Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Lorenzo da Brindisi a cura di Ermes Dovico

LA PAROLA DEL PAPA

Occidente stanco di fede e annoiato della storia

Nelle due omelie del Giovedì Santo, Benedetto XVI ha indicato anche esempi luminosi di santità per i nostri popoli che non desiderano più la fede.

Attualità 22_04_2011
papa
Il 21 aprile, Giovedì Santo, Benedetto XVI ha pronunciato due diverse omelie: al mattino, nella Santa Messa del Crisma, nella Basilica Vaticana; alla sera, nella Messa nelle Cena del Signore, a San Giovanni in Laterano. Al centro della liturgia del Crisma, ha ricordato il Papa «sta la benedizione degli oli sacri – dell’olio per l’unzione dei catecumeni, di quello per l’unzione degli infermi e del crisma per i grandi Sacramenti che conferiscono lo Spirito Santo: Confermazione, Ordinazione sacerdotale e Ordinazione episcopale». In tutti i sacramenti, ha detto il Papa, «l’unità tra creazione e redenzione si rende visibile» attraverso l’uso di elementi materiali, «espressione della corporeità della nostra fede che abbraccia corpo e anima, l’uomo intero».

Così, «l’olio è simbolo dello Spirito Santo e, al tempo stesso, ci rimanda a Cristo: la parola “Cristo” (Messia) significa “l’Unto”». L’atto della consacrazione «che nei re e nei sacerdoti dell’Antica Alleanza era avvenuto in modo simbolico nell’unzione con olio, con la quale venivano istituiti nel loro ministero, avviene in Gesù in tutta la sua realtà: la sua umanità è penetrata dalla forza dello Spirito Santo». La stessa parola «cristiani» ha tra i suoi significati quello di «“unti” – persone che appartengono a Cristo e per questo partecipano alla sua unzione».

I tre oli che sono benedetti il Giovedì Santo «esprimono tre dimensioni essenziali dell’esistenza cristiana», su ciascuna delle quali è opportuno riflettere. Anzitutto, l’olio dei catecumeni «indica come un primo modo di essere toccati da Cristo e dal suo Spirito – un tocco interiore col quale il Signore attira le persone vicino a sé». Riflettere su quest’olio significa anche pensare «alle persone che si mettono in cammino verso Cristo – alle persone che sono alla ricerca della fede, alla ricerca di Dio. L’olio dei catecumeni ci dice: non solo gli uomini cercano Dio. Dio stesso si è messo alla ricerca di noi». In verità ogni «uomo è inquieto, perché tutto ciò che è temporale è troppo poco. Ma siamo veramente inquieti verso di Lui? Non ci siamo forse rassegnati alla sua assenza e cerchiamo di bastare a noi stessi? Non permettiamo simili riduzioni del nostro essere umano! Rimaniamo continuamente in cammino verso di Lui, nella nostalgia di Lui, nell’accoglienza sempre nuova di conoscenza e di amore!». Mentre pensiamo – è uno dei temi su cui il Papa torna spesso quest’anno – a coloro che si dicono non credenti e che oscuramente sono alla ricerca della fede, chiediamoci anche se noi stessi – che ci affermiamo credenti – siamo davvero aperti ad accogliere il Signore che sempre viene a cercarci.

In secondo luogo, è benedetto l’olio per l’Unzione degli infermi. Questa benedizione mette «davanti a noi la schiera delle persone sofferenti: gli affamati e gli assetati, le vittime della violenza in tutti i Continenti, i malati con tutti i loro dolori, le loro speranze e disperazioni, i perseguitati e i calpestati, le persone col cuore affranto». Di tutti questi la Chiesa si occupa, perché «il guarire è un incarico primordiale affidato da Gesù alla Chiesa, secondo l’esempio dato da Lui stesso che risanando ha percorso le vie del Paese. Certo, il compito principale della Chiesa è l’annuncio del regno di Dio. Ma proprio questo stesso annuncio deve essere un processo di guarigione». Infatti,  «l’annuncio del regno di Dio, della bontà illimitata di Dio, deve suscitare innanzitutto questo: guarire il cuore ferito degli uomini». Lontananza da Dio e ferite degli uomini stanno fra loro in un diretto rapporto. «L’uomo per la sua stessa essenza è un essere in relazione. Se, però, è perturbata la relazione fondamentale, la relazione con Dio, allora anche tutto il resto è perturbato. Se il nostro rapporto con Dio è perturbato, se l’orientamento fondamentale del nostro essere è sbagliato, non possiamo neppure veramente guarire nel corpo e nell’anima. Per questo, la prima e fondamentale guarigione avviene nell’incontro con Cristo che ci riconcilia con Dio e risana il nostro cuore affranto».

Se però la guarigione dei cuori è il «compito centrale» della Chiesa, d’altro canto «fa parte della missione essenziale della Chiesa anche la guarigione concreta della malattia e della sofferenza. L’olio per l’Unzione degli infermi è espressione sacramentale visibile di questa missione». Ne sono stati testimoni tanti santi fra cui il Papa ha ricordato «Elisabetta di Turingia [1207-1231], Vincenzo de’ Paoli [1581-1660], Louise de Marillac [1591-1660], Camillo de Lellis [1550-1614] fino a Madre Teresa [di Calcutta, 1910-1997]», «una scia luminosa di persone, che ha origine nell’amore di Gesù per i sofferenti e i malati».

In terzo luogo, al Giovedì Santo è benedetto «il più nobile degli oli ecclesiali, il crisma, una mistura di olio di oliva e profumi vegetali. È l’olio dell’unzione sacerdotale e di quella regale, unzioni che si riallacciano alle grandi tradizioni d’unzione dell’Antica Alleanza». Nella Chiesa «quest’olio serve soprattutto per l’unzione nella Confermazione e nelle Ordinazioni sacre». Prima di Gesù Cristo «nel vasto mondo e per il vasto mondo, che in gran parte non conosceva Dio, Israele doveva essere come un santuario di Dio per la totalità, doveva esercitare una funzione sacerdotale per il mondo. Doveva portare il mondo verso Dio, aprirlo a Lui». Venuto Gesù Cristo, san Pietro «ha applicato tale privilegio e tale incarico di Israele all’intera comunità dei battezzati, proclamando: “Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa. Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio” (1Pt 2,9s)». Popolo che proclama Dio oggi sono i cristiani, che «dovrebbero rendere visibile al mondo il Dio vivente, testimoniarLo e condurre a Lui».

Ma il Papa si chiede se oggi è davvero così, soprattutto nei Paesi che un tempo orgogliosamente si definivano cristiani. «Quando parliamo di questo nostro comune incarico, in quanto siamo battezzati, ciò non è una ragione per farne un vanto. È una domanda che, insieme, ci dà gioia e ci inquieta: siamo veramente il santuario di Dio nel mondo e per il mondo? Apriamo agli uomini l’accesso a Dio o piuttosto lo nascondiamo? Non siamo forse noi – popolo di Dio – diventati in gran parte un popolo dell’incredulità e della lontananza da Dio? Non è forse vero che l’Occidente, i Paesi centrali del cristianesimo sono stanchi della loro fede e, annoiati della propria storia e cultura, non vogliono più conoscere la fede in Gesù Cristo?».

E tuttavia, «nonostante tutta la vergogna per i nostri errori, non dobbiamo, però, dimenticare che anche oggi esistono esempi luminosi di fede; che anche oggi vi sono persone che, mediante la loro fede e il loro amore, danno speranza al mondo. Quando il prossimo 1o maggio verrà beatificato Papa Giovanni Paolo II [1920-2005], penseremo pieni di gratitudine a lui quale grande testimone di Dio e di Gesù Cristo nel nostro tempo, quale uomo colmato di Spirito Santo. Insieme con lui pensiamo al grande numero di coloro che egli ha beatificato e canonizzato e che ci danno la certezza che la promessa di Dio e il suo incarico anche oggi non cadono nel vuoto».

Nella Messa in coena Domini, Benedetto XVI ha offerto una catechesi sull’Eucarestia a partire dalle parole di Gesù: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione» (Lc 22,15). Il Signore desiderava istituire l’Eucarestia. «Gesù – ha detto il Papa – è andato incontro a quell’ora desiderandola. Nel suo intimo ha atteso quel momento in cui avrebbe donato se stesso ai suoi sotto le specie del pane e del vino. Ha atteso quel momento che avrebbe dovuto essere in qualche modo le vere nozze messianiche: la trasformazione dei doni di questa terra e il diventare una cosa sola con i suoi, per trasformarli ed inaugurare così la trasformazione del mondo».

Questa parola del Vangelo c’introduce nel mistero del desiderio di Gesù, in cui «possiamo riconoscere il desiderio di Dio stesso – il suo amore per gli uomini, per la sua creazione, un amore in attesa. L’amore che attende il momento dell’unione, l’amore che vuole attirare gli uomini a sé, per dare compimento con ciò anche al desiderio della stessa creazione: essa, infatti, è protesa verso la manifestazione dei figli di Dio (cfr Rm 8,19). Gesù ha desiderio di noi, ci attende».

Ma, di nuovo, il Papa si chiede se noi, se l’Europa, se i Paesi di antica tradizione cristiana hanno ancora «veramente desiderio di Lui», del Signore. «C’è dentro di noi la spinta ad incontrarLo? Bramiamo la sua vicinanza, il diventare una cosa sola con Lui, di cui Egli ci fa dono nella santa Eucaristia? Oppure siamo indifferenti, distratti, pieni di altro?». Dalle parabole di Gesù sui banchetti, vera profezia della nostra condizione attuale, «sappiamo che Egli conosce la realtà dei posti rimasti vuoti, la risposta negativa, il disinteresse per Lui e per la sua vicinanza. I posti vuoti al banchetto nuziale del Signore, con o senza scuse, sono per noi, ormai da tempo, non una parabola, bensì una realtà presente, proprio in quei Paesi ai quali Egli aveva manifestato la sua vicinanza particolare».

Inoltre, Gesù prevedeva anche una seconda categoria di risposte negative: «sapeva anche di ospiti che sarebbero sì venuti, ma senza essere vestiti in modo nuziale – senza gioia per la sua vicinanza, seguendo solo un’abitudine, e con tutt’altro orientamento della loro vita. San Gregorio Magno [540-604], in una delle sue omelie, si domandava: Che genere di persone sono quelle che vengono senza abito nuziale? In che cosa consiste questo abito e come lo si acquista? La sua risposta è: Quelli che sono stati chiamati e vengono hanno in qualche modo fede. È la fede che apre loro la porta. Ma manca loro l’abito nuziale dell’amore. Chi vive la fede non come amore non è preparato per le nozze e viene mandato fuori. La comunione eucaristica richiede la fede, ma la fede richiede l’amore, altrimenti è morta anche come fede».

Di fronte alla prospettiva dei tradimenti, delle mancanze di fede, delle reazioni tiepide Gesù prega. «Matteo, Marco e Luca usano due parole per descrivere la preghiera di Gesù nel punto centrale della Cena: “eucharistesas” ed “eulogesas” – “ringraziare” e “benedire”. Il movimento ascendente del ringraziare e quello discendente del benedire vanno insieme. Le parole della transustanziazione sono parte di questa preghiera di Gesù. Sono parole di preghiera. Gesù trasforma la sua Passione in preghiera, in offerta al Padre per gli uomini. Questa trasformazione della sua sofferenza in amore possiede una forza trasformatrice per i doni, nei quali ora Egli dà se stesso. Egli li dà a noi affinché noi e il mondo siamo trasformati. Lo scopo proprio e ultimo della trasformazione eucaristica è la nostra stessa trasformazione nella comunione con Cristo. L’Eucaristia ha di mira l’uomo nuovo, il mondo nuovo così come esso può nascere soltanto a partire da Dio mediante l’opera del Servo di Dio».

Le preghiere dei Gesù nell’Ultima Cena sono «suppliche al Padre – suppliche che al tempo stesso contengono appelli ai suoi discepoli di allora e di tutti i tempi». E c’è una supplica che «Gesù ha ripetuto quattro volte nella sua Preghiera sacerdotale», da cui comprendiamo «quanto deve averLo angustiato nel suo intimo». È la preghiera per l’unità. Gesù «dice esplicitamente che tale supplica non vale soltanto per i discepoli allora presenti, ma ha di mira tutti coloro che crederanno in Lui».

Gesù prevede le divisioni tra i cristiani, e ne soffre. Non si tratta solo dei grandi scismi, ma anche del rifiuto della Chiesa da parte di coloro che pretendono di poter essere cristiani in modo meramente individuale, senza far parte della Chiesa. «Diciamolo ancora una volta», ammonisce il Papa: l’eucarestia «è l’incontro personalissimo col Signore e, tuttavia, non è mai soltanto un atto di devozione individuale. La celebriamo necessariamente insieme. In ogni comunità vi è il Signore in modo totale. Ma Egli è uno solo in tutte le comunità. Per questo, della Preghiera eucaristica della Chiesa fanno necessariamente parte le parole: “una cum Papa nostro et cum Episcopo nostro”. Questa non è un’aggiunta esteriore a ciò che avviene interiormente, bensì espressione necessaria della realtà eucaristica stessa. E menzioniamo il Papa e il Vescovo per nome: l’unità è del tutto concreta, ha dei nomi. Così l’unità diventa visibile, diventa segno per il mondo e stabilisce per noi stessi un criterio concreto».

Ancora, misteriosamente, nella preghiera di Gesù per l’unità si fa un esplicito riferimento al diavolo: «Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31s). «Oggi – afferma Benedetto XVI – constatiamo con dolore nuovamente che a Satana è stato concesso di vagliare i discepoli visibilmente davanti a tutto il mondo. E sappiamo che Gesù prega per la fede di Pietro e dei suoi successori. Sappiamo che Pietro, che attraverso le acque agitate della storia va incontro al Signore ed è in pericolo di affondare, viene sempre di nuovo sorretto dalla mano del Signore e guidato sulle acque». Tutti noi – laici, sacerdoti, vescovi – «dobbiamo sempre di nuovo imparare ad accettare Dio e Gesù Cristo così come Egli è, e non come noi vorremmo che fosse. Anche noi stentiamo ad accettare che Egli si sia legato ai limiti della sua Chiesa e dei suoi ministri. Anche noi non vogliamo accettare che Egli sia senza potere in questo mondo. Anche noi ci nascondiamo dietro pretesti, quando l’appartenenza a Lui ci diventa troppo costosa e troppo pericolosa».

Pietro, che pure ha anch’egli bisogno di essere sorretto dal Signore, «è chiamato a confermare i suoi fratelli. Non è un fatto esteriore che questo compito gli venga affidato nel cenacolo. Il servizio dell’unità ha il suo luogo visibile nella celebrazione della santa Eucaristia». «Cari amici – ha concluso Benedetto XVI – per il Papa è un grande conforto sapere che in ogni Celebrazione eucaristica tutti pregano per lui; che la nostra preghiera si unisce alla preghiera del Signore per Pietro. Solo grazie alla preghiera del Signore e della Chiesa il Papa può corrispondere al suo compito di confermare i fratelli – di pascere il gregge di Gesù e di farsi garante per quell’unità che diventa testimonianza visibile della missione di Gesù da parte del Padre».