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EDITORIALE

Omosessualità, accompagnare vuol dire giudicare

Ennesimo editoriale di Avvenire (stavolta tocca alla sociologa Chiara Giaccardi) in cui sulla questione della pastorale per le persone con tendenze omosessuali si getta fumo per non far capire la sostanza. Accompagnare senza meta è un vagare a caso. Chi benedice le unioni gay non sta accompagnando né ama quelle persone.

Editoriali 06_10_2016
Avvenire

Non sono riuscito a capire l’interpretazione che la sociologa Chiara Giaccardi (clicca qui) ha dato delle parole – pronunciate in due tempi – del Papa sul gender, che così Avvenire di martedì scorso ha sintetizzato: “no al gender, ma accogliere tutti”.

Innanzitutto, bisogna ricordare che il Papa in Georgia ha parlato di una “guerra mondiale contro il matrimonio”, ritornando su una grave espressione da lui già adoperata, come ad esempio nel discorso all’ONU. Quelle parole indicano un panorama inquietante di forze, per lo più occulte, del male. Significa che ci sono potenze, risorse finanziarie, lobbies internazionali, Stati sovrani, agenzie internazionali, centri di potere … che vogliono distruggere il matrimonio con il gender. Mi chiedo come si possa contrastare una guerra mondiale «accogliendo ed accompagnando nella concretezza della vita», come propone la Giaccardi interpretando il Papa. 

Quando il Papa parla di guerra mondiale si riferisce ad un livello, che potremmo chiamare politico, e quando parla di accogliere tutti si riferisce ad un altro livello, che potremmo chiamare pastorale. Il primo è il piano della lotta politica, che la Chiesa non fa direttamente, il secondo è quello dall’aiuto e della guida pastorale, che la Chiesa compie direttamente. Quest’ultima nulla toglie alla necessità di combattere politicamente, legislativamente, in piazza, sui media, scuola per scuola, progetto educativo per progetto educativo, contro il gender. Altrimenti si cade nel solito ritornello: chi combatte in questa guerra mondiale è considerato non accogliente e la retorica mielosa dell’accompagnamento avvolge nel disprezzo chi lotta sul campo. 

Quanto a questo nuovo imperativo di accompagnare in modo accogliente nella concretezza della vita, mi dico che se chiedo a qualcuno: vuoi che ti accompagni? Lui mi chiede subito: dove? Si accompagna sempre qualcuno in qualche posto, o verso una meta, che risulta da un giudizio. Viceversa si dice che ci si accosta a lui, e non che lo si accompagna. Posso camminare a fianco di una persona senza veramente accompagnarla, posso veramente accompagnare una persona senza camminare al suo fianco. Si accompagna qualcuno all’ospedale, a fare compere, dal medico, a morire santamente, a riconciliarsi con Dio. Nessuno accompagna e basta. Né la Chiesa può accompagnare e basta. 

L’accompagnamento richiede un giudizio, una valutazione sulla realtà. Ti accompagno all’ospedale perché giudico che sei malato. Giudicare non significa assolvere o condannare, ma valutare, prendere atto della realtà, prendere posizione nei confronti della realtà, compresa quella del bene e del male. Senza un giudizio sul bene e sul male non si accompagna nessuno da nessuna parte. Il genitore che vuole accompagnare i figli nella crescita, giudica continuamente ed insegna loro a giudicare a loro volta la realtà, perché accompagnare significa aiutare a perseguire la giusta meta e non è un vagare a caso. Non si può vagare a caso insieme, se si vaga a caso non si è insieme.

Ciò vale anche nei confronti delle persone con tendenze omosessuali. Il parroco siciliano che ne ha benedette due non le ha né accompagnate né aiutate, si è semplicemente accostato a loro. Essere al fianco non è sufficiente, bisogna aiutare a camminare nella giusta direzione, questo è il vero accompagnamento.

L’idea della Giaccardi – se ho ben capito – è che non c’è però una verità astratta che ci guidi nel cammino, ma la verità – che è relazione, ella dice – si mostra nel cammino stesso, nel rapporto di accompagnamento, nella relazione appunto. Sarebbe come dire: camminiamo insieme, qualcosa nascerà. So bene che molte filosofie contemporanee hanno questa visione esistenziale della verità, ma Cornelio Fabro diceva che, comunque, l’esistenza è preceduta dall’essenza. Ciò che il giudizio non coglie come conforme alla nostra natura umana emerge chiaramente e subito come un male, anche se poi la relazione lo può approfondire ed anche lenire.

La verità è relazione in quanto produce relazione, non in quanto sia effetto della relazione. La verità viene prima anche della relazione, tanto è vero che ci sono relazioni conformi a verità ed altre no, anzi, se non c’è verità non c’è nemmeno autentica relazione. Nella relazione, la verità fa uscire i soggetti che sono in relazione tra loro dal loro isolamento e li accomuna in sé. 

Benedire in Chiesa una coppia gay non è porsi in relazione di verità con le due persone, né esse sono in relazione di verità tra di loro. 

Accompagnare richiede insomma il giudizio, con cui ricondurre le relazioni alla loro verità. Farlo non significa condannare, escludere, discriminare. Vuol dire, invece, amare veramente, ossia secondo verità. Perché anche amare non è possibile senza giudicare sull’amore.