Nord e Sud, un divario che il governo ormai ignora
La crisi finanziaria allarga ancora il divario fra Nord e Sud, che è sempre esistito. Lo constatano gli imprenditori di Assolombarda che chiedono, pragmaticamente, politiche differenziate per non affossare anche il Nord. Ma il governo procede nella direzione opposta. Considerando che anche la Lega ha mollato il Nord (anche nel nome).
Nonostante Lega e Cinque Stelle tentino di pescare indifferentemente voti sia al sud che al nord con l’idea di tenere unito il Paese senza eccessivi squilibri, la crisi finanziaria di questi mesi sembra riproporre l’immagine di un’Italia divisa in due, con una vasta platea di imprenditori del nord scontenti dell’attuale governo e una larga parte di cittadini del sud speranzosi nelle misure che esso ha annunciato di voler varare.
Bene ha fatto il Presidente di Assolombarda, Carlo Bonomi, a lanciare nei giorni scorsi il grido d’allarme sulla manovra finanziaria, che rischia di provocare l’apertura di una procedura di infrazione, da parte della Commissione europea, nei confronti del nostro Paese, e sulla “volontà del governo di affossare il nord”. «L’Italia – ha detto Bonomi - è fatta di territori diversi tra loro. Il nord ha sempre fatto da traino solidale per il Paese, ma si avverte sempre di più la necessità di politiche economiche differenziate». Dunque il pragmatismo degli imprenditori lombardi e di quelli del nord in generale sembra cozzare contro il cosiddetto contratto di governo. Si ricordino anche le recenti prese di posizione di quelli veneti nei confronti della Lega, accusata di aver sacrificato le loro ragioni sull’altare dell’alleanza con i Cinque Stelle.
Eppure Matteo Salvini, eliminando la parola “nord” dal simbolo del suo partito, sembra confermare questa accusa e anche quella, per certi aspetti collegata alla prima, di aver accantonato ogni ipotesi di riorganizzazione dello Stato in senso federalista, pur di fare il pieno di voti nel meridione e di consolidare (si fa per dire) il patto di governo con i pentastellati. Ma a quale prezzo? Stando alle parole del Presidente Assolombarda, col serio rischio di impoverire il Paese penalizzando le sue aree più sviluppate e competitive, pur di erogare il reddito di cittadinanza e altri sussidi e di potenziare la presenza dello Stato in economia, in nome di uno statalismo assistenzialista e parassitario. A riprova di quanto siano ancorate alla realtà le valutazioni e le osservazioni critiche di Assolombarda, si possono citare i dati della classifica diffusa in queste ore dall’Università La Sapienza di Roma relativi alla qualità della vita. Ai primi tre posti figurano altrettante città del nord-est (nell’ordine Bolzano, Trento e Belluno), mentre Roma sprofonda all’ottantacinquesimo posto, confermandosi una capitale degradata, a causa del traffico ingovernabile e dell’emergenza rifiuti. Risale, invece, Milano, nonostante i problemi di inquinamento tipici delle grandi città. Il dato più rilevante della ricerca è senza dubbio l’aumento del divario nord-sud, visto e considerato che le poche città del nord in calo perdono poche posizioni in classifica, mentre quelle del sud arretrano vistosamente.
I leader degli attuali partiti alleati di governo sono tornati nei giorni scorsi al nord per provare a riannodare i fili del dialogo con le categorie produttive e il mondo industriale. Ma più che le parole ci vorrebbero i fatti. I Cinque Stelle hanno scommesso sul reddito di cittadinanza, che rappresenta soprattutto al sud una speranza per milioni di persone in difficoltà. L’elettorato leghista è variegato e sembra spaccato in due, tra nord e centro-sud. In particolare quello settentrionale paventa il rischio che la locomotiva dell’economia più produttiva, cioè quella del nord, rallenti e non riesca più a trainare le aree di maggior disagio del resto del Paese. Se questa tendenza, anche a seguito delle scelte del governo Conte, si consolidasse, l’unità nazionale potrebbe essere messa seriamente in discussione.