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POLEMICHE

Occidente presuntuoso? Le solite accuse false

Dinanzi ai disastri della natura riemergono slogan terzomondisti che ideologicamente puntano il dito solo contro la cultura occidentale.

Attualità 25_11_2011
Swaiziland
«La cultura occidentale pensa di poter vivere al di fuori della natura, abbiamo la presunzione di volerla dominare, non proviamo quel rispetto innato, misto a timore di altre culture». Così affermava a proposito dell’alluvione che ha colpito la Liguria il meteorologo Francesco Laurenzi intervistato dal quotidiano Avvenire lo scorso 5 novembre: poche parole che costituiscono la sintesi di concetti molto popolari e che proprio per questo richiedono un ulteriore commento, oltre a quelli già espressi da Fabio Spina su La Bussola Quotidiana.

La prima del tutto ovvia osservazione è che a chi mostra nei suoi confronti rispetto e timore la natura non per questo risparmia sofferenze. La natura – a voler usare il linguaggio di chi personifica e divinizza l’insieme degli elementi che costituiscono il mondo terrestre – è matrigna, non madre. Chi “vive nella natura” senza “volerla dominare” soccombe a virus e batteri, è alla mercé, quasi inerme, di animali selvatici – leoni, tigri, coccodrilli che uccidono per cibarsi, elefanti che distruggono i raccolti, serpenti e insetti velenosi che entrano facilmente in case prive di protezione – e subisce disarmato i fenomeni meteorologi avversi – siccità, alluvioni, fulmini... – i vulcani, i terremoti, gli tsunami.

Volendo quantificare, la “presuntuosa cultura occidentale”, intervenendo sulla natura grazie alla scienza e alle sue applicazioni tecnologiche, ha conquistato una speranza di vita alla nascita di circa 80 anni – il record appartiene al Giappone con 83 anni – mentre “altre culture” ne assicurano perfino meno di 50, con un valore minimo di 47 anni detenuto dalla Sierra Leone; ha ridotto la mortalità materna a una media di 15 casi su 100.000 bambini nati vivi contro la media di 530 delle “altre culture”: anche in questo caso si va dai 2 casi della Grecia ai 1.400 dell’Afghanistan; infine ha fatto si che soltanto sei bambini su mille non superino il quinto anno di età – solamente tre in Norvegia e Svezia – quando chi aderisce ad “altre culture” ne vede morire prima dei cinque anni 117 (addirittura 209 in Chad!).

Limitando l’osservazione ai disastri naturali, laddove prevale la cultura occidentale, con la sua “presunzione” di dominare la natura, le vittime – tra morti, feriti, rifugiati, senza tetto ed evacuati – sono in media 2.331 all’anno per milione di abitanti rispetto ai 19.221 di “altre culture”: da un minimo di zero persone in Olanda a un massimo di 117.337 in Swaziland. Vanno aggiunti a ciò i danni materiali, spesso irreparabili. Ma soprattutto vi è il fatto che il “rispetto innato, misto a timore” che altre culture nutrono nei confronti della natura genera mostri.

Per “altre culture” si intendono innanzi tutto quelle tribali, preindustriali, ad esempio quelle africane così volentieri portate a modello di rapporto armonioso con la natura. Sotto la loro influenza, per propiziarsi acque, foreste e monti, tuttora, come nei millenni passati, si sacrificano in cerimonie rituali officiate da anziani e maghi gli animali e gli esseri umani, senza risparmiare neanche i bambini. Si uccide per la pioggia da cui dipendono i campi, gli orti e i pascoli, si fanno offerte per placare gli spiriti di rocce e alberi in prossimità dei quali si evita di sostare, soprattutto dopo il calar del sole, e si invoca la benevolenza degli antenati per un buon raccolto: ma continuando a coltivare la terra con pochi attrezzi rudimentali e a pascolare mandrie e greggi smunte e macilente, senza un governo delle acque e senza piani di riforestazione, sfruttando le risorse disponibili anche fino alla desertificazione e all’estinzione di intere specie animali e vegetali e tuttavia sopravvivendo a stento.