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IL PUNTO SULLA CIRINNA'

Obiezione o disobbedienza? Il gran dilemma dei cattolici

Se fosse approvata l'obiezione di coscienza sulle Unioni civili il sindaco dovrebbe delegare un funzionario, ma così rischia di compartecipare all'azione malvagia. Oppure può optare per una sorta di disobbedienza civile e costringere il prefetto a intervenire d'ufficio. Ma esporrebbe il Comune al commissariamento. Proposte e soluzioni dal mondo cattolico. 

Famiglia 27_09_2016
La Corte di Cassazione

Obiezione di coscienza, Resistenza civile, disobbedienza civile. Ci sono diversi modi di muoversi di fronte alla legge Cirinnà e la questione sta animando il dibattitto politico e giuridico, ma investe anche, in ambito cattolico, gli esperti di morale. Secondo Gianfranco Amato dei Giuristi per la Vita, che sta seguendo il caso del primo cittadino di Cascina Sabrina Ceccardi e che ora è stato avvicinato dal sindaco “disobbediente” di Favria tutto si risolve con la sentenza della Corte Costituzionale n. 467 del 1991 in cui la Consulta afferma una tutela della coscienza individuale quando sono in gioco valori morali importanti», come quelli interessati dalla legge Cirinnà «che ha un carattere sostanziale per la nostra società».

Tesi ribadita anche da Antonio Baldassarre, presidente emerito della stessa Corte, che di fatto dà un via libera «all’obiezione di coscienza che può essere esercitata da un pubblico ufficiale quando a questi sia richiesto di celebrare unioni civili tra due persone dello stesso sesso».

Una soluzione che Amato, parlando con la Nuova BQ, ribadisce come costituzionale al massimo perché tende a salvaguardare anche “il nucleo essenziale di uno o più diritti inviolabili dell’uomo, quale, ad esempio, la libertà di manifestazione dei propri convincimenti morali o filosofici (art. 21 della Costituzione) o della propria fede religiosa (art. 19 della Costituzione)”.

Ma esercitando l’obiezione di coscienza il sindaco deve delegare un altro funzionario ad assolvere all’obbligo di legge. Funziona come per la delega di un matrimonio civile: il sindaco può disporre una delega permanente o ad hoc, ma deve comunque sempre concedere la facoltà a un incaricato. Su questo punto risultano poco chiare le versioni di chi sostiene che basti l'ufficiale di stato civile che proceda d'ufficio senza alcuna delega perché in questo modo non sussisterebbe neppure il problema dell'obiezione di coscienza. Il sindaco non sarebbe coinvolto e "messo alla prova".

Dunque la delega serve sempre. Ne consegue che, incaricando un altro, anche il primo cittadino rischia di cooperare ad un’azione che la sua coscienza giudica malvagia. Come uscirne? Può limitarsi a indicare ai richiedenti di rivolgersi altrove, senza delegare nessuno formalmente? Oppure deve incaricare personalmente con un atto scritto un delegato?

E' in questo secondo caso che si configurerebbe un problema morale di coscienza. Come uscirne? Secondo Amato qualora si dovesse ricorrere al prefetto o addirittura ad un giudizio del Tar che condanni il primo cittadino o fino allo scioglimento del Comune, i difensori della famiglia avrebbero la loro prima Rosa Park italiana (la donna afroamericana che rifiutandosi di cedere il posto in autobus scatenò la protesta che portò all’abolizione della segregazione razziale negli Usa ndr). Un caso eclatante che mostrerebbe come la legge Cirinnà sia una legge liberticida che impedisce la vera obiezione di coscienza. “Anche nel ’38 le leggi razziali erano scritte e vincolanti e nessuno invocò l’obiezione di coscienza. Vogliamo tornare a quei tempi?” è la provocazione di Amato.

Un tentativo diverso, volto all’introduzione nell’ordinamento di una clausola di coscienza all’interno della legge Cirinnà, è stato offerto dal Centro Studi Livatino, che sta collaborando con il Comitato Genitori e figli a mappare nel territorio i sindaci che si oppongono alla legge sulle unioni civili per portare all’opinione pubblica e al Parlamento il tema dell’obiezione di coscienza. Il 21 ottobre l’argomento sarà affrontato per la prima volta in un convegno organizzato dalla Camera dei Deputati e lo stesso Gandolfini è invitato a partecipare.

Secondo il Livatino la materia è estremamente delicata e si gioca anche, ma non solo, sulla natura della delega. Ma in fondo risponde al principio del male minore o del bene maggiore. In sostanza azioni di disobbedienza civile dei sindaci sono meritorie, ma il centro li invita a non fare il passo più lungo della gamba: commissariare un Comune significa accettare il rischio che il successore di quel sindaco sia molto meno attento a queste unioni e possa cooperare ancora di più al male.

Tanto più il sindaco può esigere che il funzionario non indossi la fascia tricolore o non utilizzi spazi comunali per togliere il potenziale simbolico all’unione. Ma bisogna avere ben presente che la strada della disobbedienza civile, pur meritoria, è una strada senza ritorno. Secondo il centro studi si può fare un’analogia con il medico che si rifiuta di effettuare un aborto: la sua coscienza è salva, ma sa perfettamente che la struttura presso la quale lavora, come l’Asl, è tenuta a praticarlo.

Quindi non varrebbe la pena per un sindaco mettere a repentaglio il Comune per un provvedimento che comunque l’amministrazione da lui guidata dovrà in ogni caso ratificare indipendentemente dalle sue scelte. L'azione malvagia in sostanza passerebbe lo stesso e il gesto del sindaco sarebbe solo simbolico, ma non cambierebbe di una virgola la situazione.

Meglio – sembra suggerire il centro studi – lottare per inserire una obiezione di coscienza come “male minore”, ma che non crei però dei “tranelli” morali. Ma come? La strada è in salita e il dibattito è solo agli inizi.