Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
IGNORANZA O MALAFEDE?

Nuove bugie sulla Sindone che dimenticano la scienza

Tomaso Montanari sostiene sul settimanale de La Repubblica che la Sindone è un dipinto, ma l'esame con la fluorescenza ai raggi X non ha rilevato alcun pigmento di pittura: non manca solo il legante di pittura, manca anche il pigmento. Come si può, allora, dopo analisi chimiche accurate affermare che la Sindone fu dipinta? O si è scientificamente incompetenti, o si è in malafede.

Cultura 28_04_2020

Sembra impossibile, ma c’è ancora chi pensa che la Sindone sia un dipinto. E non lo pensa un qualsiasi povero sprovveduto, ma addirittura uno storico dell’arte, Tomaso Montanari, che lo scrive su Il Venerdì, il settimanale de La Repubblica, il 24 aprile scorso, a pag. 79.

La storia della Sindone dipinta è vecchia: risale addirittura a quarant’anni fa, quando la sostenne un chimico statunitense, Walter C. McCrone, sulla rivista scientifica The Microscope Journal.

McCrone ebbe la possibilità di esaminare al microscopio alcuni vetrini contenenti fibre tratte dalla Sindone e vi riscontrò la presenza di proteine, di ossido di ferro (che interpretò come ocra) e di solfuro di mercurio (cinabro). Ne trasse la conclusione che la Sindone è un dipinto, in cui l'artista avrebbe usato un collante formato da proteine animali sia per il pigmento di ossido di ferro con cui avrebbe realizzato l'immagine, sia per il miscuglio di cinabro e ossido di ferro con cui avrebbe dipinto il sangue. Il legante impiegato sarebbe poi ingiallito con il tempo.

Per stabilire la validità di un'ipotesi di pittura è necessaria l'identificazione di tali materiali, però non basta. Occorre anche dimostrare che essi sono presenti in quantità sufficiente e localizzati in zone tali da giustificare quanto appare all'occhio. Bisogna inoltre dimostrare che la loro presenza non si può spiegare più semplicemente con altri processi. E per di più, le conclusioni raggiunte devono essere in accordo con gli altri studi effettuati, specialmente, in questo caso, con le ricerche fisiche e l'analisi di immagine. Vediamo ora come queste condizioni non sussistano nel lavoro di McCrone.

Dall'esame degli stessi vetrini il biofisico John H. Heller e il biochimico Alan D. Adler hanno tratto conclusioni molto diverse che hanno pubblicato su un’altra  rivista scientifica, il Canadian Society of Forensic Sciences Journal. Essi hanno puntualizzato che per individuare le proteine McCrone usò il nero d'amido, che è un reagente generale e colora intensamente anche la cellulosa pura. Le reazioni ottenute da McCrone non erano dunque dovute a tracce di impurità proteiche nel lino, ma alla cellulosa stessa della stoffa che accettava la tinta. I suoi risultati non erano quindi affidabili.

Heller e Adler usarono reagenti molto più specifici, come la fluoroscamina e il verde di bromocresolo. In base ai risultati di queste e altre complesse analisi, poterono affermare con certezza che le macchie rosse sono costituite da sangue intero coagulato, con attorno aloni di siero dovuti alla retrazione del coagulo. Ciò testimonia che il sangue si è coagulato sulla pelle di una persona ferita e successivamente ha macchiato la stoffa quando il corpo fu avvolto nel lenzuolo; impossibile ottenere macchie simili nemmeno applicando sangue fresco con un pennello. Le proteine sono presenti solo nelle impronte sanguigne, mentre sono assolutamente assenti in tutte le altre zone, comprese quelle dell'immagine del corpo. Pertanto è impossibile sostenere che nell'immagine del corpo sia presente un legante proteico ingiallito.

Sulla Sindone esistono tre tipi di composti di ferro (ferro legato alla cellulosa, ferro legato all'emoglobina e ossido di ferro) che bisogna ben distinguere fra di loro. La maggior parte del ferro presente è nella forma legatasi alla cellulosa assieme al calcio durante il processo di macerazione del lino. Ovviamente il calcio e questo tipo di ferro si riscontrano uniformemente su tutto il lenzuolo.

Gli esami spettroscopici e ai raggi X hanno infatti mostrato una concentrazione uniforme del ferro nelle zone di immagine e di non-immagine; dunque non è il ferro che forma la figura del corpo. Una concentrazione di ferro più alta si osserva invece, come è logico, nelle aree delle impronte sanguigne, dove al ferro legato alla cellulosa, che è dappertutto, si somma quello legato all'emoglobina del sangue. Qui si riscontrano le particelle rosse non birifrangenti, costituite da materiale proteico (sangue), che contengono quindi il secondo tipo di ferro, quello legato all'emoglobina.

Il terzo tipo, infine, è l'ossido di ferro (Fe2O3) puro. Esso risulta dall’analisi delle particelle rosse birifrangenti, che hanno una duplice provenienza: derivano da sangue bruciato e si riscontrano nelle aree sanguigne strinate; provengono dall'accumulo dovuto alla migrazione di ferro ai margini delle macchie d'acqua. Questo ossido di ferro è una percentuale molto piccola ed è da sottolineare che non si trova ossido di ferro né sull'immagine né sulle macchie di sangue. Dunque non manca solo il legante di pittura, manca anche il pigmento! Come si può, allora, dopo analisi chimiche così accurate, continuare ad affermare che la Sindone fu dipinta? O si è scientificamente incompetenti, o si è in malafede.

Oltretutto, con una specifica analisi, si è osservato che l'ossido di ferro, in quei pochi punti dove è presente per le cause suddette, è estremamente puro e non contiene tracce di manganese, cobalto, nichel e alluminio al di sopra dell'1%. Queste tracce sono invece presenti nei pigmenti di pittura minerali. È stato trovato solo un cristallino di cinabro, che è da considerarsi un reperto accidentale. L'esame di tutta la Sindone con la fluorescenza ai raggi X non ha rilevato alcun pigmento di pittura, quindi nemmeno cinabro; questa sostanza non può essere responsabile della colorazione delle macchie rosse, peraltro certamente composte da sangue, semplicemente perché non è presente.

Bisogna considerare che molti artisti hanno copiato dal vero la Sindone, e quindi la presenza occasionale di pigmenti non è inaspettata; anche perché quasi sempre le copie venivano messe a contatto con l'originale per renderle più venerabili. Tutto questo si sa da quarant’anni. Anche la datazione radiocarbonica di trent’anni fa è stata già autorevolmente contestata in sede scientifica e definitivamente smentita l’anno scorso da un importante articolo pubblicato su Archaeometry.

Come fa allora Montanari a parlare della autenticità della Sindone come una fake news? Come fa ad affermare “l’incontestabile verità scientifica” che “la Sindone è un manufatto medioevale francese”? Evidentemente, non essendo un esperto della reliquia, si è incautamente rivolto a fonti inaffidabili che l’hanno ingannato con le loro – quelle sì – fake news di una presunta falsità condita dalla ridicola leggenda, confezionata ad hoc, del pio artista che crea la Sindone con fede. Lo zelante critico d’arte si affretta ad aggiungere che “non è certo un capolavoro”, ma allora, se non vuole cimentarsi lui nell’impresa, perché non trova qualcuno che sappia fare di meglio? Non aggiungo altro se non l’unica parola con la quale si può definire questo articolo di Montanari: ridicolo.