Odio in rete, il regolamento prevede il tranello
Il regolamento dell'Agcom prende di mira l’hate speech sui social network ma anche nei media tradizionali. Un richiamo deontologico ai giornalisti sulla sfera privata, ma anche il rischio censura della libertà di espressione perché a enti e associazioni verrà riconosciuta la facoltà di segnalazioni: cattolici nel mirino per islamofobia e omofobia.
La sua finalità è nobile: combattere le discriminazioni e gli insulti in Rete, rendendo il web un luogo di confronto e di discussione, anziché uno sfogatoio delle peggiori pulsioni. Il rischio concreto è che venga strumentalizzato, contro il volere degli stessi proponenti, e venga utilizzato come alibi per censure e imposizioni di pensieri unici o politically correct.
Stiamo parlando del Regolamento varato il 15 maggio scorso dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) e promosso dal consigliere Antonio Nicita, che prende di mira l’hate speech sui social network ma anche nei media tradizionali. Il titolo è già eloquente: “Regolamento recante disposizioni in materia di rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione e di contrasto all’hate speech”.
Questa nuova regolamentazione vuole combattere l’utilizzo di «espressioni, immagini, suoni, elementi grafici - quali i titoli e i sottopancia utilizzati per la sintesi di contenuti delle trasmissioni e tutti gli altri contenuti, anche quelli tratti dai social networks o dai messaggi SMS inviati dagli utenti e mandati in onda in sovrimpressione - che possano, in maniera indiretta o diretta, diffondere, incitare, promuovere o giustificare l’odio o forme di discriminazione e intolleranza,offendere la dignità umana o, in casi estremi, che possano portare alla violenza, al disordine e al crimine nei confronti di una persona o di gruppi di persone per motivi di genere, età, orientamento sessuale, classe, etnia, lingua, nazionalità, colore della pelle, origine sociale, credenze religiose, istruzione, affiliazione politica, status personale e familiare, disabilità fisiche e mentali, condizioni di salute e per ogni altro motivo che possa costituire una lesione dei diritti della persona».
Si vieta altresì la diffusione di dati relativi alla sfera privata delle persone irrilevanti ai fini del diritto di cronaca, il che riecheggia precisi obblighi deontologici che i giornalisti già devono rispettare in base al loro Testo unico e allo statuto professionale derivante dall’insieme delle norme giuridiche e delle carte deontologiche dettate a tutela della personalità altrui.
Il documento Agcom contiene espliciti e puntuali riferimenti al doveroso rispetto del contraddittorio, della sobrietà del linguaggio, del divieto di spettacolarizzazioni, generalizzazioni o espressioni volgari. Si tratta di obblighi ancora più cogenti in caso di trasmissioni registrate e mandate in onda in differita, rispetto alle quali i giornalisti e i produttori di contenuti sono chiamati ad esercitare un sano discernimento e vaglio critico dei contenuti da diffondere.
Il Regolamento non intende introdurre alcuna censura o manipolazione. Il monitoraggio dell’Agcom sui contenuti è simile a quello portato avanti ad esempio in materia di comunicazione politica e rispetto della par condicio, ma senza approcci invasivi o da Stato etico.
Quello che invece apre il varco a possibili strumentalizzazioni è il potere di segnalazione riconosciuto dal Regolamento ad associazioni o organizzazioni, anche religiose. Questo rischia di limitare la libertà di stampa e di espressione e di stimolare decisioni arbitrarie e divisive rispetto alla composizione plurale della società.
Nel recente passato si sono infatti registrati episodi di intolleranza nei confronti dei cattolici, accusati di omofobia per il solo fatto di aver difeso la famiglia naturale o di aver evidenziato alcune caratteristiche violente del pensiero, degli atteggiamenti e delle azioni del mondo islamico. Non si capisce, infatti, perché sia possibile criticare il pensiero cattolico senza che nessuno si indigni, mentre poi si registrano vere e proprie criminalizzazioni di punti di vista contrari, ad esempio, al riconoscimento delle coppie omosessuali. Se la libertà di pensiero esiste ed è riconosciuta dall’ordinamento giuridico, è giusto che venga fatta rispettare in tutte le direzioni. E dunque bisognerebbe intendersi sul concetto di insulto e discriminazione, altrimenti il rischio è che l’applicazione di tale Regolamento avvenga in modo pericolosamente discriminatorio e ideologico.
Tanto più che il Regolamento contiene anche un apparato sanzionatorio graduato. Le violazioni episodiche saranno sanzionate con una semplice segnalazione sul sito di Agcom, mentre irregolarità sistematiche verranno punite in modo più pesante. Alla contestazione dell’Authority gli editori o le piattaforme avranno 15 giorni per le proprie controdeduzioni, mentre le violazioni che interesseranno i singoli professionisti, come nel caso dei giornalisti, vedranno un coinvolgimento dell’Ordine, con l’eventuale apertura di un procedimento disciplinare da parte del Consiglio di disciplina competente per territorio.
Se infine le diffide dell’Authority non otterranno soddisfazione, e se quindi le condotte irregolari dovessero proseguire dopo il primo richiamo, i media coinvolti rischiano sanzioni variabili dal 2 al 5% del fatturato.
Solo di fronte ai primi casi concreti di applicazione si potrà verificare se il Regolamento Agcom sull’hate speech sia in grado di contribuire a rasserenare gli animi in Rete, alimentando una dimensione dialogica e costruttiva, anche sui temi sensibili, senza tradursi nell’imposizione di diktat contrari alla libertà d’espressione.