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L'ANALISI

Omosessualità, cioè la nuova dittatura del desiderio

Non si esagera troppo se si definisce quella omosessuale come la questione del nostro tempo. Il fuoco mediatico è tale che diventa impossibile evadere l’argomento. L’aspetto paradossale della faccenda è, però, che, nelle migliaia di discussioni c’è qualcosa di taciuto e censurato.

Vita e bioetica 23_10_2015
Omosessualità, nuova dittatura del desiderio

Non si esagera troppo se si definisce quella omosessuale come la questione del nostro tempo. Il fuoco mediatico che la sta imponendo in modo dirompente all’attenzione di tutti è tale (si veda ad esempio il caso della rete generalista per eccellenza, Rai 1, che lo propone a ciclo continuo), che diventa impossibile evadere l’argomento. L’aspetto paradossale della faccenda è, però, che, nelle migliaia di discussioni in cui ogni risvolto gay è esaminato, mai e poi mai viene sfiorato il cuore della questione omosessuale, ovvero la tesi che provoca a cascata tutte le conseguenze nei svariati campi politico, giuridico, sociale e simili.

E quale sarebbe questa tesi? Semplice: consiste nell’affermare che l’omosessualità è un dato naturale e buono. Se, infatti, quella omosessuale è una variante naturale e buona della sessualità umana, come negare poi che essa possa esprimersi pienamente anche a un livello sociale e giuridico? Se non che, guardando un po’ più da vicino quest’affermazione, ci si accorge presto di un problema: se l’omosessualità fosse un puro dato naturale, come potrebbe essere considerata anche “buona”? Ovvero, se essa fosse solo una variante biologica della sessualità maschile-femminile, come si potrebbe contrastare l'idea per cui essa è una vita sessuale “monca”, in quanto mancante della differenza sessuale e dell'elemento di generazione?

Ecco quindi il vero nodo da sciogliere: se l'omosessualità non vuole essere considerata una malattia, un errore biologico, allora evidentemente deve uscire dal recinto chiuso della natura e aprirsi anche al campo più ostico della libertà e della volontà umane. Su questo terreno – paradossalmente – i due fronti che appaiono acerrimi avversari sono uniti: sia la Chiesa sia i più convinti assertori della bontà omosessuale non possono accontentarsi di un’omosessualità ridotta al puro dato naturale. Entrambi devono riconoscere all’uomo – e quindi alla sua libera volontà - il ruolo di protagonista nella vicenda: la Chiesa, per evidenziare la dignità infinita della creatura umana, che ha la facoltà di dire il suo “sì” (o il suo no) libero a tutta la realtà; i sostenitori della causa omosessuale, come visto, per poter dichiarare la bontà di una tendenza sessuale mancante della generazione e della differenza.

Con buona pace di chi vuole chiudere la questione con troppa facilità, occorre quindi ripartire da questo elemento di verità: no, l’omosessualità non può essere un dato naturale e buono. Delle due l’una: o è un dato esclusivamente naturale, e allora è biologicamente mancante, non è buona; o è un dato insieme naturale e libero, come ogni vero avvenimento dell’umano, ed allora la questione si apre e diventa più profonda e interessante. Già, perché allora la domanda diventa: in che senso l’omosessualità è detta “buona”? Ovvero, che cosa vuole affermare – con quella forza mediatica ossessiva e onnipresente che attualmente non ha pari – il fronte che sostiene il valore positivo dell’omosessualità? L’unico modo per sostenere credibilmente la bontà omosessuale consiste nell’ affermare la “totalità del desiderio”: ovvero, il desiderio diventa il tutto della persona e qualsiasi cosa apparentemente gli si opponga deve essere annullato, a cominciare dalla natura biologica. Ecco allora che appare più chiara la ragione del “fuoco ossessivo” a favore della causa gay: lo sdoganamento definitivo dell’omosessualità diventa l’affrancamento finale del desiderio, liberato dall’ostacolo della carne e della verità, e reso l’unico attore sulla scena umana.

In definitiva, la sfida che la questione omosessuale mette in campo, al di là di qualche diritto da concedere a sparute minoranze, è dunque la seguente: questa totalità del desiderio è davvero il vero bene dell’uomo? La Chiesa risponde di no. Se, infatti, il desiderio diventa il tutto della persona, allora esso non ha più un’origine e uno scopo “fuori” di esso. Non ha più l’origine del “cuore”, che è quell’esigenza insopprimibile di bellezza e verità che precede ogni mio desiderare. E non ha più lo scopo del “bene” vero e infinito cui ogni mio desiderio tende. Non a caso il Catechismo parla, a proposito dell’omosessualità, di “disordine”: ovvero, il contrario dell’ordine, che dice la fatica di ricondurre “tutta” la mia persona – carne e desiderio – allo scopo (cioè, al mio vero bene) partendo dall’origine misteriosa di me.

Come si vede, la sfida è grande. É forse su questo terreno che si giocherà la battaglia culturale del XXI secolo. Se l’ideologia dominante del XX secolo, il comunismo, ha imposto il desiderio (di giustizia) sulla carne viva dei popoli, ora, l’ideologia del XXI secolo vuole imporre il desiderio sulla carne del singolo, fino ad annullare quest’ultima come irrilevante. Forse non tuoneranno più i carrarmati e le pallottole, ma il “fuoco” della battaglia già c’è ed è di un’imponenza spaventosa.

 direttore di Pepe (www.pepeonline.it)