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"Odyssey Dawn", giorno 3. Forse ucciso un figlio di Gheddafi
Continua l'offensiva militare capitanata dalla Francia. Truppe fedeli al raìs sparano sulla folla a Misurata. Il ministro degli Esteri Franco Frattini esige un comando unificato Nato minacciando, in caso contrario, di non concedere più le basi aeree italiane.
Attualità
21_03_2011
All’Onu si scrive “no-fly zone”, in Francia si legge attacco aereo immediato: chissà che irritazione per la grandeur francese il dover digerire il nome inglese dell’operazione, “Odyssey Dawn”, ovvero “Alba da Odissea”.
Che non avrebbe atteso granché per intervenire militarmente in Libia, dopo l’approvazione della risoluzione 1973 dell’Onu, giunta giovedì notte, Parigi lo aveva annunciato subito. E così è stato. Forse però la Francia ha agito ancora più rapidamente di quanto molti analisti legittimamente si attendessero, e questo per palese concessione degli Stati Uniti, meno cogentemente coinvolti nella geopolitica di quella regione di quanto non lo sia l’Esagono.
Sabato 19, nel pomeriggio, alle 17,45, l’aviazione francese ha scatenato una pesante offensiva contro le truppe di Tripoli, concentrando il fuoco attorno alla roccaforte dei ribelli di Bengasi onde impedire ai fedeli di Muhammar Gheddafi di manovrare ulteriormente. Poi sono entrati in azione missili statunitensi e britannici. Dal canto proprio il raìs, le cui truppe erano giunte venerdì a pochi chilometri da Bengasi nel tentativo di chiudere definitivamente la partita, aveva solo poche ore prima annunciato un “cessate il fuoco” a cui però pochi hanno creduto, certamente non i ribelli. Tant’è che sabato mattina gli scontri a fuoco erano già ripresi. Notizia aggiornate in presa diretta sono del resto disponibili sul sito Internet del TG1, che segue costantemente con grande attenzione l’evolversi della situazione.
Già nei giorni scorsi, e con un accelerazione esponenziale proprio nelle ore in cui maturava la risoluzione dell’Onu, Parigi scalpitava.
Gli Stati Uniti, invece, hanno scelto sin da subito di restare in disparte, o comunque di mantenere una posizione arretrata. Non hanno capitanato l’intervento militare, hanno lasciato davanti la Francia - seguita, dopo qualche ora, dalla Gran Bretagna - e per certi versi pare persino che restino ancora tutto sommato a guardare, limitando la propria azione a interventi a distanza o di supporto. Il presidente Barack Obama ha del resto ostentato, come raramente ha fatto la Casa Bianca in situazioni analoghe di crisi, una certa studiata “distrazione”, proseguendo indisturbato la propria visita ufficiale in Brasile, anche se è stato palese che “l’attesa per osservare la situazione” con cui il ministro statunitense della Difesa, Robert M. Gates, ha procrastinato la propria visita ufficiale in Russia - Paese che, assieme alla Cina, e al pari di essa membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con diritto di veto, si è prima astenuto dal voto sulla risoluzione Onu anti-Gheddafi, probabilmente non senza contropartita, e poi si è messo alla testa del fronte del “no” all’intervento armato - indicava ben altro.
La non-politica praticata nei mesi scorsi dalla Casa Bianca sullo scacchiere nordafricano e mediorientale continua dunque adesso con la scelta di andare palesemente a rimorchio di Francia e Gran Bretagna, confermando una volta in più una clamorosa mancanza di strategia.
Più cartesianamente chiaro e distinto è, invece, appunto l’interesse francese per l’area. Chi prima arriva, infatti, meglio sempre alloggia: lo ricordava su queste stesse pagine solo pochi giorni fa l’analista di scenari militari Gianandrea Gaiani. È chiaro, cioè, che qualunque Paese riesca ad accreditarsi - nell’immaginario collettivo, ma pure nella realtà - come il liberatore del popolo libico dalla tirannide gheddafiana potrà sedere da protagonista al tavolo della pace e pretendere a buon diritto mercede dal governo libico di domani: il che, tradotto in lingua corrente, si dice petrolio.
LA CRONACA
Nel momento in cui scriviamo, Muhammar Gheddafi ha annunciato, a sorpresa, l’ennesimo “cessate il fuoco”. Mossa astuta o segno di cedimento?
Dopo due giorni di martellamento, senza dubbio la coalizione militare guidata dai francesi ha raggiunto gran parte degli obiettivi che si era preposta. Anzitutto distruggere i mezzi pesanti dell’esercito libico che tenevano sotto tiro Bengasi, Misurata e altri centri nevralgici della resistenza anti-governativa . Quindi bloccare il ridislocamento sul territorio delle truppe fedeli a Gheddafi. Infine mantenere aperto il “corridoio” che dalla Bengasi dei rivoltosi giunge all’Egitto, permettendo da un lato l’uscita dal Paese di fuggitivi dall’altro l’arrivo di aiuti e di armi.
I bombardamenti hanno infatti distrutto sin da subito alcune delle principali strutture strategiche dell’apparato militare libico, messo fuori uso piuttosto rapidamente i principali mezzi contraerei e quindi bersagliato i bunker dei quadri delle forze armate. Si sono subito segnalati anche attacchi nei pressi alla della caserma-rifugio di Gheddafi.
Per tutta la giornata di domenica sono proseguiti i bombardamenti aerei della coalizione anti-Gheddafi, che durante la notte aveva per la prima volta centrato anche Tripoli.
I tornado britannici, entrati in azione sabato subito dopo gli aerei francesi e assieme a quelli canadesi, hanno aperto il fuoco sulla capitale libica attorno all’1,20 ora italiana. All’alba si sono registrati poi nuovi bombardamenti.
I tornado britannici, entrati in azione sabato subito dopo gli aerei francesi e assieme a quelli canadesi, hanno aperto il fuoco sulla capitale libica attorno all’1,20 ora italiana. All’alba si sono registrati poi nuovi bombardamenti.
Intanto, con un messaggio trasmesso dalla televisione di Stato, Gheddafi ha annunciato che il popolo è pronto «a una guerra lunga» e nella capitale ha fatto consegnare armi anche ai civili, «un milione di civili». E sempre la televisione di Stato ha comunicato che migliaia di cittadini libici si sono già offerti come scudi umani attorno al bunker di Gheddafi.
Attorno a mezzogiorno la rete televisiva americana Cbs ha affermato che tre bombardieri stealth B-2 Spirit hanno lanciato 40 bombe contro una base aera libica.
Alle 13,45 è salpata da Tolone la Charles de Gaulle, la maggiore portaerei francese, l’unica a propulsione nucleare, di appoggio alle incursioni aeree.
Sopra la Libia sono volati in giornata anche aerei militari del Qatar. L’emirato è la prima nazione araba a supportare la coalizione occidentale, nel momento in cui, dopo un primo silenzio, la Lega araba ha giudicato eccessivi i raid "decisi per proteggere i civili, non per bombardare altri civili"; la Russia ha trasformato la propria astensione in aperta contrarietà all’intervento armato, la Cina ha espresso «rammarico» per gli attacchi e così pure ha fatto l’India, il Venezuela ha criticato la coalizione e il comitato dell’Unione africana ne ha condannato la fretta chiedendo lo «stop immediato a tutte le ostilità». L’Iran ha quindi invitato i libici a non fidarsi degli occidentali, il cui «unico obiettivo è quello di conquistare un controllo neocoloniale su una nazione ricca di petrolio», e i talebani dell’Afghanistan hanno condannato le «interferenze dell’Onu e dell’Occidente negli affari interni della Libia» giacché esse «avranno conseguenze che sono contro gli interessi dei Paesi islamici».
Le prime stime delle vittime parlano, stando a fonti sanitarie locali, di più di novanta persone morte negli scontri a fuoco di sabato a Bengasi. Il regime lamenta invece 64 vittime causate dai raid della coalizione e 150 feriti. I morti della capitale sono stati sepolti subito nel cimitero dei martiri del quartiere di al-Hani, a Tripoli, con esequie pubbliche che da parte occidentale qualcuno ha però ritenuto mera operazione di propaganda.
Quanto all’Italia, domenica pomeriggio sono decollati dalla base aerea militare di Sigonella, in Sicilia, sei caccia F16 danesi, giunti nel nostro Paese sabato pomeriggio; destinazione, Misurata. In serata 6 caccia italiani sono invece decollati dalla base di Trapani Birgi, due dei quali sono poi rientrati nelle prime ore della notte mentre alte colonne di fumo si levavano in cielo dalla zona di Bab al-Aziza a Tripoli, dove è ubicata la residenza-bunker di Gheddafi. L’Italia partecipa insomma a pieno titolo alla missione della coalizione internazionale. Il presidente della repubblica Giorgio Napolitano ha citato la Costituzione, sottolineando che il nostro Paese non è in guerra poiché agisce sotto mandato Onu.
È peraltro giallo attorno a un rimorchiatore italiano, l’Asso 22, sequestrato dalle autorità libiche dopo avere lasciato il porto di Tripoli, che per alcune ore è persino comparso dai radar. Intercettato da un elicottero militare di una nave della coalizione internazionale che era nell’area, il suo l’equipaggio non è ancora stato rilasciato.
La coalizione internazionale che nel fine-settimana ha bombardato in Libia le truppe del colonnello Gheddafi, sostenendo i ribelli, mirando al regime-change e ponendo l’ipoteca sul nation-building di domani sono anzitutto la Francia, seguita da Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada, Italia, Danimarca, Norvegia, Belgio, Qatar, Spagna e Paesi Bassi. In quanto tale, la Nato resta in attesa e limitandosi - pare - a svolgere solo un ruolo d’appoggio.
In serata è quindi giunto il nuovo “cessate il fuoco” di Gheddafi. Tutte le azioni belliche libiche sono state sospese.
L'AGGIORNAMENTO
Il "cessato il fuoco" decretato ieri da Gheddafi si è rivelato un ennesimo bluff. Al terzo giorno di operazioni militari, il futuro della Libia resta più che mai incerto.
A Misurata le truppe fedeli a Gheddafi hanno aperto il fuoco sulla folla, uccidendo - pare - nove persone.
Si rincorrono le voci sulla possibile morte di Khamis Gheddafi, figlio del raìs. Khamis, sesto figlio di Gheddafi, sarebbe morto in seguito allo schianto di un aereo pilotato da un militare passato con gli insorti, anche se per ora il regime smentisce. Se la notizia venisse confermata, per Gheddafi sarebbe il secondo figlio perso in un attacco condotto contro la sua caserma-bunker di Bab al-Aziziya.
Mentre la Chiesa italiana non nasconde il proprio appoggio all'offensiva militare per ragioni umanitarie, il governo italiano rimane diviso quanto al giudizio sulle operazioni.
Il ministro degli Esteri Franco Frattini è polemico su una possibile moltiplicazione dei comandi.