Obbedienza al Papa, solo in relazione a Cristo
Il dis-orientamento di tanti cattolici davanti alle polemiche sui discorsi del Papa, si supera solo con la consapevolezza che l'obbedienza al Papa deriva solo da un motivo di fede.
- DIBATTITO: IL FUMO DI SATANA
L’opinione pubblica cattolica, in Italia e non solo, continua a essere agitata da polemiche attorno ai discorsi del Papa e alle diverse interpretazioni che essi hanno avuto da parte di opinionisti che si dichiarano conservatori o progressisti (ma pur sempre credenti) e da parte di altri opinionisti che si dichiarano non credenti ma che hanno praticamente il monopolio dei media.
Io, come sacerdote, quando mi riferisco all’opinione pubblica cattolica ho presente soprattutto la fede delle singole persone, e la constatazione che questi eventi mediatici aumentano ogni giorno di più lo sconcerto e il disorientamento tra i fedeli mi induce a prendere ancora una volta la parola per contribuire, con il rigore della logica (che è la mia competenza scientifica) e quella “luce della fede” della quale ha parlato papa Francesco, a ri-orientare i fedeli dis-orientati. Ho collaborato recentemente alla pubblicazione di un volume di vari autori che si intitola appunto Verità della fede: che cosa credere, e a chi (Leonardo da Vinci editore). Ora mi inserisco invece nel proficuo confronto di opinioni che c’è stato su La Nuova Bussola Quotidiana tra Mario Palmaro (che in precedenza era intervenuto a più riprese, assieme ad Alessandro Gnocchi, sul Foglio di Giuliano Ferrara) e il direttore Riccardo Cascioli, ai quali si è poi aggiunto il sociologo Massimo Introvigne.
Palmaro ha esposto di nuovo, nel modo rispettoso che gli è proprio, i suoi dubbi circa l’opportunità (per la pastorale) e l’efficacia (per l’evangelizzazione) degli atteggiamenti e delle parole di papa Francesco; Cascioli, ha replicato ribadendo la linea editoriale della Nuova Bussola Quotidiana, che non ritiene giusto che i cattolici manifestino sui media le proprie opinioni critiche nei confronti del Papa: meglio insistere a chiarire all’opinione pubblica la verità cattolica garantita dal Magistero, e poi confidare nell’indefettibilità che Cristo assicura sempre alla sua Chiesa. Infine Introvigne ha creduto di poter giustificare quegli orientamenti dottrinali e pastorali di papa Francesco che Palmaro criticava, riconducendoli alla teologia e alla spiritualità gesuitica.
Io non posso non condividere le preoccupazioni di Palmaro, e allo stesso tempo comprendo le obiezioni di Cascioli. Sono d’accordo con l’uno e con l’altro, non tanto perché sono amico di tutti due, ma perché ritengo che entrambe le posizioni siano espressione di sincero amore per la fede della Chiesa, per quella fede che sola può garantire l’unità nell’essenziale e allo stesso tempo il legittimo pluralismo nel campo delle scelte teologiche e pastorali, che per loro natura devono essere libere, in quanto non riguardano il dogma ma l’opinabile. Come sacerdote ammiro la mens catholica di questi intellettuali laici che nel loro lavoro professionale si sforzano sempre di fornire all’opinione pubblica i criteri dottrinali per poter distinguere, appunto, tra ciò che è dogmatico e ciò che è opinabile. Non sono affatto d’accordo, invece, con Introvigne, e quanto adesso dirò servirà a spiegare le ragioni del mio accordo con i primi due e del disaccordo con il terzo. Sono ragioni di natura non ideologica e men che meno politica, ma esclusivamente teologica (e pazienza se qualcuno, anche tra i teologi, non è in grado di apprezzare queste distinzioni).
Va ricordato, innanzitutto, che per tutti noi cattolici, la principale (e talvolta unica) ragione per cui dobbiamo interessarci delle parole e dei gesti del Papa è perché egli è a capo della Chiesa di Cristo per volontà espressa di Cristo stesso, come sappiamo per fede. È dunque l’adesione convinta al dogma del Corpo Mistico ciò che giustifica l’obbedienza incondizionata alle direttive pastorali del Papa e motiva l’unione affettiva ed effettiva con lui, quella devozione che faceva dire a santa Caterina da Siena, nel Trecento, che il Papa è «il dolce Cristo in terra» (il che non le impediva di recarsi ad Avignone per rimproverarlo di non risiedere a Roma). Un santo del Novecento, Josemaria Escrivà, per indicare il giusto ordine di una devozione sostanziata di fede, diceva che «per noi cristiani i grandi amori sono Cristo, Maria e il Papa».
Quello che il Papa fa e dice nell’esercizio del ministero petrino deve interessare tutti i fedeli – indipendentemente dalle diverse appartenenze all’interno della Chiesa, dal diverso feeling o da qualunque altra variabile sul piano umano – sempre e solo per un motivo di fede: perché Cristo stesso lo ha voluto come Pastore della Chiesa universale, ossia perché in modo eminente egli è davvero il “Vicario di Cristo”. Ciò significa che il Papa – chiunque egli sia in un dato momento della storia – non interessa tanto come personalità umana o come “privato dottore”, cioè come semplice teologo, quanto invece come supremo garante della verità divina affidata alla Chiesa dall’unico Maestro, che è Cristo.
Insomma, detto un po’ brutalmente (diciamo pure “papale - papale”, usando un’espressone popolare scherzosa ma non senza contenuto), il Papa interessa relativamente, cioè interessa solo in relazione a Cristo, dal quale riceve l’autorità di «pascere le sue pecorelle» nel suo Nome; solo in relazione a Cristo, la cui Parola egli deve custodire, interpretare e annunciare al mondo, «senza aggiungere e senza togliere alcunché»; solo in relazione a Cristo, del quale il primo Papa, san Pietro, disse che «non ci è stato dato alcun altro Nome sotto il Cielo nel quale possiamo essere salvati»; solo in relazione a Cristo che nel Giubileo dell’anno 2000 la Chiesa, con papa Giovanni Paolo II, ha di nuovo messo al centro della propria vita e della propria missione come Colui che «ieri, oggi e sempre» è l’unico Salvatore.
In un’ottica di fede, in un orizzonte di senso autenticamente cristiano, chi interessa assolutamente è solo Cristo, del quale parlano le Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento, e la cui vita, morte e Risurrezione è costantemente commemorata dalla liturgia della Chiesa perché a tutti i fedeli sia consentita una sempre maggiore comprensione spirituale del Mistero del «Verbo che si è fatto carne».
Invece, la personalità umana, la biografia, i gesti e le parole dell’uomo che in ogni momento storico occupa la sede di Pietro meritano di essere conosciuti e interpretati dai credenti unicamente nella misura in cui servono a conoscere e interpretare sempre meglio la Parola di Cristo, così come l’affetto, la devozione e l’unione con il Papa attuale meritano di essere incentivati nella misura in cui si risolvono puntualmente in un accresciuto spirito di adorazione del “Dio-con-noi” e nel rafforzamento di quella unione con Lui che è iniziata con la grazia del Battesimo. Peraltro, nessuno dei grandi santi che conosciamo sono dipesi, nel loro cammino di fede e nel loro impegno ascetico e apostolico, da una conoscenza approfondita della biografia e delle idee personali del papa o dei papi del loro tempo; dipendevano invece interamente dalla dottrina della fede, ossia dal dogma, conosciuto attraverso l'ordinaria predicazione ecclesiastica e la consuetudine delle Scritture, e confrontato con le diverse esperienze ecclesiali, tra le quali soprattutto le vite dei santi. Un dottore della Chiesa come Agostino, ad esempio, giunse alla conversione dopo aver ascoltato la predicazione di Ambrogio e aver meditato il Vangelo, e scelse la condizione monastica leggendo la Vita di Antonio scritta dal vescovo Atanasio. Teresa d’Avila, anch’essa dottore della Chiesa, in nessuna delle sue opere nomina il papa allora regnante, pur sapendo bene che da lui avrebbe dovuto ottenere l’autorizzazione finale per la riforma del Carmelo.
Ora, se tutto questo è vero – e indubbiamente è vero, anzi è proprio una “verità sacrosanta” -, allora che cosa si può trovare, che cosa si deve eventualmente cercare oggi, nei discorsi e nelle iniziative di un Papa così assiduamente seguito dalla stampa e dalla televisione di tutto il mondo? Come interpretare rettamente il senso di ciò che fa e di ciò che dice? Ecco dei criteri di discernimento che come sacerdote mi sembra indispensabile fornire a tutti quei fedeli che cercano sinceramente un incremento della loro vita di fede e una maggiore unione con Cristo attraverso l’unione con il Papa.
Il criterio fondamentale è che il Papa, ogni Papa, ci ri-porta a Cristo ri-presentando e ri-attualizzando il Vangelo con gli atti del suo magistero e con le sue direttive pastorali. Di questo Papa, come di ogni Papa, non debbono necessariamente interessare tutti i discorsi estemporanei, soprattutto se non vengono poi riprodotti negli Acta Apostolicae Sedis, perché essi non costituiscono un vero e proprio magistero pontificio, nemmeno all’infimo grado di autorevolezza: non sono atti che impegnano in qualche modo quella infallibilità personale che il Vaticano I (1870) ha riconosciuto essere prerogativa del Romano Pontefice e che di per sé è sempre collegata all’intenzione di parlare come Pastore della Chiesa universale per “definire” una dottrina dogmatica o morale. Per di più, il contenuto dottrinale di tali discorsi va compreso ascoltandoli o leggendoli integralmente, tenendo conto del contesto, di tutte le circostanze di tempo e di luogo, cosa che non può avvenire se ci si limita a leggerne un sunto e un’interpretazione arbitraria sulla stampa.
Mi si dirà: ma un comune fedele non avrà mai il tempo né sentirà mai il bisogno di andare a verificare se ogni discorso di papa Francesco è stato correttamente interpretato dai media… Giusto!, rispondo io. Ma proprio per questo conviene ai semplici fedeli lasciar perdere l’accavallarsi di notizie estemporanee che fanno di tutta l’erba un fascio, mettendo in risalto solo gli aspetti esteriori e contingenti del papato; non è obbligatorio e nemmeno possibile seguire attentamente e valutare adeguatamente ogni catechesi del mercoledì, ogni omelia nella Messa a Santa Marta, e poi tutti gli interventi estemporanei del Papa (una media di tre al giorno), così come non è obbligatorio e nemmeno possibile conoscere “in tempo reale” tutte le nomine e i cambiamenti che il Papa fa in vista della cosiddetta “riforma della Curia” e per la cosiddetta “provvista di Chiese” in tutto il mondo cattolico.
E, siccome solo conoscendo tutto approfonditamente si può tentare di mettere ciò in rapporto con il “cammino” della Chiesa come tale, in definitiva è meglio che i semplici fedeli (ai quali non interessano affatto le polemiche ideologiche e tanto meno i giochi di potere all’interno della casta clericale) dedichino, come ho detto, lo scarso tempo a disposizione a quei pochi documenti che costituiscono davvero il magistero di questo Papa: l’enciclica Lumen Fidei e l’esortazione apostolica post-sinodale Evangelii gaudium. Lo dico da sacerdote che ha il dovere di conoscere, rispettare e seguire fedelmente le direttive del Papa: non perdete tempo dietro ai pettegolezzi, non fatevi coinvolgere dagli interessi mondani (così li chiama papa Francesco) e dalle speculazioni pseudo-teologiche dei media; fatevi guidare piuttosto dal vostro buon senso cristiano e limitatevi a leggere, con l’intenzione di trarne profitto, quei due documenti. Vedrete che il Papa, quando esercita il suo magistero ordinario, è sostanzialmente in linea con tutto il magistero precedente (non può essere altrimenti); vi accorgerete che la Lumen fidei non contraddice affatto la Fides et ratio di Giovanni Paolo II, e inoltre riconosce esplicitamente il contributo che il suo predecessore Benedetto XVI ha fornito alla stesura del testo; comproverete che nessun Papa sconfessa la dottrina contenuta nei documenti del magistero precedente e che non è possibile che il carisma dell’infallibilità personale porti paradossalmente a “rompere” con la Tradizione, cioè a insegnare il falso.
Ma allora – mi diranno alcuni di questi fedeli - perché “la gente” è convinta che Francesco sia un Papa anti-dogmatico e rivoluzionario, e di conseguenza c’è chi, come Enzo Bianchi, sale sul carro del vincitore nella guerra contro la Tradizione, e sul fronte opposto c’è chi resta sconcertato e scandalizzato credendo di assistere alla liquidazione della Chiesa ad opera dello stesso suo Capo visibile? Il perché è presto detto: tutte le informazioni, di ogni genere e specie, meritano credito solo se provenienti da fonti verificabili e garantite, e se ammettono controlli incrociati: è la logica della conoscenza per testimonianza, che comprende, oltre l’informazione, la conoscenza storica, la divulgazione scientifica, la conoscenza della coscienza altrui, e infine la conoscenza dei misteri soprannaturali, ossia la fede cristiana. Ora, le fonti che forniscono ai comuni fedeli le informazioni riguardanti la vita della Chiesa e il ministero del Papa e le corredano di commenti, non sono mai verificabili e garantite, e difficilmente ammettono controlli incrociati, per cui in questa materia risultano tutte inattendibili. Meglio lasciar perdere, come dicevo. Ma se proprio si vuole cercare di sapere e di capire, occorre almeno seguire questi spassionati consigli che ora do (ai semplici fedeli, s’intende, non a chi ha il dovere d’ufficio di informarsi sulle direttive pastorali e le disposizioni disciplinari della Santa Sede).
Per prima cosa, consiglio ai comuni fedeli di non dare alcun credito, in questa materia, ai media dichiaratamente “laici” (il che, nel linguaggio politico attuale, equivale ad atei o almeno agnostici, e in pratica significa pregiudizialmente ostili al dogma e alla morale cattolica). Le notizie e i commenti sull’operato del Papa diffusi da chi non crede né alla divinità di Cristo né al fine soprannaturale della Chiesa sono viziati all’origine, sicché ai credenti possono fornire solo informazioni mistificanti e devianti.¬ L’esempio più clamoroso è l’articolo nel quale il fondatore della Repubblica, non contento di aver già prima manipolato il contenuto del suo colloquio con papa Francesco, ritorna a parlarne per inventare «svolte epocali» nella dottrina cattolica, sostenendo addirittura che «il Papa ha abolito il peccato!».
Più recentemente, L’Unità e La Stampa parlano di «strappo» alla disciplina canonica che il Papa avrebbe operato battezzando il giorno 12 gennaio il figlio di una coppia di giovani che non avevano celebrato il matrimonio cattolico. In America, The Advocate, la più antica rivista delle organizzazioni omosessuali, mette in copertina papa Bergoglio come l’uomo dell’anno 2013, affermando che con le sue dichiarazioni egli «ha legittimato i gay». Si possono fare mille esempi a dimostrazione che la malsana attenzione con la quale la stampa e la televisione di orientamento laicista segue tutto ciò che il Papa fa e dice, facendo parlare “vaticanisti” e opinionisti di ogni tipo (compresi gli immancabili Cacciari, Vattimo, Flores d’Arcais, Giorello, Odifreddi e Severino) non si deve ovviamente al fatto che si vogliano fornire informazioni corrette sulla realtà religiosa della Chiesa - che per quegli organi di stampa è solo superstizione e ipocrisia – ma alla ben nota strategia culturale dei “poteri forti”, i quali mirano ad abbattere ogni resistenza alle riforme giuridiche e sociali che l’ideologia della secolarizzazione (nella quale confluiscono il progressismo libertino, l’ateismo militante, l’animalismo, lo scientismo, l’omosessualismo) sta imponendo in tutto l’Occidente.
È una strategia evidente, che da settant’anni in qua si è fatta ogni giorno più accanita, grazie anche al fatto che questi malintenzionati commentatori dell’attualità ecclesiale godono oggi di un’egemonia politico-culturale incontrastata, esercitata anche attraverso il monopolio dei media, al punto che gli stessi fedeli cattolici sanno del Papa solo quello che i giornalisti anticattolici propinano loro giorno dopo giorno. Se poi gli opinion makers che pure esistono all’interno della Chiesa (la cosiddetta “stampa di ispirazione cattolica”, ma soprattutto gli operatori della pastorale in tutti gli ambienti) si accontentano di fungere da compiacente eco dei media anticattolici (ritenendo che questo sia un dovere di “dialogo” e di “apertura al mondo di oggi” secondo l’indirizzo pastorale del Concilio e ancora più del Papa attuale), allora il danno che si fa all’autentica pastorale è immenso, perché ai fedeli arrivano solo messaggi ambigui, quando non addirittura mistificatori.
È comprensibile - anche se non accettabile, perché contrario alle regole di un vero dialogo, senza secondi fini – che i massoni, i materialisti dialettici e i nichilisti vogliano spacciare per fatti reali, documentabili, quello che altro non è se non il loro sogno, ossia l’auto-distruzione della Chiesa cattolica mediante l’accantonamento dei dogmi e della dottrina morale, fino all’equiparazione della fede cristiana a ogni altra fede e persino all’ateismo; meno comprensibile è che chi ha il dovere istituzionale di orientare l’opinione pubblica intra-ecclesiale contribuisca a trasmettere ai fedeli il messaggio che papa Francesco, con le sue direttive dottrinali e disciplinari, stia attuando una radicale riforma della Chiesa, riforma che porterà a non condannare più alcun errore dottrinale o pratico e a considerare buone e giuste tutte le opzioni esistenziali, compresa l’irreligiosità e l’ateismo.
Sarebbe come a dire che la Chiesa intende riformarsi proprio nel senso inteso dai suoi nemici di sempre, i quali intendono il dialogo di papa Francesco con loro come una resa senza condizioni, come la piena accettazione della loro denuncia della Chiesa come sistema di potere oscurantista, nemico del progresso e della libertà di coscienza. In parole povere, il messaggio che arriva ai fedeli è che la Chiesa, con papa Francesco, rinnega il suo Credo e la sua Tradizione e rinuncia alla sua stessa ragion d’essere, che è di proclamare il messaggio soprannaturale della salvezza in Cristo Gesù. Logicamente, chi crede nell’indefettibilità della Chiesa sa che questo è impossibile, e comprende bene che tutti gli argomenti di fatto avanzati dai media anticattolici a favore di questa tesi sono falsi, non sono altro che interpretazioni abusive o addirittura fantasiose di atteggiamenti e di parole pronunciate da papa Francesco in occasioni diverse e con interlocutori diversi: atteggiamenti e parole la cui opportunità ed efficacia pastorale possono non risultare evidenti, ma che sono indubbiamente ispirati dal proposito di perseguire i fini propri della Chiesa di Cristo. Così, in coscienza, penso io e così ritengo che debba pensare ogni fedele che nutra sentimenti di devozione per il Vicario di Cristo e doveroso rispetto per la persona del Papa, chiunque egli sia.
Ma, per tutto quello che ho detto, ai comuni fedeli non conviene fidarsi, in questa materia, nemmeno dei media ufficialmente cattolici. L’attenzione prestata ai discorsi del Papa e il modo nel quale questi vengono commentati da parte dei giornali, dalle riviste e dalle emittenti che si presentano come “di ispirazione cattolica” sono evidentemente materia di libera scelta religiosa e professionale, ma in nessun caso possono prescindere dai dettami della coscienza, perché è dovere di ogni credente, nella Chiesa, di contribuire al bene comune, ossia alla vita di fede del Popolo di Dio. Nell’interesse del popolo di Dio, che ha diritto a essere orientato dai suoi Pastori, bisogna che tutti contribuiscano, appunto, a orientare, ossia a indirizzare la mente e il cuore dei credenti all’Oriente che è Cristo.
Se l’operato del Papa viene presentato come l’espressione di una “corrente” all’interno della Chiesa (quella dei progressisti, dei riformatori, degli antidogmatici), o peggio ancora come l’imposizione a tutta la Chiesa di un “carisma” particolare e di una specifica “via” spirituale (quella dei gesuiti), non si fa giustizia della funzione propria del papato: il Santo Padre è il padre di tutti, e il suo “carisma” gli impone di riconoscere e promuovere tutti i “carismi” che lo Spirito suscita nella Chiesa, ossia le diverse spiritualità degli ordini e delle congregazioni religiose, dei movimenti e delle associazioni laicali, così come i diversi riti liturgici e le diverse tradizioni pastorali delle Chiese locali in Occidente e in Oriente.
Certamente, egli ha tutto il diritto di sentirsi «orgogliosamente gesuita» (come ha detto recentemente nella chiesa del Gesù a Roma) e di optare per forme di pastorale che si ispirano a sant’Ignazio: ma se si presentano le scelte personali del Papa come se con questo egli intendesse stabilire nuove regole, anche canoniche, valide per tutta la Chiesa, appiattisce la figura del Papa al livello delle beghe clericali. Si ricasca così nell’errore funesto di spacciare l’opinabile per dogmatico, il che poi conduce, nella coscienza dei fedeli, a quella relativizzazione dell’assoluto che consegue all’assolutizzazione del relativo. Per questo disapprovo la replica di Introvigne a Palmaro pubblicata dalla Bussola Quotidiana; e per questo disapprovo anche la campagna che sta portando avanti da mesi il gesuita Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, il quale, oltre a chiedere e ottenere un’intervista esclusiva di papa Francesco alla sua rivista (presentandola come una specie di enciclica programmatica del pontificato), ne ha poi fatto una personale esegesi in più di un’occasione, fino alla pubblicazione di un volume di vari autori tradotto in varie lingue e pubblicato, oltre che in Italia, anche in Francia e in America. Successivamente, ha continuato a fare l’esegeta ufficiale del papa gesuita con l’esortazione apostolica Evangelii gaudium (cfr Antonio Spadaro, «Evangelii gaudium: radici, struttura e significato ella prima Esortazione apostolica di Papa Francesco», in La civiltà cattolica, n. 3923, 7 dicembre 2013, pp. 417-433), presentandola come espressione genuina della tradizione teologico-morale dei gesuiti, cosa che viene più avanti confermata, nel medesimo fascicolo della rivista, da un articolo del gesuita Brian O’Leary, intitolato «Il vocabolario spirituale di Pietro Favre», il gesuita recentemente canonizzato da papa Bergoglio (pp. 459-472).
Tutto ciò non contribuisce a orientare i fedeli ma li disorienta definitivamente. Se la scelta (opzione prudenziale) di una determinata spiritualità o l’adozione di una determinata prassi pastorale vengono ideologizzate, tramutate nella dottrina teologica con la quale si intende ri-formare la Chiesa e ri-formulare i dogmi, allora non c’è modo di evitare che alcuni fedeli esaltino il Papa come artefice di quella riforma radicale o rivoluzione che certi pretesi teologi (a cominciare da Enzo Bianchi) auspicano, suscitando la scomposta reazione di altri (giustamente definiti “reazionari”) che finiscono addirittura per temere che il papa non garantisca più l’ortodossia. Pietro Prini parlava molti anni fa di uno «scisma sommerso», alludendo al distacco di gran parte dei comuni fedeli dalla dottrina dogmatica e morale della Chiesa; ora il conflitto tra cattolici dell’una e dell’altra fazione (un conflitto così ideologico da ricordare gli «opposti estremismi» della politica italiana degli anni Settanta) può degenerare in un moltiplicarsi di scismi conclamati (già c’è stato l’episodio doloroso della Fraternità di san Pio X).
Meglio allora, come ho detto, lasciar perdere le tante interpretazioni delle intenzioni del Papa che certi malintenzionati impongono all’opinione pubblica cattolica manipolando il contenuto dei suoi discorsi: ci si attenga ai suoi insegnamenti ufficiali, e certamente si vedrà che – al di là di iniziative di “dialogo” che possono essere imprudenti o accenni ad argomenti dottrinali che possono risultare ambigui – i capisaldi della dottrina cristiana non sono minacciati e ogni riforma pastorale della Chiesa sarà, come insegnato da Benedetto XVI, una «riforma nella continuità». E per i fedeli comuni, giustamente non interessati a nomine, sostituzioni e deposizioni in campo ecclesiastico, è quanto basta.