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IL CASO

Obbedienza al Papa e verità, quel che ignorano i cortigiani

Dopo la notizia della pubblicazione del libro di Sarah e Ratzinger sul celibato, i vertici della comunicazione vaticana hanno tentato di “normalizzare”, presentando la visione di Francesco e del Papa emerito come pressoché uguali. Ma ciò è falso e anche la corsa ai ripari di Tornielli&Co lo conferma. Esprimere filiale obbedienza al Papa non significa chiudere gli occhi sui problemi, ma ricorrere alla correzione fraterna per amore dello stesso Papa, di Gesù e dell’intera Chiesa.

Ecclesia 15_01_2020

“Normalizzare”: è la parola d’ordine partita dai vertici della comunicazione vaticana, trovatasi spiazzata dalla notizia della pubblicazione del libro di Benedetto XVI e del cardinal Robert Sarah sul sacerdozio e il celibato. Quando non riesci a impedire a una persona di scompaginare le carte, allora nega che le abbia scompaginate.

E così, per normalizzare, eccoci di fronte a numerosi articoli che sostanzialmente ci dicono una cosa: il libro non dice nulla di nuovo, perché in fondo papa Francesco e Benedetto XVI/Sarah hanno la stessa visione delle cose. Il celibato? Mai Francesco ha pensato di abolirlo; al contrario lo definisce un grande dono per la Chiesa, preziosissimo. Quindi siamo tutti d’accordo.

Non si tratta di contrapporre il Papa regnante al Papa emerito, ma semplicemente di rispettare entrambi, riconoscendo quello che realmente hanno detto, anziché appiattirli a un “dolce sentire” di apparente concordia.

Esprimere filiale obbedienza al Papa, amarlo sinceramente in quanto Papa, non significa chiudere gli occhi sui problemi; perché l’amore al Papa è legato all’amore alla Chiesa e all’amore a Gesù Cristo, principio di tutto. E quando il Papa fa delle affermazioni che rischiano di disorientare i fedeli, di disgregare l’unità, che può esserci solo nella verità, come ci hanno ricordato Ratzinger e Sarah, allora l’amore deve tradursi in correzione fraterna e, se sarà necessario, in opposizione umile, sincera e forte ad eventuali decisioni errate. Il resto sono chiacchiere, che nascono da timore delle conseguenze o da cortigianeria. Quand’anche non siano frutto di un’ormai irrecuperabile e colpevole cecità.

Nessuna stravagante idea di staccarsi dalla Chiesa, di fondare “comunità di perfetti”, di irridere o offendere Francesco; ma questo non significa nemmeno accettare di entrare in quella notte dell’intelligenza dove, per dirla con Hegel, tutte le vacche sono nere. È questa l’uniformità di pensiero che si vuole imporre: quella della notte che non distingue più forme e colori.

Allora, che cosa pensa davvero papa Francesco del celibato? Che è un dono prezioso per la Chiesa e che lui non intende renderlo opzionale, come disse sull’aereo, rientrando dalla GMG di Panama e come ha ricordato Tornielli nel suo intervento su Vatican News. In quell’occasione però Francesco disse anche altro: aprì alla possibilità di pensare all’ordinazione di uomini sposati «nei posti lontanissimi, penso alle isole del Pacifico… quando c’è necessità pastorale il pastore deve pensare ai fedeli». Il che è più che sufficiente per distruggere di fatto il celibato obbligatorio, anche se poi si dice di non volerlo fare; qualcuno può avere la carità di spiegare per quale ragione la necessità pastorale dei fedeli delle isole del Pacifico non possa essere condivisa da quella dei fedeli che abitano in qualche vallata sperduta dell’Appennino, o nel mezzo di un’affollatissima città europea, dove però ormai i sacerdoti sono spariti?

Non solo, ma sempre in quell’occasione, il Papa tirò fuori, non certo a caso, il nome di Fritz Lobinger, che in un suo libro (ne abbiamo già parlato qui), definito dal Papa “interessante”, propone due categorie di sacerdoti: una celibe, con l’autorizzazione di esercitare i tre munera (governo, insegnamento, santificazione), e l’altra sposata, cui è concessa solo la facoltà di celebrare la Messa e amministrare i sacramenti. Dopo questa apertura, Francesco ha più volte ribadito che quella del celibato opzionale non sarà una decisione sua, che lui non si sente di prendere questa decisione; il che non impedisce che egli possa delegare i vescovi e le conferenze episcopali, laddove ci siano necessità pastorali. Ossia, ovunque. Allora cosa pensa Francesco? Mi pare evidente che egli sia disponibile a concedere, caso per caso, facoltà ai vescovi di ordinare persone sposate; perché nella sua prospettiva, questo caso per caso, non lederebbe il celibato obbligatorio.

Questa posizione è però sbagliata. Ci dicono che possiamo stare tranquilli, perché non si tratta dell’abolizione del celibato, quasi che qualcuno pensi che il Papa, domani mattina, decida di proibire l’ordinazione di persone celibi... Siamo seri. Certo che non si tratta di questo nè si tratta dell’abolizione, per via normativa, del celibato obbligatorio. Quello che si sta prospettando è invece il mantenimento della norma - la “lettera che uccide”! - del celibato obbligatorio nella Chiesa latina, affiancato da disposizioni di ordine pastorale che permetterebbero l’ordinazione di uomini sposati, che continuano ad usare del matrimonio, per assicurare i sacramenti laddove mancano i sacerdoti celibi. Per sollevare ulteriormente Francesco da eventuali titubanze, il Sinodo sull’Amazzonia ha escogitato la proposta di scegliere questi candidati tra i diaconi permanenti. Quindi Francesco rimarrebbe fedele alla sua affermazione: «Il celibato opzionale prima del diaconato no», perché se si  concretizzasse la proposta del Sinodo amazzonico avremmo paradossalmente un celibato opzionale “dopo il diaconato”!

Ma è proprio questo che il cardinal Sarah e Benedetto XVI vengono a correggere con il loro libro, mettendo in luce che è di origine apostolica il fatto che i candidati al sacerdozio devono promettere di custodire il celibato, oppure, se sono sposati, di vivere in perfetta continenza. Per il Papa emerito, «lo stato coniugale riguarda l’uomo nella sua totalità; siccome il servizio del Signore esige ugualmente il dono totale dell’uomo non risulta possibile realizzare simultaneamente le due vocazioni».

Quindi, l’affermazione che tra la posizione sul celibato di Benedetto XVI e quella di Francesco c’è sostanziale continuità risulta o superficiale o tendenziosa.

Tornielli cerca di insinuare il mantra che «il celibato sacerdotale non è e non è mai stato un dogma», ma «una disciplina ecclesiastica della Chiesa latina che rappresenta un dono prezioso», gettando fumo negli occhi per disorientare e facendo finta di non sapere che quella del celibato e della continenza sono discipline che discendono da verità di fede, che le incarnano, che le rendono visibili; e che quindi, colpendo queste, è proprio il dogma a sparire dall’orizzonte: constatare che i sacerdoti rinunciano al matrimonio per Cristo e per la Chiesa, mette sotto gli occhi di tutti la realtà della Chiesa.

Maccioni su Avvenire si mette in scia: «Papa Francesco non ha intenzione di modificare la dottrina sul celibato sacerdotale. Più semplicemente [...] ha ventilato la possibilità che, in alcune comunità cristiane isolate e difficilmente raggiungibili, possano ricevere l’ordinazione sacerdotale dei “viri probati”». Ma chi pensano di prendere in giro? Cosa ce ne facciamo noi di una dottrina che non si incarna da nessuna parte? Di una dottrina chiusa sotto chiave e messa sotto vuoto, per non essere alterata, ma che in concreto non c’entra niente con la vita della Chiesa? E che viene di fatto contraddetta dalla disciplina?

È chiaro che Francesco non ha ancora preso posizione sulla richiesta avanzata dal Sinodo sull’Amazzonia; ma è altrettanto chiaro che tutta questa corsa ai ripari della Sala Stampa vaticana e degli altri “sudditi” fa perfettamente capire quale piega stava prendendo quella decisione. Qualunque cosa accada, Benedetto XVI ci ha confermati nella fede della Chiesa: a questo ci dobbiamo attenere. E non perché sia la sua voce autorevole a dircelo, ma perché questo è l’insegnamento di Cristo e degli Apostoli.