Obamagate: rivelati i nomi di chi ha "smascherato" Flynn
Obamagate: nuovi sospetti che l’ex presidente Obama stesse spiando il suo successore Trump e volesse tendergli una trappola in vista del suo insediamento. È stata de-secretata la lista degli uomini di Obama che chiesero di scoprire l’identità del generale Flynn, per poi, probabilmente, abusarne. C'è anche l'ex ambasciatore in Italia.
Nuovi colpi di scena nel caso Obamagate, cioè il sospetto (fondato) che l’ex presidente Barack Obama stesse spiando il suo successore Donald Trump e volesse tendergli una trappola in vista del suo insediamento. Ora si sanno dettagli in più che potrebbero rivelarsi determinanti: la lista degli ufficiali e degli uomini dell’amministrazione Obama che chiesero di scoprire l’identità del generale Michael Flynn (primo Consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, quando non si era ancora insediato) mentre era ancora sotto indagine per presunta collusione con la Russia.
Erano le prime settimane del gennaio 2017, Trump era già stato eletto ed era in fase di insediamento. Obama era ancora il presidente. Immediatamente prima dell’insediamento di Trump, è partita la prima inchiesta sulla collusione fra Trump e la Russia. La prima vittima, ora scagionata dalle accuse, è stato il generale Michael Flynn, indagato per una sua telefonata all’ambasciatore russo Kislijak e ritenuto colpevole di aver mentito a un pubblico ufficiale durante un interrogatorio avvenuto alla Casa Bianca. Ora sappiamo, in base ad appunti degli agenti dell’Fbi appena desecretati, che quell’interrogatorio era stato concepito dall’inizio come una trappola per incastrare il generale. Il suo nome, secretato in tutti i rapporti di intelligence era stato, nel frattempo, “smascherato” su richiesta di una trentina di funzionari e ufficiali dell’amministrazione Obama. Quei nomi contengono diverse sorprese e non fanno che alimentare altri dubbi, anche perché uno di loro è probabilmente colpevole di aver fatto trapelare al quotidiano Washington Post l’inchiesta su Flynn, quando era ancora segreta, mettendo in difficoltà l’amministrazione Trump ancor prima che mettesse piede alla Casa Bianca.
La pratica dello “smascheramento” di un nome in un dossier dell'intelligence è una pratica abbastanza comune. Un alto funzionario impegnato direttamente nell’inchiesta, il presidente, il vicepresidente o un membro dell’amministrazione può richiederlo. L’Agenzia per la sicurezza nazionale, vagliate le motivazioni e la fonte della richiesta, nella maggior parte dei casi concede l’autorizzazione allo smascheramento del nome classificato. Chi legge il rapporto confidenziale o segreto, dunque, sa, da quel momento in poi, di chi si sta parlando e può trarne le debite conclusioni. Quindi, nella trascrizione di un’intercettazione telefonica, ad esempio, il lettore che ha chiesto e ottenuto lo smascheramento, viene a conoscenza del nome di chi sta parlando con chi. Secondo le regole dell’Agenzia di intelligence nazionale, lo smascheramento è vietato se viene impiegato a fini politici o se serve per far trapelare informazioni segrete ai media. L’amministrazione Trump sta contestando soprattutto il possibile uso mediatico e politico del nome di Flynn.
Trump accusa l’allora vicepresidente Joe Biden (attuale candidato democratico alla Casa Bianca) di aver fatto un uso improprio delle informazioni ricevute. Stando alle informazioni appena declassificate, Biden avrebbe chiesto lo smascheramento di Flynn, il 12 gennaio 2017 (una settimana prima della fine dell’amministrazione Obama), in una trascrizione di un’intercettazione telefonica.
Fra membri dell’amministrazione Obama che chiesero lo smascheramento del nome di Flynn alla vigilia dell’insediamento dell’amministrazione Trump risultano nomi importanti. A parte i vertici dei servizi di intelligence e della polizia, che avevano un interesse diretto a conoscere anche per nome chi fosse coinvolto nell’indagine, figurano anche politici e diplomatici che sollevano molti ulteriori dubbi. Fra di loro c’è il già menzionato Joe Biden, ma anche Samantha Power (allora ambasciatrice all’Onu), Denis McDonough (capo dello staff della Casa Bianca), tutte figure molto vicine al presidente e influenti nella sua amministrazione. Alcune “curiosità”: Denis McDonough chiese lo smascheramento dell’identità di Flynn il 5 gennaio, lo stesso giorno dell’incontro allo Studio Ovale della Casa Bianca, in cui i vertici dell’Fbi e l’amministrazione Obama si incontrarono per prendere decisioni sul da farsi nell’inchiesta che riguardava il generale. Il giorno prima l’Fbi aveva deciso di tenere aperto il caso, per ordini dall’alto. L’ex ambasciatrice Samantha Power, che ha inoltrato all’intelligence nazionale ben sette richieste di smascheramento è la stessa che, durante l’inchiesta negli anni successivi, ha dichiarato sotto giuramento di non ricordare di aver fatto richieste su Flynn.
Già questo dà la misura di quanto quell’indagine fosse un’operazione politica oltre che un’operazione di controspionaggio. Inoltre, fra i diplomatici figurano due diretti interessati (gli ambasciatori in Turchia e Russia), ma anche uno che teoricamente non c’entrava nulla: John Phillips, ambasciatore Usa in Italia. Perché proprio l’Italia? Perché è dal nostro Paese che è partita l’indagine che ha dato corpo al dossier Steele, poi rivelatosi quasi del tutto falso o inutilizzabile.