigira, in questo tour abortivo approda, chissà come mai, alla Cgil. Tutte le donne che vogliono abortire in effetti si rivolgono al sindacato, forse soprattutto dopo che la Cgil nel gennaio del 2013 aveva presentato un reclamo al Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa sulla «violazione del diritto alla salute delle donne e dei diritti lavorativi dei medici non obiettori di coscienza determinata dall’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza e dalla disorganizzazione degli ospedali e delle Regioni in materia di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza». Fatto sta che grazie all’intervento della Cgil la donna riesce ad uccidere il proprio figlio trovando proprio a Padova una struttura ospedaliera disponibile.

La vicenda ci puzza non poco. Ventitre rifiuti, una donna lasciata sola, l’intervento proprio della Cgil che da anni ha nel mirino i lavoratori (che contraddizione) del reparto medico che si dichiarano obiettori. Insomma pare proprio una storia studiata a tavolino, anche perché i medici abortisti non sono oberati di lavoro dovendo compiere meno di due aborti a settimana. Inoltre la relazione sullo stato di attuazione della 194 ci dice che ahinoi il numero di medici abortisti è congruo alla richiesta ed anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin nel 2013, istituendo un’apposita indagine, concluse che «eventuali difficoltà nell’accesso ai servizi, quindi, sono probabilmente da ricondursi a una distribuzione non adeguata degli operatori fra le strutture sanitarie, all’interno di ciascuna regione». Insomma c’è puzza di bruciato, ma finora non abbiamo prove per dimostrare che sia tutta una montatura e quindi sul punto serbiamo un prudente silenzio, rimanendo solo profondissimamente amareggiati per la morte di quel figlio per mano di sua madre.

Ovviamente la vicenda, fosse anche non costruita ad arte, è servita da una parte per crocifiggere di nuovo i medici obiettori e dall’altra per spingere ancor di più l’acceleratore sulla pratica abortiva, come se quasi i 6 milioni di aborti dal 1978 ad oggi non fossero abbastanza. Infatti proprio nel territorio patavino il direttore dell'Ulss 6 Domenico Scilibetta ha annunciato la creazione di una clinica dove si faranno solo aborti. In quel polo abortista verranno concentrati i medici non obiettori provenienti da Piove di Sacco, Cittadella, Camposampiero, Schiavonia e Sant’Antonio. Una sorta di task force per lo sterminio degli innocenti concentrati in un’unica base operativa.

La decisione di creare questa clinica era già stata presa a maggio, ma i fatti di Padova hanno suggerito al direttore di cavalcare l’onda mediatica e così a Il Gazzettino, prendendo la palla al balzo, ha sottolineato l’opportunità di erigere “un polo di riferimento centralizzato” proprio “in un momento così doloroso per la vita di una donna, con la quale mi sento solidale”. A margine: quando ci sarà così tanto clamore mediatico non per una donna che finalmente è riuscita ad eliminare un figlio, ma per un figlio finalmente salvato da un aborto?

E dunque pare proprio anche noi avremo la nostra Planned Parenthood, forse anche prima della fine del 2017. Dopo il bando per soli medici abortisti della Regione Lazio – de iure aperto a tutti i medici, ma de facto accettabile solo per gli abortisti – ecco che arriva anche la clinica per soli aborti. La pensata di mettere in piedi una clinica monomarca destinata solo alla clientela che chiede un aborto mette in luce un fenomeno che, almeno qui in Italia, pare prendere sempre più piede: ghettizzare i medici obiettori e la cultura pro-life. Insomma basta bandi pubblici aperti a tutti, basta ospedali dove ci sono medici abortisti e non, basta a cliniche dove in un reparto si mettono al mondo bambini e in quello accanto si uccidono. Basta con questa confusione, bisogna fare chiarezza. Occorre tornare alla segregazione razziale in cui c’erano bar, locali, cinema e autobus per soli bianchi e altri per soli neri. Occorre ordine, mettere all’angolo la marea montante di medici che non si vogliono macchiare il camice con sangue innocente e concentrare le forze per batterli. 

La clinica con esclusiva d’aborto, dove all’entrata è appesa l’immagine di un medico obiettore con sotto la scritta “Io non posso entrare”, rappresenta infine plasticamente il concetto di pensiero unico. E’ giusto solo abortire, non opporsi. Questa clinica sarà la prima costruzione di una cittadella dove avranno diritto di cittadinanza solo gli abortisti, i fautori dell’eutanasia, i sostenitori dell’omosessualità, gli adoratori dei bimbi in provetta o in gestazione per conto terzi. Tutti gli altri fuori.