Old, una lotta contro il tempo (che scorre rapidissimo)
La vacanza di una famiglia su una magnifica spiaggia tropicale si trasforma in un incubo, per una sorta di maleficio che fa scorrere il tempo sull’isola in modo rapidissimo, con i personaggi che diventano vecchi in poche ore. Non tutti sono all’altezza del dramma che vivono, ma tutti devono lottare. Diretto da Shyamalan, è un film che fa riflettere.
Vivere l’intera esistenza in un attimo, costretti a un percorso di formazione accelerato: è questo ciò che accade ai personaggi di Old, l’ultimo film del regista indo-americano Shyamalan, adattamento cinematografico del romanzo a fumetti Castello di sabbia di Pierre Oscar Lévy e Frederik Peeters. È un’avventura terribile, un rapidissimo viaggio attraverso le diverse stagioni della vita, quello degli ignari turisti in cerca di serenità su un’isola tropicale da sogno. Per una sorta di malefico, misterioso incantesimo, sono costretti a bruciare le tappe della crescita e dell’invecchiamento in un intervallo temporale così concentrato da non averne neppure coscienza, e tantomeno memoria. E devono accettare i loro visibili cambiamenti repentini e le loro trasformazioni interiori lottando per sfuggire a una maledetta bellissima spiaggia, che li imprigiona in una corsa irrefrenabile verso la morte. In quella baia incontaminata si arriva pieni di entusiasmo e di aspettative, ma quando si capisce che lì accade qualcosa di strano, si scopre tragicamente che fuggire è impossibile.
Per affrontare la drammatica situazione ci sono però i legami familiari, traballanti ma in fondo resistenti e tutti da rivivere in modo nuovo. Infatti i genitori Guy (Gale García Berna) e Prisca (Vicky Krieps), con i figli piccoli Trent e Maddox, sono in grado di guardare in faccia con coraggio le esperienze sconvolgenti che si susseguono: dal ritrovamento inspiegabile di un cadavere sull’arenile al fatto di trovarsi invecchiati nel giro di poche ore e di dover collaborare con gli infelici compagni di disavventura, che hanno avuto il “privilegio” di poter accedere con loro all’insenatura paradisiaca. Tra questi un presuntuoso chirurgo che impazzisce con la moglie, che somiglia a una Barbie e dovrà scoprire di colpo la crudeltà della bellezza che svanisce, in compagnia della figlioletta e della nonna.
Altri “sfortunati” ospiti del loro lussuoso resort condividono paure e disperati tentativi di fuga dalla prigione dorata, ma gli unici a cui può essere davvero concessa la speranza di salvezza sono Trent (Emunt Elliot) e Maddox (Embeth Davidtz). Proprio perché sono arrivati sull’isola da piccoli, ora, diventati improvvisamente adulti, dato che il tempo scorre implacabile, possono tentare di lasciare quella spiaggia dannata. Il thriller non ci consente di svelare altro, neppure il motivo per cui tutte le imprese degli sventurati turisti vengano puntualmente filmate dall’alto da uno sconosciuto, impersonato dallo stesso M. Night Shyamalan, che replica così, come in una scatola cinese, il suo ruolo di regista.
L’autore del film, che spia di nascosto i suoi personaggi, vuole forse avviarci a profonde riflessioni nel bel mezzo dello scorrere delle vicende angoscianti che li coinvolgono e che lasciano il pubblico in una tensione continua. Morti tragiche in successione (ma anche un’incredibile nascita, frutto della scoperta dell’amore da parte dei bambini diventati adolescenti), esplosioni di diffidenza e follia, solidarietà alternata a paura e terrore, superamento miracoloso di conflitti apparentemente insanabili. Guy e Prisca, ad esempio, giunti sull’isola sull’orlo del divorzio e segnati dal dolore della malattia e del tradimento, ritrovano l’amore sul viale del tramonto e comunicano ai loro ragazzi, ormai adulti, la forza di non perdere mai la speranza. Il tutto nel giro di una sola giornata.
Certo, lo scorrere rapidissimo del tempo ci sconvolge e spinge a considerare la vita da un’altra prospettiva, più attenta ai suoi interrogativi più veri. Il rapporto tra genitori e figli, in particolare, si sposta a tappe forzate dalla protezione di mamma e papà verso i loro piccoli, allo struggente accompagnamento dei genitori anziani all’ultimo miglio da parte dei ragazzi diventati grandi. Con tutti i sentimenti di colpa, gratitudine, perdono e speranza che segnano un percorso così complesso e drammaticamente veloce.
Old ci costringe dunque ad accorgerci che non tutto è come sembra, e che la verità delle persone e di ciò che accade non è affatto scontata. Lo spettatore che assiste ammutolito all’incredibile storia è piuttosto stimolato a cercare ciò che è nascosto e sembra incomprensibile. Tempo e spazio non sono ciò che appaiono. La spiaggia bellissima è preda di un misterioso maleficio, per cui la giornata di vacanza felice travolge gli ignari turisti facendoli precipitare, in modi diversi, verso la fine della loro esistenza terrena. Ciascuno di loro cambia profondamente e non sempre è all’altezza del dramma che sta vivendo, ma tutti devono lottare.
Il finale poi è spiazzante, come è giusto che sia in un thriller che si rispetti. Insinua giustamente sospetto e inquietudine sulle divinità del mondo contemporaneo: il lavoro di ricerca ultraefficiente, l’aspirazione irrispettosa al controllo sociale e la pretesa prometeica della salute per tutti, a qualunque prezzo, per raggiungere un tempo “infinito” (e sull’isola invece la vita scorre in un lampo). Un riferimento esplicito alle spietate sperimentazioni delle case farmaceutiche che, di questi tempi, riveste un’attualità forse imprevista dal regista, ma di sicuro terribilmente interessante e spaventosa per quello che stiamo vedendo in tempi di pandemia e di vaccini.