Obiettivo del governo: sopravvivere fino al 10 luglio
Arrivando intatta fino al 10 luglio, la maggioranza attuale scamperebbe il pericolo di andare a elezioni nazionali anticipate in settembre, assieme alle regionali. È improbabile che le tensioni fra Pd e M5S portino alla rottura. Ma è un fatto che il M5S stia perdendo pezzi. E anche nel Pd è incominciata la resa dei conti.
Negli ambienti della maggioranza la data del 10 luglio è vista come un miraggio. Se il Governo dovesse resistere fino a quel giorno, diventerebbe tecnicamente impossibile accorpare le elezioni amministrative del 20 e 21 settembre a eventuali elezioni politiche anticipate e l’esecutivo avrebbe la certezza di resistere almeno fino a fine anno, considerata la legge di bilancio da discutere in autunno. Oggi appare altamente improbabile che le tensioni tra i partiti della maggioranza sfocino in una rottura. Tuttavia, le nubi si addensano all’orizzonte nel cammino di un esecutivo profondamente lacerato al suo interno perché lacerate al loro interno sono le stesse forze che lo sostengono.
Dentro i Cinque Stelle da tempo si combatte una lotta senza esclusione di colpi tra chi sta con Luigi Di Maio (e il reggente Vito Crimi) e chi vorrebbe eleggere on line un nuovo leader meno appiattito sull’alleanza con il Pd (Alessandro Di Battista?) e dal profilo più battagliero e meno governista. Peraltro il Movimento fondato da Beppe Grillo perde pezzi ogni settimana. La senatrice Alessandra Riccardi è passata alla Lega. Fa parte della Giunta per le autorizzazioni a procedere e poche settimane fa aveva salvato Matteo Salvini sul caso Open Arms. Il suo addio è al veleno, con critiche feroci alla gestione dei 5 Stelle. Ora nell’assemblea di Palazzo Madama il fronte governativo può contare su 162 senatori, escludendo quelli a vita. Davvero numeri risicati per poter dormire sonni tranquilli, considerate peraltro le crescenti fibrillazioni nelle file renziane. Anche altri due senatori grillini, Marinella Pacifico e Fabio Di Micco, in ritardo con il versamento delle quote nelle casse del Movimento, sono a rischio espulsione o potrebbero giocare d’anticipo e uscire, assottigliando ulteriormente i numeri della maggioranza.
Alla Camera, dove grazie al premio di maggioranza conquistato alle politiche del 2018 i Cinque Stelle hanno numeri rassicuranti, continua l’emorragia di deputati. Se ne va sbattendo la porta anche Alessandra Ermellino, deputata pugliese, che approda al Gruppo Misto. Il rischio espulsioni e il rischio scissioni accrescono le tensioni nella forza politica che ha più parlamentari in questa legislatura e che è dunque decisiva per qualsiasi governo.
Ma anche il Pd ha le sue gatte da pelare. Il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, la settimana scorsa è uscito allo scoperto per mettere in discussione la leadership del segretario dem, Nicola Zingaretti, ed è stato subito stoppato dalle correnti. Tuttavia è ben noto che il governatore emiliano-romagnolo, Stefano Bonaccini, sta scaldando i muscoli per un ruolo nazionale e potrebbe presto diventare un riferimento per tutti i sindaci del nord, sempre più insofferenti alla gestione attuale del partito.
A completare il quadro delle divisioni nel centrosinistra ci sono le candidature autonome dei renziani alle regionali. In Puglia, Ivan Scalfarotto ha deciso di correre da solo (e avrà anche l’appoggio della minuscola formazione di Carlo Calenda), ma così facendo rischia di far perdere il Presidente uscente, Michele Emiliano, che dovrà affrontare la temibile sete di riscossa di Raffaele Fitto, appoggiato dall’intero centrodestra. I grillini andranno da soli un po’ ovunque, a meno di sorprese, perché vogliono evitare un’altra figuraccia dopo quella umbra dell’anno scorso, quando legarono i loro destini a quello del candidato Pd e persero clamorosamente. Anche in altre regioni, escluse forse Marche e Toscana, Italia Viva presenterà propri candidati, che quindi indeboliranno in ogni caso il fronte del centrosinistra e potrebbero favorire l’ascesa dei rivali di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Decisiva sarà la sfida campana, dove lo “sceriffo anti-Covid”, Vincenzo De Luca, candidato dell’intero centrosinistra ma inviso a Pd e Cinque Stelle, punta a fare il bis e dovrà fare i conti con il forzista Stefano Caldoro.
Mentre la maggioranza di governo, pur gestendo il potere, appare poco coesa, il centrodestra sembra essersi ricompattato proprio sulle candidature alle regionali, rispetto alle quali Matteo Salvini ha fatto in parte marcia indietro, mandando giù scelte poco gradite come quella di Fitto, e ottenendo in cambio di poter esprimere il candidato sindaco di Reggio Calabria e di poter occupare altre caselle in altre città simbolo.
L’esito delle regionali del 20 e 21 settembre (la data sembra ormai certa), unito a quello del referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, potrebbe dare la spallata all’esecutivo qualora il centrosinistra perdesse molte città e regioni nelle quali oggi governa. Di qui ad allora il Governo Conte dovrà fronteggiare una crisi socio-economica davvero drammatica, che normalmente fa perdere consensi a chi guida il Paese. Se diventa difficile sciogliere le Camere a settembre, in piena discussione sulla legge di bilancio, è altrettanto improbabile che un esecutivo delegittimato ancora una volta dal voto popolare (sia pure in elezioni amministrative) possa rimanere in sella. A quel punto rimpasti o governi tecnici o allargati all’opposizione, anche per fronteggiare il probabile disastro socio-economico, potrebbero non essere più soltanto ipotesi.