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COSA DICE LA STORIA

Olocausto degli omosessuali? Facciamo chiarezza

A Pisa gli studenti invitati a una piece con protagonista un omosessuale internato dai nazisti. La persecuzione delle persone omosessuali è un fatto storico terribile, ma accostarla alla carneficina ebraica è un'operazione sbagliata: per numero di vittime e cause che portarono alla condanna di alcuni.

Cronaca 27_01_2017

Il 27 gennaio si celebra la giornata mondiale della memoria delle vittime della barbarie nazista. Nei campi di sterminio persero la vita milioni di ebrei, oppositori politici, appartenenti alle comunità Sinti, Rom, cattolici, persone mentalmente disabili...

È indubbio che la comunità ebraica sia stata la più pesantemente afflitta: dei 9 milioni di ebrei che nel 1933 vivevano in Europa, circa due terzi furono uccisi per mano dei nazisti. La parola scelta per descrivere un tale genocidio fu "olocausto", un termine già usato dal poeta inglese John Milton nel 1671; dal giornalista Leitch Ritchie nel 1833; da Winston Churchill, nel 1923, per descrivere il massacro degli Armeni; da altri, nel 1945, in riferimento al bombardamento di Dresda e alla bombe atomiche sul Giappone.

Tuttavia a partire dagli anni '50 Olocausto ha finito per indicare sempre più il genocidio degli ebrei per mano nazista. Su iniziativa del governo israeliano, il 1 novembre 2005 le Nazioni Unite approvarono la risoluzione 60/7 che stabilisce il 27 gennaio come giornata mondiale della memoria dell'Olocausto.

Al teatro Verdi di Pisa, per iniziativa del Comune di Pisa, verrà messa in scena la pièce teatrale "Bent", scritta dal drammaturgo Martin Sherman. La trama è ambientata nella Germania nazista e narra le tragiche vicende che si snodano attorno alla relazione omosessuale del protagonista con un ballerino: dal tradimento con un giovane delle SA (il movimento paramilitare che contribuì a portare Hitler al potere), al tentativo di fuga dalla Germania; dall'internamento a Dachau, alla relazione con un altro prigioniero nel campo di prigionia, sino al suicidio del protagonista. Non manca, nella storia, un raccapricciante rapporto necrofilico con una bambina, imposto al protagonista dai nazisti, per dimostrare di non essere omosessuale.

Ad assistere a tale rappresentazione sono state invitate le scolaresche. Che uno "spettacolo" di tali contenuti sia ritenuto da amministratori e pedagogisti uno strumento educativo idoneo a ricordare la ferocia nazista e vaccinare le giovani generazioni contro l'oblio, lascia trasecolati. Tuttavia esso costituisce un'opportunità per ricordare le relazioni del nazismo con la sodomia, come al tempo veniva definita l'omosessualità.

Dopo gli anni di enorme liberalità verso l'omosessualità della Repubblica di Weimer, con locali e riviste per omosessuali in costante crescita, l'avvento al potere del nazismo costituì un cambiamento di paradigma: gli individui dovevano servire in ogni loro attività il benessere e lo sviluppo della società, con lo Stato come garante.

La sodomia costituiva quindi un comportamento deviante, nella misura in cui essa costituiva un uso infertile della sessualità, dunque inidoneo alla generazione di servitori della nazione germanica giovani e forti.

Questa concezione si affermò nonostante molti gerarchi nazisti avessero praticato e praticassero la sodomia, sin dalle origini del movimento. Joachim Fest, uno dei più celebri storici tedeschi del nazismo, ne Il volto del Terzo Reich (Milano, 2011) rammenta proprio l'"impronta tipicamente omosessuale delle SA", e osserva che i componenti di quella che fu la forza d'urto del nazismo nascente erano per lo più apolidi e sradicati, avversi ai "legami solidi e quindi anche (a) quelli con la donna e con la famiglia". Anche l'Accademico di Francia Max Gallo, ne La notte dei lunghi coltelli, (Milano, 1999), ci fornisce la descrizione dei divertimenti tipici di Ernst Röhm, capo delle SA e per tanto tempo intimo amico di Hitler: bagordi, e orge, “con i suoi amati giovinetti". Dal canto suo,Lothar Machtan, storico universitario ebreo tedesco, nel suo Il segreto di Hitler (Milano 2001), analizza non solo l'omosessualità notoria di tanti gerarchi e di tanti nazisti della prima ora, ma ipotizza, non certamente per primo, che anche Hitler non disdegnasse affatto i rapporti omofili (la stessa tesi è sostenuta, tra i tanti, da Walter Charles Langer, in Psicanalisi di Hitler. Rapporto segreto del tempo di guerra, Milano, 1973 e dall'addetto stampa di Hitler, Ernst Franz Sedgwick Hanfstaeng.

Una volta al potere, però, come si diceva, il nazismo, così profondamente libertino alle origini, mutò pelle, almeno apparentemente.

In una riunione con alti gerarchi tedeschi, nel 1937, il capo delle SS Heinrich Himmler descrisse l'omosessualità tra le truppe come un pericolo per l'integrità della struttura gerarchica, minacciata dalla creazione di circoli omoerotici tra i militari di vario grado. Tuttavia lo storico della Florida University, Geoffrey Giles, ha svolto studi che dimostrano come la misoginia e l'esaltazione della forza abbiano continuato a costituire un pabulum ideale per l'omofilia (Journal of the History of Sexuality, Jan-Apr 2002, pp. 256-290). Lo storico Burkhard Jellonnek, invece, calcola che il 57% degli arresti per sodomia nella città di Düsseldorf appartenessero a qualche organizzazione nazista (Burkhard Jellonnek, Homosexuelle unter dem Hakenkreuz (Paderborn, 1990),
pp. 308-9;). E' poi un dato di fatto conosciuto, che tra gli omosessuali chiusi nei lager, accanto a quelli perseguitati proprio in quanto omosessuali, vi erano molte persone, tra cui parecchi preti cattolici, accusati strumentalemnte di omosessualità, al solo scopo di infanagarli davanti al loro mondo di provenienza.

Se dunque la persecuzione delle persone omosessuali è un fatto storico terribile, alcuni aspetti distintivi rispetto alla persecuzione degli Ebrei devono essere evidenziati. Le cifre più accreditate indicano in centomila gli accusati, cinquantamila i condannati e circa diecimila i deportati, una percentuale infinitamente inferiore se rapportata a quella che investì la popolazione ebraica. Secondo le stime di Michael Berembaum e Abraham Peck cotenute nel saggio "The Holocaust and History", la mortalità delle persone omosessuali internate fu del 60%. Secondo gli stessi autori, se per gli ebrei la condanna derivava dalla sola appartenenza alla stirpe, le persone accusate di omosessualità non venivano condannate per la semplice inclinazione, piuttosto l'accusa doveva dimostrare il coinvolgimento diretto nelle pratiche omosessuali dell'accusato.

Alcune volte lo stesso Himmler commutò la pena dei soldati condannati per sodomia inviandoli al fronte per dare loro modo di dimostrare la loro virilità. L'omosessualità degli stranieri non era sottoposta a repressione, fino a quando non coinvolgeva direttamente o indirettamente il popolo tedesco. Come ricorda il Museo Della Memoria dell'Olocausto degli Stati Uniti, "sebbene la polizia considerasse le lesbiche come 'asociali', (persone che non si conformavano alle norme naziste e dunque potevano essere arrestate o internate nei campi di concentramento), poche furono imprigionate a causa della sola loro sessualità".