Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Cristo Re a cura di Ermes Dovico
TERRORISMO

Obama copre l'Arabia Saudita sull'11 settembre

E se gli attentati dell'11 settembre fossero stati organizzati anche dall'Arabia Saudita? E' uno scenario che sta emergendo ancor di più dopo la pubblicazione di un nuovo documento di 28 pagine, finora segreto. Anche sulla base di quello, il Congresso ha approvato una legge che permette ai parenti delle vittime di far causa a Riad. Ma Obama ha posto il veto.

Esteri 25_09_2016
Obama con re Salman

Barack Obama ha posto il veto sulla nuova legge contro gli Stati sponsor del terrorismo. La nuova normativa avrebbe permesso ai parenti delle vittime dell’11 settembre di denunciare l’Arabia Saudita, accusata di aver segretamente sostenuto gli attentati del 2001 contro New York e Washington. I repubblicani al Congresso insorgono, ma anche i democratici sono contrari alla scelta del loro presidente.

La nuova legge era promossa dai comitati delle famiglie delle vittime dell’11 settembre 2001. Avrebbe permesso ai sopravvissuti degli attentati e ai loro parenti (in tutto sono 2996 i morti a New York, Washington e sul volo United 93) di denunciare anche i paesi sospettati di aver avuto un ruolo nella preparazione dei grandi attentati. Le famiglie delle vittime stanno cercando da anni di denunciare l’Arabia Saudita, la principale sospetta. La legge, soprannominata con l’acronimo Jasta (Justice Against Sponsors of Terrorism Act) avrebbe costituito un’eccezione nella consuetudine della “immunità sovrana”, quella per cui un governo non può essere denunciato e subire un processo in un tribunale straniero. E’ soprattutto per questo motivo che Barack Obama ha scoraggiato il voto e poi esercitato il suo potere presidenziale di veto: sostenendo che potrebbe essere un boomerang. Lo stesso precedente, infatti, potrebbe essere usato da altri paesi per processare personale americano all’estero. Gli italiani, per esempio, avrebbero potuto incriminare i piloti americani responsabili dell’incidente del Cermis (1998) e i paesi in cui operano le forze speciali americane potrebbero sporgere denuncia in caso di vittime collaterali. In paesi in cui i diritti dell’accusato non sono tutelati e i processi sono arbitrari o controllati dalla politica locale, migliaia di americani sarebbero a rischio. “Se ciascuno degli accusatori dovesse vincere la causa, in base alle leggi locali applicate da tribunali locali, inizierebbero a guardare alle proprietà del governo statunitense all’estero come fonte di risarcimento, potenzialmente con gravi conseguenze economiche per gli Stati Uniti”. Ai parenti delle vittime, il presidente riconosce che “non c’è niente che possa cancellare il dolore che le vittime e le famiglie delle vittime dell’11 settembre hanno dovuto patire. Promulgare la Jasta, tuttavia, non servirebbe a proteggere gli americani da altri attacchi terroristici, né ad aumentare l’efficacia della nostra risposta a questi attacchi”.

Si tratta di giustificazioni in parte legali (la preoccupazione sulla reciprocità ed eventuali rappresaglie), in parte politiche (non combattere il terrorismo punendo i suoi sponsor). Obama, insomma, non ha detto chiaro e tondo che l’Arabia Saudita è innocente. Probabilmente sa che assumere l’innocenza di Riad è conveniente, ma nessuno ci crede. Nemmeno la Casa Bianca. Non a caso, il dibattito sulla nuova legge è incominciato con l’emergere di un nuovo rapporto. Il dato importante che si conosce sin dal 2001 è la composizione del commando dei terroristi dell’11 settembre: 15 su 19 erano sauditi. Tuttavia non sono mai emerse prove sul coinvolgimento diretto di Riad nella preparazione degli attentati. Ma a luglio il Congresso ha pubblicato un documento di 28 pagine, sinora segreto, tratto da un più ampio rapporto congressuale sull’11 settembre. Da quelle 28 pagine si apprende che i membri del commando terroristico avessero contatti in territorio statunitense con funzionari sauditi. Almeno alcuni dei membri del commando, avevano legami con membri del governo della monarchia saudita.

Da quel documento si apprendono cose che lascerebbero a bocca aperta anche i teorici della cospirazione. Ad esempio si parla di Omar al Bayoumi e Osama Bassnan. Il primo è ritenuto un uomo dell’intelligence saudita da fonti della comunità musulmana, in contatto sia con aziende del gruppo Bin Laden che con il personale diplomatico saudita in America. Al Bayoumi ha aiutato il commando di terroristi che operava da San Diego, fornendo loro tutta l’assistenza (legale, finanziaria, burocratica) possibile ed è una figura nota sin dalle primissime indagini. Quel che è emerso dalle indagini successive è l'assiduità dei suoi contatti con il governo e con i funzionari del corpo diplomatico saudita. I due dirottatori Al Hazmi e Al Midhar avevano contatti anche diretti con funzionari del consolato di Los Angeles e con l’imam della moschea King Fahad, un ambiente in cui si predicava un islam radicale e violentemente anti-occidentale, ma ben frequentato dal personale diplomatico saudita. L’altro uomo che aiutò i terroristi, Osama Bassnan, da quel che risulta dai nuovi documenti sarebbe legato a doppio spago con la corte saudita: moglie stipendiata dalla principessa Haifa, lui stesso pagato dal principe Bandar, ambasciatore saudita negli Usa.

Dopo aver esaminato tutto questo materiale scottante, il 9 settembre la Camera ha votato a favore della Jasta. Il rapporto declassificato non è sufficiente a dimostrare il diretto coinvolgimento dell’Arabia Saudita, ma sicuramente dà spunti importanti per nuove indagini e un eventuale processo internazionale. La legge è stata bloccata dal presidente, ma potrebbe essere promulgata comunque. Al Congresso si prepara la battaglia per scavalcare il veto presidenziale: occorre il voto della maggioranza qualificata (il 75%) e il numero potrebbe anche essere raggiunto. Visto che, almeno per una volta, democratici e repubblicani si trovano dalla stessa parte della barricata. Anche non passasse in Congresso, la legge potrebbe essere firmata dal prossimo presidente. Infatti, sia Donald Trump che Hillary Clinton lo hanno promesso.

Considerando questi rapporti di forza, la causa di Obama in difesa dell’Arabia Saudita è ormai politicamente insostenibile. Ma a prescindere dallo scontro politico di questi giorni, l’episodio fa luce su più di un’ambiguità della politica estera americana. Il patto di alleanza con l’Arabia Saudita risale ai tempi della Seconda Guerra Mondiale ed è essenzialmente un patto economico (fornitura del petrolio) oltre che militare (garantire la stabilità nel Golfo, assieme alle altre monarchie tradizionali sunnite). Per settant’anni, tuttavia, i governi americani che si sono succeduti non hanno mai messo in dubbio la legittimità di una monarchia che applica, al suo interno, la versione più intransigente della sharia (non troppo diversa da quella applicata dal Califfato) e all’estero predica la versione più jihadista dell’islam. Sono i petroldollari sauditi che, nel corso dei decenni, hanno permesso la proliferazione di madrasse, moschee radicali e movimenti politico-culturali jihadisti in tutto il mondo musulmano. Un ruolo che oggi è conteso dal Qatar e che per decenni ha cambiato il volto all’islam politico. Gli Usa hanno difeso l’Arabia Saudita dall’aggressione di Saddam Hussein con la guerra del Golfo del 1991. Nei decenni successivi hanno investito miliardi di dollari nella sicurezza saudita. Subito dopo l'11 settembre, l'Arabia Saudita si è schierata con gli Usa nella lotta al terrorismo. E dal 2014, Riad è parte della Coalizione che sta contrastando l'Isis in Iraq. Nonostante ciò, non è mai stato chiaro fino a che punto la monarchia di Riad sia sinceramente impegnata nella lotta al terrorismo islamico (soprattutto al suo interno) o non faccia piuttosto il doppio gioco. Un processo potrebbe contribuire a svelare questo enigma una volta per tutte.