Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Pietro Canisio a cura di Ermes Dovico
FINE DI UNA CIVILTA'

"Opzione Benedetto": non un consiglio, ma un fatto

Da dove nasce la proposta contenuta nel libro The Benedict Option? Leggi, politiche, programmi scolastici, progetti sulla sessualità nelle scuole, pubblicità spingono sempre più gruppi ad organizzarsi per salvare il salvabile. Non sono molti, ma lo saranno. Un altro aspetto sta poi spingendo in questo senso ed è interno alla Chiesa stessa.

Editoriali 27_02_2018

Sulla “opzione Benedetto” è in atto una promettente discussione e ci sono già delle realtà cattoliche che vi fanno riferimento, se non in senso letterale almeno come spunto. Come è noto, si tratta della proposta di Rod Dreher contenuta nel libro The Benedict Option uscito negli USA nel 2017 e ora in Francia con un titolo un po' diverso.

I gesuiti della Civiltà Cattolica lo hanno però già criticato paragonandolo all’eresia donatista dei primi secoli cristiani. Lo ha fatto padre Andreas Gonçalves Lind nel numero 4022 della rivista. La proposta viene condannata come arrogante, fondata sulla pretesa di creare comunità di perfetti, rigide dottrinalmente e carenti di umiltà e misericordia. Molto diversa, notano i gesuiti, è la proposta di Papa Francesco che dice non di ritirarsi ma di uscire e collaborare con tutti.

A mio parere, però, c’è qualcosa che anche alla Civiltà Cattolica sta sfuggendo e a cui l’opzione Benedetto dà espressione. Dreher si riferisce a Benedetto da Norcia. Ma molti intendono la proposta anche nel senso di Benedetto XVI-Joseph Ratzinger che, come è noto, previde che la Chiesa si ridurrà di molto e che il suo futuro dipenderà proprio dall’esistenza di piccole comunità creative veramente convinte.

Nella devastazione e desolazione successive alla caduta dell’impero romano, in un mondo ostile, i monaci benedettini costituirono delle piccole comunità in cui conservare ciò che conta della fede cristiana e in cui seminare la civiltà di domani. Secondo Dreher la nostra situazione è la stessa o lo diventerà entro breve. Vengono in mente qui certe realistiche constatazioni di Benedetto XVI sulla fede cristiana che sta per spegnersi come una fiammella che non trova più alimento. Il paragone con i tempi di San Benedetto, però, regge fino ad un certo punto, nel senso che i nostri tempi rischiano di essere peggiori. A quei tempi, pur nella penuria materiale, nelle solitudini territoriali, nella precarietà generale, i riferimenti impliciti alla natura umana esistevano ancora.

La nostra epoca, invece, è ampiamente postnaturale o postumana. Come ha ben documentato Leo Moulin, i monaci benedettini, raccolti in piccole comunità, conservarono l’umano tramite la conservazione della fede. Per dirla con Benedetto XVI ai Bernardins, dissodavano le anime  sapendo che questo avrebbe prodotto anche il dissodamento del suolo incolto. Ma questo era possibile perché l’umano c’era ancora e perché la fede, in questo modo, dimostrava la propria umanità, il suo essere – ed è ancora Benedetto XVI ad averlo detto – “dal volto umano”. 

Quando  Dreher parla della sopravvivenza del cristianesimo in un mondo ostile e con ciò intende qualcosa di simile all’epoca del V secolo, pecca per difetto: oggi il mondo è molto più ostile di allora al cristianesimo, essendo ostile all’uomo. La devastazione oggi è più sistematica, più cinica, più spregiudicata, perfino più indifferente, data ormai per normale.
Ecco perché i cristiani – ma mi verrebbe da dire i cattolici – oggi sono sempre più costretti a ritrarsi, a preparare sotterraneamente qualcosa di alternativo, a conservare gelosamente quanto il mondo ci vuole rubare. L’ostilità si fa porta a porta. Le leggi, le politiche, i programmi scolastici, i progetti sulla sessualità nelle scuole, la pubblicità … sempre di più gruppi e comunità di cattolici, genitori, laici, famiglie, sentono l’aggressione sistemica e cercano di organizzarsi per salvare il salvabile. Di questi non so quanti abbiano letto il libro di Dreher, è certo però che la situazione si sta muovendo così. Per ora non sono molti, ma lo saranno entro beve.

Quando sento un genitore che mi dice di essere disposto anche a trasferirsi di città e a trovare un nuovo lavoro pur di salvare suo figlio mettendolo in una scuola parentale cattolica, vuol dire che il livello è colmo. C’è però anche un altro aspetto che sta spingendo in questo senso, ed è interno alla Chiesa stessa. I fedeli che si sentono frastornati e spiazzati dai nuovi comportamenti pastorali, spesso contraddittori e talvolta scandalosi, l’accelerazione verso affermazioni contrarie alla tradizione (termine che uso qui nel senso modesto e terra a terra di “quello che mi hanno insegnato mia mamma e il mio parroco da piccolo"), le sparate teologiche  disarmanti senza che nessuno dall’alto precisi, la dissacrazione non certo generalizzata ma ben disseminata in tanti piccoli ma numerosissimi casi che quotidianamente leggiamo in internet (non sui giornali che non ne parlano) fanno capire a molti che bisogna riorganizzarsi, tirarsi su le maniche, mettersi insieme, concentrarsi sui fondamentali.

C’è una certa percezione di non essere più custoditi e garantiti. Anche in questi casi non so chi abbia letto Dreher e chi no, ma è certo che l’opzione Benedetto ha colto una esigenza e insieme un processo in atto. Il punto decisivo è se queste comunità che, ormai è certo, stanno nascendo in molte parti e in molte forme diverse, si chiuderanno in se stesse o se manterranno il loro “sentire cum Ecclesia”. La Civiltà Cattolica accusa la proposta dell’opzione Benedetto di autoreferenzialità e chiusura. Ma non è detto che sia così. Nulla esclude che proprio queste comunità mantengano invece in modo profondo il senso ecclesiale, magari più di altri ambienti in cui normalmente si pensa che questo senso ecclesiale ci sia. Che lo mantengano o no dipenderà da esse stesse, ma anche dalla Chiesa.