Nostra Signora, pure l'islam ti prega
In Marocco e nel Libano, in Egitto, Siria e Turchia... Sono numerosi in tutta la cerchia del Mediterraneo i santuari mariani frequentati dai musulmani...
È un fatto che molti musulmani, soprattutto donne, si soffermano davanti alle grotte innalzate nel mondo per onorare Maria oppure, passandovi accanto, volgono a lei il pensiero e la invocano. È questo un fatto comune ad esempio in Pakistan, dove la statua della Vergine Maria è completamente velata secondo la cultura locale, mentre il grande pellegrinaggio nazionale di settembre a Maryamabad («villaggio di Maria»), riunisce centomila e talvolta oltre duecentomila pellegrini, tra cui moltissimi sono musulmani.
La devozione islamica verso la Madonna si riscontra in modo evidente a chi visiti il Santuario di Nostra Signora del Libano sopra Beirut, ma essa è un fatto presente nel mondo intero e corrisponde all’eccezionalità della figura di Maryam secondo lo stesso Corano. Recentemente, cristiani e musulmani del Libano hanno proposto di proclamare il 25 marzo, festa dell’Annunciazione dell’arcangelo Gabriele a Maria, festa nazionale. L’idea è stata ufficialmente accolta dal primo ministro Saad Hariri, sunnita musulmano, e dichiarata, a partire dal 2010, ricorrenza festiva «nazionale islamo-cristiana». La nazione che più riscontra una tale realtà è la Siria. A 30 km a sud di Damasco esiste il santuario di Sednaya e si afferma che di tutto il Medio Oriente sia la località più visitata da pellegrini, dopo Gerusalemme.
Essa è considerata anzitutto il posto dove Noè piantò la prima vigna e spremette il primo vino dopo il diluvio universale. Ma soprattutto vi si venera un’immagine della Madonna, dipinta – si afferma – dallo stesso evangelista san Luca, attorno alla quale nel 594 fu costruito un santuario per volere dell’imperatore Giustiniano, dopo che ebbe una visione della Vergine mentre egli era a caccia. Il monastero è retto da ortodossi ed è frequentatissimo; molte sono le donne che ci vengono, anche perché è fede condivisa che chi passa una notte in preghiera in quel santuario otterrà di sicuro il dono della maternità. Non distante vi sono poi il santuario di Santa Tecla (Mar Taqla) e il monastero di San Sergio (Mar Sarkis) che ha inglobato nella chiesa anche un altare pagano.
Siamo nel villaggio di Maaloula, dove la gente parla ancora aramaico e tra le rocce di Kalamum sgorga un’acqua che si dice taumaturgica, luogo di pellegrinaggio di cristiani e musulmani. Anche al monastero di Deir-Mar-Musa (un gesuita italiano con il nome originario di Paolo Dell’Oglio) giungono molti musulmani, soprattutto donne, che si rivolgono all’icona della Santa Vergine con profonda devozione. Tra i luoghi più celebri si è aggiunto da oltre 25 anni il nome di Saoufanieh, che ha un particolare significato poiché unisce arabi, russi, ortodossi, cattolici e musulmani. Si tratta di un modesto quartiere, detto «dei cristiani», nella zona nord di Damasco, fuori dalle mura della città, presso la porta detta «di Tommaso».
Dal 27 novembre 1982 in una vecchia casa araba, abitata da Nicola e Myrna Nassour, lui ortodosso e lei cattolica, sposati da poco, si sono manifestate da un’immagine di «Nostra Signora del Kazan» (per sé russa... ma a Damasco si trovano molte autentiche icone russe anche sul mercato!) sudorazioni di olio che guarirono immediatamente la cognata e la madre di lei. Da allora le «emissioni continuano»; il Patriarcato ortodosso ne ha constatato la veridicità dopo aver fatto esaminare la natura dell’olio (d’oliva) e vi è un’affluenza di fedeli di ogni appartenenza religiosa, molti dei quali anche musulmani. Le motivazioni dei visitatori sono molteplici, ma lo scopo comune a tutti è lo stesso: pregare.
La preghiera a Soufanieh è rimasta fino a oggi sempre intensa, semplice e senza ricavo di offerte. Myrna che per prima raccolse quell’olio taumaturgico è stata autorizzata ad avere anche un sito web per informare i fedeli del mondo su quanto avviene a Soufanieh (o Suffaniyya). Dal 18 al 25 maggio di ogni anno musulmani e cristiani celebrano in Egitto la nascita di Maria e si recano a centinaia di migliaia (raggiungendo anche i due milioni) al santuario mariano sul monte Al-Tir (Samallut, provincia di Minya). Qui la «Sacra Famiglia» avrebbe soggiornato per tre notti durante l’esodo in Egitto che, secondo la tradizione musulmana, sarebbe durato 12 anni. Altri motivi di incontro sono le «apparizioni» di Maria nelle periferie del Cairo: la prima sarebbe stata «fotografata» presso la chiesa copta nel quartiere di Zaytun, il 2 aprile 1968; la seconda sarebbe stata vista, anzitutto, da due meccanici musulmani il 25 marzo 1986 e quindi da molti altri a Shoubra, sempre al Cairo.
Altro importante luogo di pellegrinaggio di ortodossi, cattolici e musulmani è, in Turchia, la casetta dove, secondo la tradizione, avrebbe passato gli ultimi anni di vita terrena la Madonna: nella montagna sopra Efeso, chiamata Meriem Ana. Là si recano continuamente anche musulmani (dicono che siano anche un milione in un anno), non tutti forse per pregare, ma certamente in ricordo e in omaggio a Maria, madre di Gesù. Un altro luogo dove si trovano donne in preghiera davanti alla statua di Maria è l’«altare sabaudo» a Nostra Signora del Rosario nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Istanbul (retta dai domenicani). Per quanto riguarda il Maghreb va notato che a Casablanca (Marocco) si incontrano molte donne musulmane davanti alla grotta di Nostra Signora di Lourdes al Rond-Point-d’Europe (parrocchia cattolica della città).
Migliaia e migliaia di pellegrini musulmani si recano al santuario di Nôtre Dame d’Afrique ad Algeri, noto tra loro spesso come «Madame l’Afrique». In Europa avviene altrettanto al santuario di Nostra Signora de la Garde sopra Marsiglia dove, soprattutto al mattino presto, si vedono molti musulmani, per non dimenticare Fatima, centro mondiale di pellegrinaggi, che ai musulmani ricorda anche il nome della figlia di Maometto. Certe comunità di immigrati albanesi in Italia (cristiani e musulmani) si riuniscano attorno alla Madonna del Buon Consiglio, la cui icona, come è noto, si trova a Genazzano (Roma), ma proviene dall’Albania.
tratto da "Avvenire", 15 febbraio 2011