Omosessualità, una materia da studiare (per moda)
Ecco il primo corso di Storia dell’Omosessualità, appena inaugurato all’università torinese. Ma perchè tanto interesse da parte dei giovani?
Sempre Torino. Dopo l’iscrizione all’anagrafe del figlio di due mamme (primo esempio in Italia di scavalcamento della legge per via amministrativa, con tanto di sindaca applaudente), ecco il primo corso di Storia dell’Omosessualità, appena inaugurato all’università torinese. Saranno sedici o diciotto (non si capisce bene dai giornali) lezioni tenute da una docente a contratto e valevoli per la laurea triennale al Dams.
Credevano che si sarebbero iscritti in pochi, sicché era stata approntata un’auletta da meno di sessanta posti. Invece, di interessati al tema, ne sono arrivati più di trecento, così si è dovuto predisporre uno spazio adeguato. Se qualcuno pensava che si sarebbe partiti dall’antica Grecia ha dovuto ricredersi. Si comincia col Settecento e si arriva, ovviamente, ai giorni nostri. Perché? Spiega la docente a «Repubblica» (l’inserto online «R.it») che «il percorso delle tematiche omosessuali nei secoli non è lineare: ci sono momenti di regressione, di stallo e di progressione.
Ad esempio, prima del nazifascismo esisteva una sottocultura "Lgbt" nelle grandi città, ma nel secondo Dopoguerra non si è ripartiti dal punto di prima, bensì da più indietro». In effetti il film Cabaret ci ha dato un’idea della disinvoltura dei costumi nella, per esempio, Germania di Weimar. Poi venne la Notte dei Lunghi Coltelli e sull’omosessualità tedesca calò il plumbeo sipario nazista. Nell’Italia fascista del vitalismo virile e dei premi di produzione alle famiglie prolifiche, di omosessualità neanche parlarne. Poi, dissolta la cappa nazifascista, «non si è riparti dal punto di prima». Colpa della Dc e della sua strepitosa vittoria del 18 aprile 1948? In effetti, anche in Germania stravinceva la Dc tedesca di Adenauer. Ma altrove? Niente, bisogna seguire il corso per sapere.
Il corso, ovviamente, racconta l’omosessualità negli Stati Uniti e in Europa, cioè in Occidente (anche se il Giappone, per esempio, avrebbe qualcosa da dire al riguardo), forse per mancanza di tempo, o perché coi Paesi islamici è meglio lasciar perdere. Purtroppo scarseggiano i libri di testo, giacché l’argomento, chissà perché, non ha ancora appassionato gli storici. Gli studenti di Torino, infatti, avranno a disposizione due soli testi in italiano e tre in inglese. Pare che il mondo anglosassone sia stato più attento di quello latino alla tematica. Forse per la persistenza latina del mito del macho?
Boh. Nelle lezioni si parlerà anche «della rappresentazione dell’Aids fatta dai media», neanche tanto velata ammissione della presenza della malattia soprattutto negli ambienti omosessuali. Alla prima lezione è stato insegnato che «la nostra concezione di genere, sesso e orientamento sessuale si costruisce e si afferma con la contemporaneità». Frase in verità un po’ ambigua: che significa quel «si costruisce»? Va riferita alla «nostra concezione» o è un aperto sposare la teoria del gender? Ma, al di là dei dubbi a distanza, il corso si prospetta come interessante, e sarà altrettanto interessante vedere quanti dei trecento studenti iscritti lo seguiranno fino in fondo. La domanda, tuttavia, è un’altra: donde tanto interesse nei giovani?
Be’, innanzitutto non si può dire che l’argomento non sia di attualità, anche perché la propaganda Lgbt è stata in questi anni, ed è ancora, pervasiva e talvolta prepotente. La mente, poi, torna agli anni Settanta, quando imperversava la moda della «sociologia»: le aule universitarie di Scienze Politiche traboccavano, anche perché studiare Sociologia era più facile che studiare Diritto Amministrativo o Economia Politica o Scienza delle Finanze. Uno si ritrovava con nel carniere un esame in più senza dover spaccarsi il cervello più di tanto. E poi, se una cosa è di moda, va da sé che te la ricordi meglio. Senza togliere i probabili figuroni nei salotti. Se la fascinazione continuerà, qualche studente sarà tentato di specializzarsi in omosessualitologia e altre cattedre spunteranno in altre università. Bene: nuovi posti di lavoro. Di questi tempi disoccupati…
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