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Omosessualità, alcuni punti da chiarire

L'improvvido attacco di Giuliano Ferrara contro un convegno sulla famiglia organizzato a Milano, accusato - falsamente - da Repubblica di volere propagandare la tesi secondo cui «l'omosessualità è una malattia da curare», ha suscitato diverse reazioni. Interviene Massimo Introvigne, a cui risponde il direttore della Nuova BQ.

Ecclesia 09_01_2015
Matrimonio gay

Caro direttore,

l'improvvido attacco di Giuliano Ferrara contro un convegno sulla famiglia organizzato a Milano, accusato - falsamente - da Repubblica di volere propagandare la tesi secondo cui «l'omosessualità è una malattia da curare», ha suscitato, su queste colonne e altrove, diverse reazioni. Qualcuno ha avuto anche l'impressione che il fronte «pro family» si sia diviso al suo interno. Non ci sarebbe nulla di particolarmente scandaloso - soprattutto in Italia, che è il Paese delle sfumature - ma è importante distinguere le divergenze di opinione reali dai semplici equivoci. A me sembra che siano in corso tre battaglie diverse in tema di omosessualità, che sono ovviamente collegate ma che nello stesso tempo non coincidono. Se non le si distingue, la confusione è inevitabile.

La prima battaglia è all'interno della Chiesa. Lo ha detto Papa Francesco: che nella Chiesa ci si confronti anche aspramente è successo spesso e non deve scandalizzare. Come si è visto al Sinodo, ci si confronta anche sull'omosessualità. I paragrafi 2357-2359 del «Catechismo della Chiesa Cattolica» del 1992 ebbero una genesi particolarmente tormentata, ma stabiliscono quella che a oggi è, come si leggeva nel documento preparatorio del Sinodo del 2014 inviato dal Papa ai vescovi nel novembre 2013, «la comprensione aggiornata della dottrina della fede» su questo tema. Questi paragrafi si possono riassumere in tre tesi sull'omosessualità. Primo, «la sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile» e la Chiesa non prende posizione sulle varie teorie che si contrappongono sulla natura e l'origine della tendenza omosessuale. Secondo, le persone omosessuali in quanto persone «devono essere accolte con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione». Terzo, il piano ordinato di Dio sull'amore e la famiglia si esprime nell'incontro aperto alla procreazione dell'uomo e della donna. Ne consegue che l'inclinazione omosessuale è «oggettivamente disordinata» e che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati», così che «in nessun caso possono essere approvati» e «le persone omosessuali sono chiamate alla castità». 

Il Sinodo ha mostrato che su questo punto ci sono oggi nella Chiesa posizioni diverse. Alcuni ritengono che il «Catechismo», parlando di disordine, presupponga una nozione di ordine naturale che oggi sarebbe superata e non più comprensibile alla maggioranza dei fedeli. Non è del tutto chiaro come si vorrebbe andare al di là di questa nozione, e se chi propone nuove formulazioni voglia o no mantenere la dottrina secondo cui a chi percepisce la propria tendenza omosessuale come insopprimibile la Chiesa propone come unica strada moralmente accettabile la castità. All'estremo opposto, non mancano voci che considerano i riferimenti al rispetto e alla necessità di «evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione» - tradotti con risonanza planetaria nel «chi sono io per giudicare» di Papa Francesco - come eccessivamente «soft» e anche contrari alla mentalità di alcune culture, per esempio africane. 

Non sono un teologo moralista, diffido dei teologi della domenica e accoglierò con obbedienza e fiducia qualunque insegnamento che il Papa riterrà di esporre dopo il Sinodo ordinario di quest'anno. Dal momento però che il questionario inviato in preparazione al Sinodo invita anche i laici a partecipare rispettosamente alla discussione, non ho difficoltà a dire che la formulazione del «Catechismo» a me pare convincente ed equilibrata. Auspico che sia approfondita e sempre meglio spiegata nelle sue motivazioni antropologiche, senza però che sia messa in discussione la sua architettura di fondo. Condivido e ripeto con il Papa «Chi sono io per giudicare le persone?», in quanto persone, accompagnandolo subito con  «Chi sono io per non giudicare i comportamenti?», perché chi non giudica i comportamenti cade in quelle che lo stesso Papa Francesco in Corea ha chiamato «le sabbie mobili del relativismo» e affonda.

La seconda battaglia è all'interno delle professioni mediche e psicologiche. Non ho la minima competenza per giudicare la letteratura psicologica e medica in tema di omosessualità, e non mi sento di esprimere nessuna opinione al riguardo. Se il «Catechismo», dopo anni di consultazioni e successive versioni del testo, ha concluso che la natura dell'omosessualità «rimane in gran parte inspiegabile», davvero «chi sono io» per pronunciarmi su questo tema difficile e misterioso? Invece, ho  qualche competenza per valutare la letteratura sociologica, che non manca e che non si occupa di omosessualità ma di persone omosessuali. Anzitutto, oggi è difficile parlare semplicemente di identità omosessuali, perché con i processi moderni e postmoderni di differenziazione l'identità è diventata multipla: uno sarà insieme omosessuale, protestante, avvocato e tifoso dell'Inter, e può darsi che quella omosessuale non sia affatto l'identità  che percepisce come più importante. Ove invece sia così, i sociologi ci descrivono «tribù» di persone omosessuali molto diverse tra loro, il che ha rilevanza anche per la questione del loro rapporto con la psicoterapia. 

Ci sono le persone omosessuali che si dichiarano liete di esserlo, talora in modo militante, e che evidentemente non si rivolgono allo psicoterapeuta manifestandogli un disagio per la loro condizione. Ci sono - anche se sono meno numerose di quanto si pensi - le persone omosessuali che affermano che vivrebbero tranquillamente la loro omosessualità se non fosse che si sentono offese e ferite dall'atteggiamento di giudizio delle persone che stanno loro intorno. A costoro la psicologia offre ampie forme di aiuto, socialmente accettate e ampiamente promosse. Ci sono infine persone omosessuali che vivono la loro omosessualità come una prova e un disagio. A differenza della seconda categoria, questa terza patisce un disagio non sociale ma intimo e antropologico. Che questa categoria ci sia è un dato di fatto. Che sia raramente interessata all'aiuto di militanti LGBT che la incitano ad accettare entusiasticamente la propria omosessualità e ad attribuire il disagio alla sola omofobia  è un altro dato di fatto. Alle persone omosessuali che rientrano in questa terza categoria - non a quelle che fanno parte delle altre due - alcuni psicoterapeuti offrono, nel caso lo richiedano, un ascolto e un accompagnamento che in alcuni casi le aiutano a vivere la castità, in altri a esplorare se la tendenza omosessuale sia radicata e «definitiva» oppure se la persona possa modificarla. 

A me sembra che se questo itinerario fosse descritto e ricostruito in termini di «malattia» e di «cura» si verrebbe meno al rispetto delle persone, e si affermerebbe anche qualcosa che la comunità scientifica, nella sua vastissima maggioranza, non condivide. Ma se invece non si parla di malato da curare, ma si offre un accompagnamento psicologico - se del caso unito a uno spirituale - a chi lo richiede, perché mai l'Ordine degli Psicologi dovrebbe minacciare i suoi fulmini o Giuliano Ferrara parlare di «setta», un'espressione  che, come i sociologi della religione ben sanno, ormai non ha quasi più nessun contenuto informativo ma si riduce a un semplice insulto? Qui sono in gioco valori fondamentali che vanno perfino al di là della questione dell'omosessualità: la libertà scientifica - se i sociologi trovano persone omosessuali che desidererebbero non essere omosessuali, si ingiunge loro di nascondere i loro dati perché non politicamente corretti -, la libertà terapeutica e la libertà di opinione.

La terza battaglia in corso, che almeno per i lettori di questa testata non richiede molte spiegazioni, è quella politica, contro le leggi che vogliono vietare - chiamandola «omofobia» - la libera e rispettosa espressione di opinioni sull'omosessualità diverse da quelle gradite all'ideologia di genere e alle lobby LGBT, e contro i progetti che mirano a mettere sullo stesso piano, adozioni comprese - non importa sotto quale nome o etichetta - il matrimonio tra un uomo e una donna e l'unione fra due persone dello stesso sesso.

Queste tre battaglie sono sia collegate sia distinte. In piazza contro il disegno di legge Scalfarotto o alla Manif pour tour francese sono scesi musulmani che ovviamente non condividono la dottrina cattolica sul matrimonio e anche omosessuali che non praticano la castità, ma che considerano le leggi sul «matrimonio» e le adozioni gay contrarie al bene della collettività nazionale di cui anche loro fanno parte. Può darsi benissimo che le mie opinioni sul «chi sono io per giudicare» di Papa Francesco - che condivido nella sostanza dottrinale, anche se mi rendo conto delle manipolazioni infinite cui si presta - non siano condivise da persone che mi ritrovo a fianco nelle battaglie contro Scalfarotto o per la libertà di terapia e di accompagnamento psicologico. O anche che chi pratica queste forme di accompagnamento abbia certezze sulla natura dell'omosessualità che io francamente non ho.

Tutto questo non è sorprendente. Ogni questione complessa tollera una varietà quasi infinita di sfumature. Chi però è interessato a combattere una di queste tre battaglie farebbe bene a distinguerla rigorosamente dalle altre due. Per vincere ognuna delle tre ci vuole un «fronte ampio». In questo fronte, per ciascuna battaglia, si troveranno necessariamente fianco a fianco persone che hanno posizioni diverse sulle altre due, e su tante altre cose. 

Vogliamo combattere solo al fianco di chi la pensa come noi su tutte e tre le battaglie? Nulla ci impedisce di farlo. Dobbiamo solo sapere da prima che assottiglieremo le nostre fila e renderemo la sconfitta più probabile.

Massimo Introvigne

Caro Introvigne,

ti ringrazio per questa dettagliata spiegazione e della chiarezza con cui – come al solito – esponi le tue argomentazioni. Permettimi però di aggiungere qualche breve considerazione che mi sembra necessaria.

1. Non starò a ripetere quanto ho già scritto ieri, però visto «l’improvvido attacco di Giuliano Ferrara» non solo contro il convegno ma anche contro un’associazione e contro un percorso che alcune persone omosessuali hanno compiuto o stanno compiendo per ritornare alla propria identità eterosessuale, mi sembra anche opportuno affermare quanto la loro difesa sia una battaglia di libertà. In questo senso mi sembra che sia collegata a quella – più specificamente politica – contro il ddl Scalfarotto, perché in entrambi i casi stiamo assistendo al tentativo di imporre un’ideologia gay che vorrebbe impedire sia di esprimere la convinzione che la famiglia sia solo una (quella naturale), sia la possibilità di passare dall’omosessualità all’eterosessualità. Battersi per l’una e non per l’altra cosa mi sembra francamente una contraddizione; del resto anche tu su La Nuova BQ hai più volte difeso le terapie riparative e Obiettivo Chaire (clicca qui, qui e qui)

2. Quanto al Catechismo, rileggendo i tre paragrafi 2357-2359 (che per comodità dei lettori riporto in calce a questa risposta) a me sembra chiaro che i tre punti fondamentali sono nell’ordine: 1. Basandosi sulla Scrittura, la Chiesa ha sempre – e sottolineo sempre – dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati» e «in nessun caso possono essere approvati» (2357); 2. Siccome per gli uomini e le donne che hanno tendenze omosessuali «profondamente radicate» tale condizione è «una prova», essi «devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza» evitando «ogni marchio di ingiusta discriminazione» (2358); 3. «Le persone omosessuali sono chiamate alla castità» (2359). Come peraltro – aggiungiamo – tutte le persone eterosessuali che non sono regolarmente sposate.

L’inspiegabilità della «genesi psichica» (definizione che offre peraltro molti spunti di approfondimento) mi sembra chiaro faccia parte di una introduzione descrittiva del fenomeno dell’omosessualità, più che essere l’obiettivo di una definizione di fede.  E non a caso. Perché mentre il giudizio negativo sugli atti di omosessualità e il dovere dell’accoglienza delle persone con questa tendenza discende dalla Rivelazione riguardo al fine dell’uomo, le cause dell’omosessualità sono un argomento tipicamente scientifico. È molto importante tenere distinti i due piani – fede e scienza -, come peraltro ha spiegato magistralmente in più di un’occasione san Giovanni Paolo II, per evitare pericolose commistioni e vecchi errori. Neanch’io sono uno psicologo, ma non credo ci voglia una laurea in materia per riconoscere che c’è un’ampia letteratura scientifica che dà ampiamente ragione delle cause alla radice dell’omosessualità. E non c’è dubbio che con la drastica diminuzione di famiglie sane e stabili, l’omosessualità aumenti.

3. Quanto alle posizioni uscite al Sinodo, bisognerebbe almeno rilevare la stranezza di un Sinodo sulla famiglia che discute di omosessualità. In effetti abbiamo saputo poi che su questo tema c’era molto più scritto nella Relatio post disceptationem (quella di metà lavori) di quanto fosse stato detto in assemblea. In ogni caso non mi sembra di poter lasciar passare via liscia la serietà dell’espressione «su questo punto ci sono oggi nella Chiesa posizioni diverse». Tu descrivi bene infatti la situazione: oggi c’è chi mette in discussione ciò che la Chiesa ha sempre dichiarato basandosi sulla Scrittura (così dice il Catechismo), ovvero l’ordine della Creazione, la finalità dell’uomo e dell’unione fra uomo e donna. Non è la stessa cosa che mettere in discussione delle scelte pastorali; significa affermare che ciò che la Chiesa ha creduto per oltre duemila anni come legge di Dio, improvvisamente potrebbe non essere vero. Non a caso Benedetto XVI nell’ultimo discorso alla Curia Romana, il 21 dicembre 2012, ha definito l’ideologia di genere la più grande sfida che la Chiesa ha di fronte. Ed ovviamente non si riferiva soltanto a ciò che va per la maggiore nel mondo, ma anche a quanto si sta muovendo nella Chiesa stessa, alle forze che stanno cercando di introdurvi il gender. Al Sinodo ne abbiamo avuto una riprova.

Riccardo Cascioli

 

Catechismo della Chiesa Cattolica

2357 L'omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un'attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni,238 la Tradizione ha sempre dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati». 239 Sono contrari alla legge naturale. Precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.

2358 Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.

2359 Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un'amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.