Nuovo sultano in Oman, eccezione tra i Paesi del Golfo
La morte, il 10 gennaio, di Qaboos bin Said al Said e la salita al trono del cugino Haitham bin Tariq al Said non hanno destato molta attenzione. Forse perché l’Oman non ha ribellioni, permette le religioni diverse dall’islam, ha avuto nell’ultimo mezzo secolo una buona amministrazione, e quindi non fa notizia.
Un territorio vasto come l’Italia ma con circa quattro milioni di abitanti, affacciato sul Golfo Persico e sull’Oceano Indiano, largamente occupato dalle catene montuose dell’Hajar, con vette che superano i 3000 metri nella parte Nord, e dal deserto roccioso del Wahiba Sands a Sud. All’interno il mitico deserto sabbioso del Rub al-Khali, il “quarto vuoto”, il “deserto dei deserti”. E ancora, all’estremo Sud, la regione del Dhofar con un microclima tropicale con vegetazione lussureggiante e rifugio di moltissimi uccelli migratori: questo è l’Oman, il più vario Paese della Penisola arabica.
Non compare spesso nelle cronache perché non ha ribellioni (la “primavera araba” qui si è esaurita in pochi giorni e ha visto in piazza poche centinaia di persone), non è legato a nessun movimento integralista, al suo interno ha una buona amministrazione con ampi spazi di libertà individuale, economica, religiosa, sociale e, quindi, non fa notizia.
Anche la recentissima morte del sultano Qaboos bin Said al Said non ha destato troppa attenzione, forse causa le tormentate vicende degli ultimi giorni che vedono l’Iran e gli Usa sulle prime pagine di tutti i giornali. In verità la morte, il 10 gennaio, di Qaboos, senza figli, e l’immediata successione al trono da parte del cugino, già ministro, Haitham bin Tariq al Said (nella foto in alto), dovrebbe attirare la nostra attenzione per l’importanza strategica e politica di questo piccolo sultanato affacciato sul Golfo Persico e in parte detentore del controllo dello Stretto di Ormuz.
L’Oman ha una storia particolare. Passato all’islam ancora vivente Maometto, adotta la corrente ibadita (dopo la scissione fra sunniti e sciiti si crea un terzo ramo dell’islam, quello dei kharijiti, di cui gli ibaditi sono una parte) e nel 751 dà vita a un imamato indipendente. Occupato dai Portoghesi nel XVI secolo, cade poi sotto il dominio degli Ottomani fino al 1741 quando Ahmed ibn Said (fondatore dell’attuale dinastia) svincola il Paese dall’impero. All’inizio del 1800 il sultanato arriva a controllare il Belucistan, ma gli Inglesi gradatamente lo occupano e lo trasformano in un protettorato fino al 1951, quando il sultano Said bin Taymur, padre di Qaboos bin Said, ne dichiara l’indipendenza.
L’Oman resta chiuso a qualsiasi influenza esterna, modesto estrattore di petrolio, non tollera modernizzazioni tecnologiche o confronti politici. Contestazioni interne vengono represse ma la situazione, diventata insostenibile, porta Qaboos a detronizzare il padre ed esiliarlo a Londra, dove morirà nel 1972.
Qaboos bin Said al Said (nella foto accanto) era nato nel novembre 1940, cresciuto con un’educazione internazionale, era tornato a 20 anni in patria per essere educato all’islam e alla storia della sua dinastia. A 39 anni, il 23 luglio 1970, la svolta e la decisione di prendere il posto del padre. Qaboos opta per un cambiamento radicale: unificazione totale della regione dell’Oman con quella di Mascate, fino a quel momento solo federate, allontanamento delle bande di miliziani comunisti che combattevano nella regione del Dhofar - costrette manu militari a passare il confine con il vicino Yemen -, apertura di relazioni diplomatiche con tutto il mondo arabo ma anche occidentale, avvio di un progetto sanitario che ha portato l’Oms a riconoscere la sanità omanita come la migliore di tutto il Medio Oriente, introduzione di un sistema scolastico obbligatorio per tutti, costruzione di una rete di strade e autostrade che passa dai 10 km del 1970 agli attuali 15.000 km e collega le principali città del Paese, tre aeroporti internazionali, un intenso programma di sviluppo del turismo.
L’ex sultano era un grande amante della musica tanto che a Mascate aveva fatto costruire un Teatro dell’Opera, unico fra tutti i Paesi del Golfo, con annessa scuola e ampi spazi per concerti anche all’aperto. L’orchestra di Mascate ha suonato in tutto il mondo ma non in Arabia Saudita perché… ha alcune orchestrali donne!
L’estrazione del petrolio fino al 1970 era in mano al Petroleum Development Oman che aveva un 85% danese, un 10% francese e un 5% della Petrex (sudamericana). Nel 1974 il Sultanato acquisisce il 60% della compagnia e oggi esporta 700.000 barili al giorno.
La sua forza: unione di modernità e tradizione, tecnologia, economia dinamica (un rial omanita vale circa due euro), ma allo stesso tempo grande rispetto per la religione. La frequenza regolare in moschea si aggira sul 90% e nella sola Mascate ci sono più di mille moschee su cui troneggia la Grande Moschea, inaugurata nel 2001, dono personale del sultano al suo popolo, tutta marmo e cristalli di Swarovski, fiori e piante, aria condizionata all’interno.
Il sultano aveva lanciato un grande progetto di incremento delle infrastrutture con una particolare attenzione ai porti. Il porto di Mascate sarà riservato alle navi da turismo mentre è previsto un ampliamento del porto di Salalah, al sud; e Al-Duqm diventerà invece il porto con il più profondo bacino di ancoraggio del Medio Oriente, adatto alle superpetroliere.
Ma in fondo qualche problema c’è anche in Oman. Primo di tutti lo sviluppo economico eccessivamente basato sul petrolio, anche se si mantiene indipendente essendo l’unico Paese produttore che non fa parte dell’Opec. Ultimamente si sono cercate altre fonti ed è stato implementato il turismo grazie a coste suggestive dove spiagge sabbiose si alternano a formazioni rocciose ricche di barriere coralline, deserto a pochi chilometri e meravigliose oasi all’interno. Consapevole dell’importanza del patrimonio naturale, il sultano aveva introdotto norme severe per la protezione dell’ambiente senza aspettare i suggerimenti di Greta Thunberg. Una curiosità: le coste dell’Oman sono preziose per la sopravvivenza delle tartarughe verdi. Le spiagge locali sono una delle poche riserve al mondo in cui questo animale nidifica e quindi, quando le uova si schiudono, sono rigorosamente vietate al turista.
Altra nota dolente, la popolazione: quattro milioni di abitanti su una superficie pressoché identica a quella dell’Italia, e con un milione di immigrati provenienti da India, Pakistan, Filippine, Bangladesh, etc... Dal 2000 il Governo ha introdotto un processo di “omanizzazione”: norme severe impongono alle aziende di avere la maggioranza dei dipendenti omaniti. Tuttavia, rispetto agli altri Paesi del Golfo, i lavoratori stranieri hanno un trattamento decisamente migliore, mantengono il loro passaporto e ogni due anni il governo paga un viaggio di rientro in patria per un mese. Comunque, un Paese che ha un lavoratore su quattro straniero vede crescere al proprio interno problemi di larga portata.
Anche l’imprenditoria ha qualche crepa perché registra una percentuale alta, forse troppo alta, di investitori stranieri. Capitali stranieri sono attirati in Oman anche dalla creazione di free zones, con agevolazioni finanziarie per gli investitori e sgravi doganali e fiscali. Nonostante questo si registra un notevole livello di correttezza nelle gare di appalto pubblico, tanto che l’Oman si colloca al 28° posto della graduatoria di Transparency International.
Sul piano religioso si respira una notevole apertura. L’islam è la religione ufficiale (55% ibaditi, 25% sunniti, gruppetti di sciiti), alcune regole devono essere rispettate: non si gira in città con pantaloncini corti o canottiere, gli alcolici sono vietati, nel mese di ramadan è proibito andare in giro mangiando e bevendo in luoghi pubblici, ma la pratica delle altre religioni è ampiamente permessa. Nel centro di Mascate ci sono due parrocchie cattoliche, altre due si trovano a Salalah e a Khassab, nella penisola di Musandam. Accanto alle chiese cattoliche ben più diffuse le chiese protestanti, per seguire i molti indiani e filippini residenti nel Paese, e fa capolino persino qualche nuova religione.
A Mascate il sultano aveva donato il terreno, fatto costruire le chiese cattoliche a proprie spese e donato alla parrocchia l’organo. I cristiani possono possedere e gestire scuole e costituire organizzazioni culturali e sociali.
Il futuro sarà ancora così? Forse sì perché l’attuale situazione è il frutto di un mix fra un sultano particolarmente lungimirante (e il suo successore, Haitham bin Tariq al Said, dopo aver prestato giuramento ha dichiarato di voler mantenere la rotta del predecessore) e un islam né sunnita né sciita bensì ibadita, seguito dalla maggioranza della popolazione, che permette al governo di restare lontano da ogni alleanza politica, culturale, religiosa con gli altri Paesi del Golfo, svolgendo così un ruolo di equilibrio e di moderazione.