Olimpiadi e Italicum, le furbate dei Cinque Stelle
Nel week-end ci sarà il maxi-raduno pentastellato a Palermo e in quella sede le diverse anime del Movimento, che sul gradimento o meno al sindaco Raggi si sono divise aspramente, cercheranno nuovi collanti, oltre a quello legato al "No" al referendum costituzionale, che continua a funzionare molto bene.
Mentre il Pd si divide sulla legge elettorale e nel centrodestra le ricette su come modificare l’Italicum sono molteplici e confuse, i Cinque Stelle provano a superare la fase di impasse legata alle vicende del Campidoglio e a modificare l'agenda dei temi all'ordine del giorno nel dibattito tra le forze politiche.
Nel week-end ci sarà il maxi-raduno pentastellato a Palermo e in quella sede le diverse anime del Movimento, che sul gradimento o meno al sindaco Raggi si sono divise aspramente, cercheranno nuovi collanti, oltre a quello legato alla mobilitazione per il no al referendum costituzionale, che continua a funzionare molto bene. Un paio sembrano averli già trovati: il no alle Olimpiadi di Roma e un nuovo sistema elettorale proporzionale. La vicenda di Roma 2024 è destinata a lasciare strascichi velenosi nella capitale. I grillini l'hanno cavalcata tatticamente per uscire dall'angolo in cui l'impasse della giunta Raggi li stava confinando, ma le ragioni del rifiuto della candidatura appaiono comprensibili.
«No alle Olimpiadi del mattone», è la frase a effetto pronunciata dal giovane sindaco capitolino in conferenza stampa, che ricorda tanto gli slogan giustizialisti e anche a volte qualunquisti pronunciati dai pentastellati. La polemica sul mega-evento olimpico ruota attorno a una catena di interessi economico- finanziari, industriali, immobiliari e di altro genere sui quali hanno messo da tempo gli occhi lobby trasversali e consorterie assai opache. Alla Raggi, però, smarcarsi definitivamente dal discorso olimpico equivale a mostrare i muscoli di fronte ai suoi detrattori, che la vedevano già sull'orlo del burrone e ora devono ricredersi e riconoscerle quel decisionismo che nel passato recente non sempre ha mostrato.
Oltre che con la posizione anti-olimpica, anche con la perentoria presa di posizione sulla legge elettorale i seguaci di Grillo stanno cercando di ricompattarsi e di scompaginare le carte nel campo avversario. Non si spiega altrimenti la virata delle ultime ore verso posizioni proporzionaliste spinte. L'Italicum, stando agli ultimi sondaggi, potrebbe regalare ai grillini una vittoria schiacciante al ballottaggio, eppure Di Maio e soci preferiscono rottamare la legge elettorale in vigore per la Camera e sostituirla con un'altra che assegnerebbe i seggi in proporzione ai voti conquistati alle elezioni. Proprio i fustigatori dei metodi della Prima Repubblica ora rispolverano il tanto vituperato proporzionale, che ha prodotto ingovernabilità e instabilità e ha sempre costretto il Paese a estenuanti mediazioni tra partiti e partitini, animati solo dall'ossessione di occupare il maggior numero di spazi di potere.
Se si tornasse al proporzionale secco, senza sbarramenti e senza premi di maggioranza, si ripristinerebbe di certo un meccanismo di maggiore rappresentatività rispetto agli ultimi vent'anni, durante i quali diverse varianti del sistema maggioritario hanno falsato e alterato la rappresentanza politico-parlamentare. Come rovescio della medaglia, però, il potere di condizionamento delle piccole sigle, dei partitini e dei cespugli tornerebbe ad essere elevatissimo e le scelte di governo più dolorose dovrebbero essere prese mettendo d'accordo troppe teste. Col rischio di paralisi istituzionale. Sembra che i grillini puntino proprio a questo. Fare il pieno di voti nelle urne in nome di una ritrovata e riaffermata diversità morale, raggiungere o anche superare il 30% dei consensi, ma poi rifiutare qualsiasi alleanza con le forze di sistema e dunque candidarsi, anche nella prossima legislatura, ad essere la principale forza d'opposizione.
Oppure, come sostengono altri, la battaglia per il ripristino del proporzionale è solo di facciata, ma in realtà i grillini puntano al "divide et impera", cioè a far litigare tutti sulle modifiche all'Italicum proprio per fare in modo che rimanga in vigore l'Italicum. Per ora, quindi, ancora tatticisimo esasperato in vista del referendum costituzionale, che potrebbe cambiare lo scenario istituzionale e la geografia degli schieramenti. In caso di vittoria dei "No", il premier si indebolirebbe e i suoi avversari, soprattutto la minoranza dem, potrebbero imporgli una linea più arrendevole anche sul sistema elettorale. Il fronte del "No", in caso di vittoria, pur presentandosi assai variegato (da Sinistra Italiana a Fratelli d'Italia, dalla Lega ai Cinque Stelle), potrebbe compattarsi su un testo di riforma elettorale in grado di accontentare tutti.
Il nodo cruciale resta il ballottaggio. Se i Cinque Stelle superano il primo turno, spesso vincono, grazie ai voti del centrodestra. Questo il verdetto delle amministrative. Ma sarebbe così anche su base nazionale? Sembra un gioco delle parti. Renzi, che potrebbe uscire sconfitto ad un ipotetico ballottaggio contro i grillini, difende il secondo turno. I grillini, che potrebbero assumere la guida del Paese facendo il pieno di voti proprio al secondo turno, paradossalmente rifiutano questo sistema. L'impressione è che, dopo il referendum, dovrà essere ancora una volta la Corte Costituzionale a sbrogliare la matassa.