Ora di religione: quando ci mette becco lo Stato
Il Contratto Collettivo Nazionale Integrativo pone alcune novità sulla mobilità degli insegnanti di religione: lo Stato penserà in quali istituti inserire i docenti. Peccato che non sia possibile. Almeno secondo il Concordato.
È di qualche settimana fa la notizia che riguarda la mobilità degli insegnanti di religione cattolica. Il sito culturacattolica.it ha voluto dedicare un articolo all'argomento, evidenziando le pietre di scandalo che denunciano un'indebita intromissione dell'Autorità scolastica statale all'interno dell'insegnamento della religione cattolica, dai tempi del Concordato in mano all'Ordinario diocesano.
I commi 1 e 2 dell'articolo 8 del CCNI 2013 – Contratto Collettivo Nazionale Integrativo – pubblicati circa due settimane fa, dichiarano infatti: «Gli insegnanti di religione cattolica possono chiedere l'utilizzazione in altra sede della stessa diocesi in occasione dei movimenti di assegnazione provvisoria e utilizzazione regolati da apposito Contratto Collettivo Nazionale Integrativo. In quella stessa occasione gli insegnanti in servizio in diocesi che insistono sul territorio di più regioni possono presentare domanda di utilizzazione in una sede scolastica appartenente alla stessa diocesi ma ad una regione diversa. In questo caso i Direttori Generali degli Uffici scolastici regionali coinvolti stabiliscono i necessari accordi per le opportune compensazioni di organico». Regioni e diocesi non coincidono: così, chi ha l'abilitazione all'insegnamento in una diocesi e vuol essere spostato in altro luogo, della stessa diocesi ma di diversa regione, può farlo. Ma sarà poi l'Ufficio scolastico regionale a stabilire le "opportune compensazioni di organico". Ovvero, l'eventuale sostituto.
Il comma 2 insiste in questa direzione: «Le sedi assegnate per utilizzazione agli insegnanti di religione cattolica si intendono confermate automaticamente di anno in anno qualora permangano le condizioni e i requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge, cioè finché permanga la disponibilità oraria nell'Istituzione scolastica e finché non sia revocata l'idoneità rilasciata dall'ordinario diocesano competente». E prosegue: «In caso di utilizzazione con completamento orario esterno la conferma automatica riguarda la sede in cui l'insegnante ha il maggior numero di ore ovvero quella che figura per prima nel decreto di utilizzazione; ferma restando tale sede, in caso di variazione oraria in una elle sedi deve essere comunque raggiunta una specifica intesa con l'ordinario diocesano competente».
E qui c'è un problema. Sì, perché la legge 186/03, basata proprio sul Concordato, recita che: «L'insegnamento della religione cattolica […] è impartito in conformità alla dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni da insegnanti che siano riconosciuti idonei dall'autorità ecclesiastica, nominati, d'intesa con essa, dall'autorità scolastica».
In parole povere, le autorità scolastiche non possono decidere da sole le disposizioni e le nomine degli insegnanti di religione. L'unico parametro in mano alle autorità scolastiche concernono la stabilizzazione di un orario congruo alle esigenze formative degli istituti. Ma l'individuazione dell'insegnante e la scelta della scuola nel quale esso operi sono di competenza esclusiva dell'Ordinario diocesano. Questo, almeno, secondo il Concordato.
L'Ordinario ha anche il compito di valutare qualitativamente la conoscenza e la capacità degli insegnanti di religione, non attraverso una "graduatoria", così com'è pensata nell'ambito statale, ma mediante degli elenchi che sono già una prima scrematura. L'istituto dell'idoneità permette alla Chiesa di essere soggetto unico di competenza dell'insegnamento della religione cattolica. Non è quindi un diritto, perché si è in possesso di un titolo di abilitazione, pretendere la cattedra. L'idoneità all'insegnamento è decisa dall'Ordinario diocesano, che valuta anche la situazione morale dell'insegnante: ciò che importa è la comunione con la Chiesa. E, su questo, lo Stato non può metterci becco.