Oms e clima: allarme in Africa per gli ordini (giusti) di Trump
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Preoccupazione in Africa per le parole e gli ordini esecutivi di Trump riguardanti l’uscita degli USA dall’Oms e dall’Accordo di Parigi, nonché lo stop per 90 giorni ai programmi di cooperazione. Ma in tutti e tre questi casi il neo presidente ha le sue buone ragioni.
Le linee politiche illustrate da Donald Trump nel suo discorso inaugurale, pronunciato dopo aver prestato giuramento come 47° presidente degli Stati Uniti il 20 gennaio, e i suoi primi ordini esecutivi nelle ore immediatamente successive non hanno sorpreso. Trump mantiene le promesse e attua il programma elettorale che lo ha portato alla vittoria: «America first».
La raffica di ordini esecutivi già firmati include tra l’altro l’uscita dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la sospensione per 90 giorni della cooperazione internazionale, l’abbandono dell’Accordo di Parigi sul clima (quello che impegna a ridurre di 2 gradi, o almeno di 1,5, il riscaldamento globale, nella convinzione che fattori antropici stiano determinando un aumento della temperatura del pianeta).
Una delle prime reazioni è arrivata dall’Unione Africana (UA) che il 22 gennaio ha diffuso un comunicato con il quale chiede al presidente Trump di ritornare sulla sua decisione di smettere di finanziare l’Oms. Vi si afferma che per 70 anni gli Stati Uniti hanno svolto «un ruolo fondamentale nel dare forma agli strumenti dell’Oms e alle norme di benessere e salute pubblica». «Oggi più che mai – aggiunge il comunicato – il mondo dipende dall’Oms per adempiere il mandato di garantire la sicurezza sanitaria generale in quanto bene comune».
Non è affatto vero che il mondo dipende dall’Oms per salute e benessere. Sono tanti i Paesi che non devono ricorrere all’Oms per provvedere all’assistenza sanitaria dei loro abitanti. Ma l’Africa sì. Lo scandalo del continente africano – a tanti decenni dalla fine della colonizzazione europea e nonostante le immense risorse naturali e umane di cui gli Stati africani dispongono e che hanno da tempo messo a frutto – è la sua persistente dipendenza dagli aiuti finanziari, umani e tecnologici internazionali in vari settori cruciali, uno dei quali è quello sanitario.
Tra le tante motivazioni dell’uscita dall’Oms, l’ordine esecutivo del presidente Trump cita la pessima gestione della pandemia di Covid-19 e di altre crisi sanitarie globali, il fallimento nel realizzare riforme ritenute urgenti e la mancanza di indipendenza da indebite influenze politiche esercitate dagli Stati membri.
Quanto alla sospensione per 90 giorni di tutti i programmi di cooperazione e assistenza internazionale, è il tempo ritenuto necessario per determinare se e quali rispettino gli obiettivi della nuova amministrazione. L’apparato degli aiuti a Paesi stranieri non sempre è allineato con gli interessi americani e in molti casi è antitetico ai valori americani, ha spiegato Trump. D’ora in poi nessun ulteriore aiuto ad altri Paesi sarà erogato dagli Stati Uniti a meno che non sia del tutto in linea con la politica estera della Casa Bianca. La sospensione dei programmi di cooperazione riguarda anche progetti umanitari. Può sembrare un provvedimento severo. Tra i Paesi africani, la Tanzania è stata tra i primi a risentirsi. Eppure lo scandalo che ha coinvolto proprio in questi giorni uno dei progetti statunitensi nel mondo, il Piano d’emergenza del Presidente contro l’Aids (PEPFAR), con la scoperta che in Mozambico delle infermiere impiegate in uno dei progetti finanziati dal Piano hanno praticato aborti per anni, dimostra quanto sia necessario verificare l’attinenza delle attività di cooperazione internazionale di un Paese ai suoi interessi e ai suoi valori e come sia dovere morale di un governo accertarsene.
L’abbandono dell’Accordo di Parigi è la decisione che sta creando forse più indignazione e allarme in Africa e negli ambienti in cui da anni si asserisce che l’Africa è il continente più gravemente danneggiato dal riscaldamento globale, pur essendo di gran lunga quello che meno vi contribuisce. Il corollario, per chi crede nell’origine antropica del fenomeno, è che ne è responsabile il modello di produzione e di vita creato e imposto a tutto il mondo dall’Occidente. Da questa serie di asserzioni discende un immenso, incolmabile debito dei Paesi occidentali, gli Stati Uniti per primi, nei confronti dei Paesi africani che – si dice – ingiustamente pagano le conseguenze più dolorose dell’industrializzazione, ennesimo “misfatto bianco” di una lunga serie che storicamente, per quanto riguarda l’Africa, si fa risalire al cosiddetto “primo impatto” con l’Europa nel XV secolo.
L’Accordo di Parigi, entrato in vigore nel 2016, impegna i Paesi che lo hanno sottoscritto a ridurre a qualsiasi costo l’emissione di gas serra ritenuti responsabili del riscaldamento globale. Quelli ricchi inoltre devono aiutare finanziariamente quelli più poveri con un “Green Climate Fund”, inizialmente di 100 miliardi di dollari l’anno, portati a 300 nel 2024. Ma l’Africa vuole di più. Chiede 120 miliardi solo per sé, che non basteranno perché l’African Climate Policy Centre, un centro legato alla Commissione economica per l’Africa dell’Onu, ha calcolato costi in perdite e danni da 290 a 440 miliardi di dollari.
Però il presidente Trump è tra i più convinti critici della teoria del riscaldamento globale di origine antropica. Non sorprende quindi che abbia disposto l’immediata presentazione di una notifica formale del ritiro degli USA dall’Accordo di Parigi e da qualsiasi altro accordo, patto o impegno analogo sottoscritto ai sensi della Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici. Contestualmente gli Stati Uniti cessano o revocano con effetto immediato qualsiasi impegno finanziario sottoscritto. Non saranno gli Stati Uniti a “risarcire” l’Africa.
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