Ong, volontari e violentatori: il lato oscuro della solidarietà
Oxfam, Save the Children, Christian Aid: finora sono queste le organizzazioni non governative al centro dello scandalo di abusi sessuali, emerso grazie a un'inchiesta giornalistica britannica. Soldi spesi in prostitute, violenze, ricatto sessuale di donne e bambini in condizioni disperate: è il lato oscuro dell'industria della solidarietà.
Oxfam, Save the Children, Christian Aid: finora sono queste le organizzazioni non governative al centro dello scandalo scoppiato il 9 febbraio quando il quotidiano britannico The Times ha pubblicato il reportage che accusa decine di loro dipendenti di abusi sessuali, compiuti in alcuni dei paesi in cui, come migliaia di altre Ong, stavano realizzando interventi umanitari d’emergenza o programmi assistenziali. Oxfam, fondata nel 1942 e oggi composta da 20 associazioni, ha come missione la lotta contro fame e povertà, Save the Children, attiva dal 1919, si concentra, come dice il suo nome (Salva i bambini), sugli aiuti all’infanzia, Christian Aid dal 1945 è anch’essa impegnata a combattere povertà e ingiustizia, dalla parte dei poveri contro i ricchi.
Per l’esattezza, Oxfam ha ammesso di aver registrato 87 accuse di “cattivo comportamento sessuale”, 53 delle quali riportate alla polizia, Save the Children 31, dieci delle quali denunciate alla polizia, e Christian Aid due. In tutto i casi sono 120 e soltanto nell’arco di un anno: dall’aprile del 2016 al marzo del 2017.
Ma le prime denunce contro dipendenti Oxfam risalgono al 2006. Lo staff all’epoca impiegato in Ciad fu accusato di aver ripetutamente invitato delle prostitute nella propria sede. Ne seguì il licenziamento di un dirigente. Poi è toccato al personale Oxfam impegnato dal 2011 ad Haiti, dopo il terremoto del 2010, catastrofico per numero di vittime – oltre 250.000 – e per entità di danni materiali. Le indagini hanno coinvolto diversi dipendenti, incluso il direttore stesso della Oxfam nel paese, Roland van Hauwermeiren, accusato di intrattenersi con prostitute locali nella villa affittata per lui dall’organizzazione. Prima della fine dell’inchiesta, a quattro dipendenti, incluso il direttore, è stato permesso di rassegnare le dimissioni senza subire procedimenti disciplinari, “per consentire una loro uscita di scena graduale e dignitosa”. In seguito hanno persino lavorato per altre Ong. Van Hauwermeiren, ad esempio, ha diretto una missione di Action Against Hunger in Bangladesh dal 2012 al 2014. L’Ong francese sostiene di non essere stata informata del suo comportamento ad Haiti mentre ne verificava il curriculum.
Oxfam assicura di non aver fornito referenze ai quattro dipendenti “dimissionari”. Tuttavia una Ong, Mercy Corps, che ne ha assunto uno nel 2015, ha dichiarato alla stampa di aver ricevuto buone referenze proprio da Oxfam.
Sono questi risvolti dello scandalo – personale assunto senza verificare attentamente il suo curriculum malgrado la delicatezza dei compiti da svolgere, congedi senza sanzioni, senza chiamata in giudizio – a sollevare più che un dubbio sulla moralità, l’integrità, la dedizione alla “mission”, come usano dire gli addetti ai lavori, non delle singole persone, che già sarebbe grave, ma dell’apparato umanitario nel suo insieme, quella “industria della solidarietà” descritta così bene nei suoi lati oscuri, torbidi, dalla giornalista Linda Polman (Mondadori, 2009).
“Comportamenti sessuali sconvenienti” vuol dire non solo, come riconoscono le commissioni d’inchiesta delle Ong, intrattenersi con prostitute, sperperare il denaro destinato a scopi umanitari, ma anche molestie, violenze, ricatti (prestazioni sessuali richieste in cambio di cibo e altri beni primari) inflitti a persone totalmente dipendenti per cibo, alloggio, cure, sicurezza, profughi che ripongono ogni speranza di sopravvivenza in chi li assiste, e per giunta scegliendo i più inermi. Le vittime infatti sono quasi sempre donne e bambini.
Quando alle Ong si affiancano i caschi blu delle missioni di peacekeeping Onu, il rischio di violenze invece di diminuire aumenta. Gli scandali che coinvolgono il personale militare e civile delle missioni Onu di peacekeeping si contano infatti ogni anno a decine se non a centinaia. Le vittime, di stupri, violenze, sfruttamento sessuale, anche in questo caso sono le donne e tanti, tanti bambini. Dal 2005 al 2017 le denunce sono state oltre 2.000 e si tratta solo dei casi scoperti. Nel 2015 l’allora segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, aveva convocato una sessione speciale del consiglio di sicurezza dedicata al “flagello dello sfruttamento sessuale”, promettendo d’ora in avanti tolleranza zero e zero immunità. Nel marzo del 2016 un’altra sessione del Consiglio ha approvato una risoluzione con 14 voti favorevoli e l’astensione dell’Egitto che ordinava il rimpatrio di tutte le unità di caschi blu di cui facevano parte dei militari accusati di abusi sessuali. Ma lo scandalo maggiore è la lentezza con cui per anni si sono svolte le indagini, la scarsa attenzione prestata alle denunce, i tanti caschi blu accusati e tutt’al più sospesi e rimandati a casa senza sanzioni, i tanti funzionari che non sono stati chiamati a rispondere della loro colpevole distrazione.
La Oxfam adesso rischia di perdere i contributi finanziari del governo britannico: più di 36 milioni di euro. La “cultura del negare tutto” praticata da molte Ong deve finire, dicono a Londra. Anche la Commissione Europea ha dichiarato “tolleranza zero” e si è detta pronta a ridefinire, e se opportuno interrompere, i fondi alle Ong che non rispettino i più alti standard etici. Penny Lawrence, direttore del programma Oxfam per la ripresa di Haiti, ha rassegnato le dimissioni.