Nuove ondate migratorie? Le invocano, ma non ci sono
Dopo l’offensiva delle truppe del generale libico Haftar, si sono moltiplicati in Italia gli allarmi per l’arrivo di possibili enormi flussi di migranti. Un allarmismo ad oggi ingiustificato, che proviene da chi lucra sul business dell’accoglienza o da chi vuole indebolire i successi fin qui conseguiti dalla Lega in tema di sicurezza e immigrazione.
Da quando ha preso il via l’offensiva delle truppe del generale Khalifa Haftar contro Tripoli si sono moltiplicati in Italia allarmi e allarmismi per i possibili enormi flussi di migranti diretti verso le nostre coste. Un allarme per il momento del tutto ingiustificato per il semplice fatto che tale emergenza non c’è, ma sul quale è sorto un dibattito scoraggiante in cui molti hanno evidenziato come i porti dovrebbero venire riaperti perché si tratterebbe di profughi di guerra, ponendo così fine alle iniziative varate dal ministro Matteo Salvini. Una tesi sostenuta dal ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, poi anche da altri esponenti di M5S e del governo, oltre che ovviamente dalle opposizioni.
Tutti pronti a “tifare Haftar”, con obiettivi diversi. I pentastellati sperano di compromettere gli innegabili successi conseguiti in 10 mesi di governo dalla Lega di Salvini proprio sui temi dell’immigrazione e della sicurezza, per indebolirne l’immagine in vista di elezioni europee che potrebbero riservare amari risultati ai pentastellati.
Le opposizioni catto-sinistre sperano che la battaglia di Tripoli permetta di riaprire, con i porti, anche il lucroso business dell’accoglienza che ha favorito le lobby a loro vicine: un torrente di denaro inaridito dallo stop ai flussi e dal taglio drastico delle diarie per migrante imposti da Salvini. Ad accendere la miccia ha provveduto il premier di Tripoli, Fayez al-Sarraj, che ha parlato del rischio che 800.000 africani che si trovano in Libia si riversino verso l’Italia. Una “sparata” comprensibile poiché al-Sarraj ha bisogno ora più che mai del sostegno dell’Italia, unico Stato europeo davvero al suo fianco pur mantenendo ottime relazioni anche con Haftar.
Eppure, consapevolmente o meno, in molti hanno “abboccato” rilasciando dichiarazioni che sembrano veri e propri incoraggiamenti a salpare. Il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, pur rilevando che per ora non si riscontrano flussi migratori, ha dichiarato il 26 aprile che “se ci sono dei rifugiati e dei profughi abbiamo il dovere di accoglierli, e le cifre che sono uscite mostrano che l’Italia non si è mai tirata indietro sul dovere di accogliere chi cerca rifugio. Dobbiamo però come Italia in Europa e come Unione europea governare meglio il fenomeno migratorio più generale”.
Peccato che dall’Ue sia giunto un chiaro segnale che in caso di ondate di migranti dalla Libia non ci saranno condivisioni: insomma, saranno ancora una volta affari nostri. Il commissario Ue per l’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, ha sottolineato che “in questa fase non abbiamo alcuna indicazione di imminenti aumenti dei flussi dalla Libia, ma dobbiamo essere preparati. La priorità è garantire il trattamento umano e dignitoso di tutti i migranti, indipendentemente dal loro status”. Da un lato ha ammesso che “l’Unione europea non può ricevere tutti i migranti” ma dall’altro ha dichiarato che “non permettere lo sbarco non è una soluzione”. Quindi? Pare che con toni e sfumature diversi in molti ammettano tra le righe che l’accoglienza non si potrà negare ma dovrà essere assicurata solo da Roma!
In ogni caso l’Italia è pronta a fronteggiare un eventuale aggravamento della situazione, anche grazie al dispositivo dell’operazione “Mare Sicuro” che è attivo proprio per anticipare “ogni possibile riverbero della crisi”, come aveva detto il ministro Trenta il 17 aprile. Il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, ha affermato il 23 aprile che “non stanno aumentando le partenze dalla Libia nonostante la situazione che abbiamo tutti sotto gli occhi. Se dovesse capitare un aumento degli arrivi valuteremo la situazione ma è bene ribadire che noi non cambiamo politica sull'immigrazione clandestina”.
Lo stesso Moavero Milanesi ritiene inattendibile la cifra di 800.000 migranti pronti a partire dalla Libia. “Non ci risulta”, ha detto il ministro. “Noi non abbiamo notizie di questo tipo: è una cifra esorbitante rispetto ai numeri estremamente inferiori che ci risultano che sono nell’ordine di qualche migliaio”. Del resto, come hanno dimostrato in passato anche i dati diffusi dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) la gran parte degli africani si trovano in Libia per lavorare nel Paese. Infatti, durante la guerra del 2011, oltre un milione di lavoratori stranieri fuggì in Tunisia e solo qualche migliaio raggiunse l’Italia pagando i trafficanti. Quelli in Tunisia vennero tutti rimpatriati con un ponte aereo gestito dall’Onu, mentre quelli che illegalmente giunsero in Italia vennero accolti come rifugiati od ottennero altre forme di accoglienza. Questo gravissimo errore di Roma ha incoraggiato da allora l’immigrazione illegale verso l’Italia.
Inoltre, è possibile che molti libici possano lasciare il Paese nel caso di un inasprimento degli scontri a Tripoli; ma solitamente si rifugiano in Tunisia (perlopiù in hotel, non in campi profughi), dal momento che i cittadini libici venuti in Italia con i barconi sono davvero pochissimi.
Considerare rifugiato di guerra chiunque si imbarchi sui gommoni dei trafficanti in Libia costituisce inoltre un insulto al diritto internazionale. In tutti i conflitti, i cittadini stranieri sorpresi dagli scontri sono stati rimpatriati nei Paesi d’origine, e non autorizzati ad andare dove vogliono pagando criminali. Sarebbe davvero ridicolo immaginare che ondate di africani attraversino un Paese in guerra (la Libia) per raggiungere l’Italia e debbano poi ottenere lo status di rifugiati.
Sarebbe il caso di ricordare, anche nella valutazione dell’accoglienza accordata a così tanti clandestini negli ultimi anni, che chi fugge da guerre e persecuzioni ha diritto di lasciare il suo Paese e chiedere asilo oltre confine. Nessuna legge lo autorizza ad attraversare illegalmente una mezza dozzina di frontiere per andare dove preferisce senza documenti in regola e affidandosi a trafficanti.
Parlare poi di “guerra” a Tripoli, come fanno in molti in Italia, pare davvero eccessivo. In tre settimane di scontri i morti sono meno di 300 tra combattenti e civili, cioè meno di quanti sono stati uccisi con gli attentati di Pasqua nello Sri Lanka. Certo, 40.000 sfollati sembrano tanti, ma in una metropoli come Tripoli tale numero indica che gli scontri sono davvero di intensità limitata. Non si tratta di minimizzare la portata degli eventi libici ma di fotografare correttamente il peso militare che i due schieramenti sono in grado di mettere in campo e che ha determinato l’attuale impasse bellica.
Ancora qualche riflessione circa il rischio di nuove ondate migratorie. Innanzitutto la situazione di conflittualità non costituisce mai l’ambiente ideale per il lavoro dei trafficanti di esseri umani mentre l’efficienza della Guardia costiera libica sostenuta dalla Marina italiana sembra essere per ora garantita. Meglio poi non dimenticare che un’eventuale vittoria di Haftar, se non a Tripoli almeno nelle aree costiere tra la Tunisia e la capitale libica (quelle più interessate dal fenomeno della migrazione illegale), potrebbe non essere un disastro per l’Italia. Dalle coste controllate dagli uomini del generale, in Cirenaica e nel Golfo della Sirte, non salpano né gommoni né barconi di clandestini.
Per le tante ragioni elencate, sarebbe utile che in Italia tutti mantenessero il necessario sangue freddo, sostenendo all’unisono che i porti sono e resteranno chiusi e preparandosi a respingere coi fatti eventuali flussi illegali, invece di incoraggiarli con le parole.