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RAPPORTO SULLA POVERTA'

Oxfam: buoni propositi, ma troppa ideologia

Oxfam International pubblica il suo nuovo rapporto in vista del forum di Davos. Il documento rivela un allargamento del divario fra ricchi e poveri. Dopodiché suggerisce un piano in sette punti per redistribuire meglio la ricchezza. Ma qui rivela una visione errata dell'economia.

Economia 20_01_2015
Oxfam

Oxfam International è una sigla che raccoglie 17 organizzazioni non governative attive in quasi 100 paesi. Svolge la propria missione – contribuire a ridurre povertà e ingiustizie sociali – realizzando programmi di sviluppo in collaborazione prevalentemente con comunità locali e organizzando attività di sensibilizzazione. Rientra in questa seconda funzione un rapporto intitolato Ricchezza: avere tutto e volerne di più appena pubblicato, in vista del Forum economico di Davos che inizierà i lavori il 21 gennaio e a cui il direttore esecutivo di Oxfam, Winnie Byanyima, parteciperà in qualità di co-presidente, facendosi portavoce di un appello affinché vengano presi provvedimenti urgenti per ridurre il divario tra ricchi e poveri. 

Tale divario già notevole, sostiene Oxfam International, è cresciuto ulteriormente negli ultimi cinque anni: la parte di ricchezze mondiali detenute dall’1% della popolazione del pianeta è passato infatti dal 44% del 2009 al 48% del 2014 e, mantenendosi invariata l’attuale tendenza, supererà il 50% nel 2016. Per di più, il 52% delle ricchezze restanti appartiene al 20% della rimanente popolazione. Quel che avanza equivale solo al 5,5% delle ricchezze mondiali in ragione di una media annua di 3.851 dollari per persona adulta, mentre i rappresentanti dell’1% che controlla quasi metà dei beni mondiali possono contare in media su un reddito di 2,7 milioni di dollari. E ancora: tutti insieme i beni di cui dispone la metà più povera della popolazione sono pari alle ricchezze possedute dagli 80 uomini più facoltosi del mondo.  

“I poveri – spiega Winnie Byanyima – sono danneggiati due volte dalla crescente disuguaglianza: perché diminuisce la parte della “torta” economica a loro disposizione e perché ne risulta ostacolato lo sviluppo essendoci meno “torta” da spartire”. 

Per rimediare, Oxfam International propone ai governi un piano articolato in sette punti: contrasto all’evasione fiscale di multinazionali e persone ricche; incremento dell’imposizione fiscale su capitali e ricchezza; adozione di salari minimi e dignitosi per tutti i lavoratori dipendenti; legislazioni che impongano parità di retribuzione con particolare riguardo alle donne; una rete di protezione sociale per i più poveri che preveda un reddito minimo garantito; investimenti in servizi pubblici gratuiti per tutti; un obiettivo globale di lotta contro le disuguaglianze.   

Al di là delle indiscutibili verità e delle molte giuste considerazioni degli autori del rapporto, la prima osservazione, riflettendo sul testo, è che il piano di Oxfam è in parte dettato da una visione ben nota dell’economia: una torta – come appunto si è espresso il direttore Byanyima – che bisogna decidere come spartire, non un impasto che in condizioni favorevoli lievita e cresce. Privilegia quindi misure per ridistribuire le ricchezze più che per moltiplicarle, forse influenzato dalla popolare rappresentazione della ricchezza come frutto di rapina e sfruttamento. Da decenni ogni tanto qualcuno salta su a denunciare scandalizzato che il 20% della popolazione mondiale consuma l’80% delle risorse e a nulla vale replicare che quel 20% di popolazione produce l’80% delle risorse mondiali di cui perciò è legittimo possessore.

In secondo luogo va osservato che i ricchi di solito non sono dei Paperon de Paperoni che accumulano miliardi nei loro forzieri e lì li conservano paghi di goderne la vista. I ricchi trasformano una parte del loro denaro in capitali che investono e in parte, come tutti, lo spendono in consumi, contribuendo così al reddito di lavoratori dipendenti, imprenditori, commercianti e di tutte le categorie e i settori economici che partecipano alla produzione e alla commercializzazione dei beni di consumo. 

Di per sé, al contrario di quanto afferma Oxfam, la diseguaglianza non è “un ostacolo al benessere dei più”. Lo sono piuttosto e sicuramente corruzione e malgoverno che indebitano gli stati, consentono un pessimo uso del denaro pubblico e tanto ne fanno sparire prima che entri nelle casse statali. “In Africa – si legge nel testo – le grandi multinazionali sfruttano la loro influenza per evitare imposizione fiscale e royalties riducendo in tal modo la disponibilità di risorse che i governi potrebbero utilizzare per combattere la povertà”. Ma se possono farlo è perché trattano con governi corrotti: e, considerando come quei governi amministrano il denaro di cui dispongono, è tutt’altro che scontato che userebbero eventuali maggiori introiti fiscali e provenienti da altre fonti per combattere la povertà.

Si legge ancora nel testo che i miliardari sono più che raddoppiati dal 2009: in India, in Cina, in Nigeria... Ma quel che conta e importa è che cosa ne è stato dei poveri: e, per fortuna, i dati indicano che la povertà è ancora tanta, ma che nel periodo considerato sono stati fatti passi avanti considerevoli per contrastarla e contenerne gli effetti negativi. Il rapporto 2014 della FAO sulla sicurezza alimentare conferma ad esempio una tendenza positiva: soffrono la fame ancora 805 milioni di persone, ma sono 100 milioni in meno rispetto a dieci anni fa e oltre 200 in meno dal 1990. I traguardi raggiunti sono ancora più rilevanti se si tiene conto dell’incremento demografico verificatosi nel frattempo. 

Per finire, c’è un altro aspetto da considerare. Il 2% del Pil mondiale – rivela il rapporto – basterebbe ad assicurare una protezione sociale di base ai poveri del mondo intero; e l’1,5% delle grandi ricchezze sarebbe sufficiente a garantire istruzione e sanità a tutti i poveri. Ma devolvere denaro – reperito aumentando le imposte o in qualsiasi altro modo – per garantire cibo, assistenza sanitaria, un reddito minimo, acqua potabile, servizi igienici e qualunque altro bene a chi né è sprovvisto perché non è in grado di procurarselo con il proprio lavoro serve a farlo vivere meglio, ma nella dipendenza dall’assistenza umanitaria e non sconfigge la povertà, ma solo ne contiene i disagi. Attingere ai fondi di chi ha più del necessario per provvedere ai bisogni di chi è in difficoltà non diminuisce le disuguaglianze tra ricchi e poveri che restano tali. Uscire dalla povertà vuol dire essere in grado di vivere con i propri mezzi: di questo hanno bisogno i poveri per la loro dignità e la loro sicurezza e per questo bisogna pensare a un mondo in cui si producano più ricchezze e in cui chi le produce ne possa usufruire.