Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Venerdì Santo a cura di Ermes Dovico
SHUTDOWN

Obama "chiude" i cappellani militari cattolici

Con la chiusura temporanea del governo federale, i cappellani militari cattolici non possono tenere messa, neanche gratis. Inquadrati come funzionari civili non possono esercitare il ministero nelle basi, pena il carcere. È l'ultima "obamata".

Esteri 08_10_2013
Statua della Libertà chiusa

Il famoso «shutdown» americano, come ha ben spiegato La Nuova Bussola Quotidiana, non è affatto n’apocalisse ma solo la chiusura temporanea di servizi non proprio essenziali per gli americani: musei, biblioteche, la Statua della Libertà. Non essendo stato approvato il bilancio federale, i servizi federali sono solo sospesi. Punto.

Ora, avvisa «The Daily Caller» online che un servizio federale è anche quello dei cappellani militari, i quali, se cattolici, non potranno dire messa nelle varie basi americane sparse nel mondo. Neppure gratis. E, se insisteranno, saranno passibili di arresto. Lo ha riferito John Schlageter, «general counsel» dell’Arcidiocesi per i Servizi Militari Usa: «Durante lo shutdown è illegale per loro esercitare il ministero nelle basi e rischiano l’arresto se provano a farlo». Già: sono considerati per legge impiegati federali. A essere precisi, tuttavia, ciò non vale per i cappellani inquadrati nell’esercito come ufficiali (è stato chiarito che i militari riceveranno regolarmente il soldo) ma solo per quelli «civili». Infatti, data la carenza di cappellani cattolici, in non poche basi a dir messa vengono degli «esterni» come «contractors». Questi sono colpiti dallo shutdown.

Il che significa che, se non si trova una gabola e lo shutdown persiste, la domenica niente messa per i militari cattolici di chissà quante installazioni americane. Il problema è ingarbugliato, perché già qualche deputato repubblicano ha fatto presente la violazione dei diritti costituzionali dei militari cattolici implicati. In particolare il senatore del Kansas, Mike Pompeo, laureato a West Point e veterano, si è scagliato contro l’«irresponsabilità» del presidente Obama che urta contro il Primo Emendamento. E ha aggiunto: «La strategia del presidente, come durante un sequestro, è quella di infliggere più sofferenze possibile».

In effetti, Obama accusa pubblicamente i repubblicani di non aver voluto approvare il bilancio. In realtà è lui che non ha voluto accettare la loro richiesta di sospensione per un anno del cosiddetto «Obamacare». Si badi: non gli chiedevano di rinunciare al suo progetto-fiore all’occhiello in cambio dell’approvazione del bilancio federale, solo di sospenderlo pro tempore. Obama, invece, ha rigettato la proposta e si è appellato pubblicamente alla nazione, dipingendo gli avversari politici come mostri senza cuore. Il fatto è che le uscite di un presidente largamente screditato in patria sono pompate in Europa e qui avallate senza condizioni (basta leggere gli allarmati articoli sulla stampa italiana, per la quale lo shutdown americano è, appunto, n’apocalisse mondiale; idem per i Tg, che dipingono la cosa coi foschi toni della tragedia globale incombente). Per forza: Barack Obama è nero, è di sinistra, parla per slogan. Questo basta a fare del presidente più inconcludente della storia degli Usa un’icona per i liberals europei.

Notare che, essendo al suo secondo e ultimo mandato, non dovendo giocarsi la rielezione ha praticamente mani libere. Ma non ha una strategia, soprattutto in politica internazionale, ambito nel quale, anzi, non ha fatto che collezionare errori e flop. Perciò punta tutto sulla sua riforma assistenziale, per la quale vorrebbe passare alla storia. Peccato che per gli americani detta riforma puzza troppo di socialismo. Perciò, la sua campagna di odio contro i repubblicani li lascia tutto sommato indifferenti. Comunque, il mondo dovrà tenerselo fino al 2015, con sua moglie, i di lei orticelli autocoltivati, gli appelli a mangiare sano e fare ginnastica. Ne resterà, certo, l’icona («il primo presidente nero»). Come Kennedy, di cui si ricordano la bella moglie, Marilyn Monroe e gli slogan («Ich bin berliner!»), ma si stende un velo pietoso sulle risultanze della sua amministrazione. Qualcuno ha già osservato che se Obama fosse stato bianco, conservatore e figlio di un petroliere, altro che premi Nobel e ritratti pop-art. L’intera Hollywood, Michael Moore in testa, gli avrebbe servito una bella icona a futura memoria del pianeta. Che, ovviamente, avrebbe pure ricevuto l’Oscar.