Non voglio che sia madre
Una coppia di conviventi e il patto reciproco: niente figli, ma qualcosa non va secondo i "programmi"...
Marina, ti ho ancora dentro di me, anche se un po’ di tempo è passato.
Una coppia, Marina e Luca, lei di trentatre anni e lui di trentasette, mandati al nostro Centro di Aiuto alla Vita dalla segreteria per l’attuazione della legge 194 della Mangiagalli.
Entrano nella mia stanza (quante cose potrebbero raccontare quei muri se potessero parlare!), salutano con bel garbo, si siedono sul divano di fronte a me con una grande domanda inespressa negli occhi.
Si guardano: “Dai, parla tu!”
Così Marina inizia la sua storia di donna:
“Sono incinta di dieci settimane e ho altri due figli, Matteo e Riccardo di quattro e quasi due anni.
Noi non siamo sposati e viviamo insieme da circa sette anni.
Abbiamo una situazione economica piuttosto buona, visto che Luca ha un ottimo impiego e, a volte, anch’io faccio qualche lavoro.”
Ancora si guardano; sembra che per un’altra volta debbano decidere chi dei due voglia continuare.
Luca tace e Marina, allora, prosegue:
“Ho già fatto anche due interruzioni di gravidanza, la prima perché ero molto giovane e la seconda, tra Matteo e Riccardo, perché spinta da Luca.”
Finalmente Luca prende la parola per dire che sì, lui non vuole figli, neanche quelli che hanno già pur se, ora che ci sono, vuole loro bene e cerca di essere un buon padre.
Mi racconta che, con il più grandino, inventa giochi e tenta di coinvolgerlo in qualche attività sportiva.
“No, perché lei deve sapere che vivo con Marina per lei e non per dividerla con altri che assorbono tutte le sue attenzioni. E adesso è incinta di nuovo e io questo bambino non lo voglio, piuttosto me ne vado di casa.”
Questa volta sento io la grande domanda nella mia testa: perché persone di cultura, con una certa esperienza della vita, si ritrovano in queste condizioni?
Non sono le ragazzine inesperte e un po’ incoscienti che si mettono a giocare con la vita?
Immagino che Marina si renda conto della mia sorpresa e mi racconta dei modi diversi che usano per controllare la loro intimità e anche dei fallimenti di questi.
“Io pratico molte attività sportive – interviene Luca -, dal surf alle isole Maldive al parapendio in alta montagna e lo farei continuamente. Sì, ci sono tutti i miei amici, compagni di avventure, ma io voglio fare tutto ciò con lei.”
Marina piange silenziosamente, lasciando scivolare giù le lacrime e toccandosi la pancia; dice poi:
“Pensi, che per accontentarlo noi andiamo via almeno due fine-settimana al mese da soli.
Lasciamo i bambini con le nonne, pur sapendo che, così piccoli, può essere sbagliato.
Io sono sempre andata con lui, è vero, ma quando eravamo più giovani ed esisteva solo il divertimento.
Ora è diverso, lui può andare con i suoi amici e non è detto che questa situazione sarà definitiva, anzi, i bambini diventeranno più grandi e sarà bello fare le cose insieme.”
“Allora non vuoi proprio capire” insiste Luca “i figli non erano contemplati nella nostra storia e adesso tu vuoi che siano addirittura tre.
Non ce la faccio, non ce la faccio, perché non vuoi comprendere la mia posizione?”
La tensione nella stanza raggiunge livelli altissimi; Marina, prenotata per il giorno dopo per l’interruzione, piange sommessamente mentre Luca alza decisamente il tono di voce per affermare reiteratamente di essere stato imbrogliato.
“Qual è il suo lavoro, Luca?”
“Sono dirigente di una grande azienda e, se Marina non insistesse con il suo desiderio assurdo di procreare, potrei concentrarmi maggiormente e diventare probabilmente amministratore delegato.
Così, invece, ho sempre la testa che mi scoppia per queste sue manie di maternità; non è stata onesta, ci eravamo ripromessi entrambi di non volere figli e, ora, mi trovo incastrato tra doveri e richieste che non avevo mai messo nel conto.”
Marina alza il suo volto rigato di lacrime e, con grande sofferenza, mi dice:
“Lo sente? E poi insiste nel dirmi che mi vuole bene.
Ho cercato di fargli sentire tutto il mio dolore per i due aborti precedenti; non mi sento più io, faccio sogni orribili, ho ancora negli occhi il colore verdino della sala operatoria, mi chiedo spesso dove sono andati a finire quei poveri resti e a volte mi sento sopraffare da sensazioni negative.
Guardo i miei bambini nati e penso a quelli a cui non ho permesso di venire alla luce e, ora, mi si chiede di rivivere quell’esperienza.
Mi sento morire solo all’idea, è amore questo?”
Provo una pena infinita per quella donna che non si riconosce più; la sua tristezza mi cade addosso inevitabilmente.
Sento che entrambi vorrebbero delle risposte da me e, io, risposte non ne ho.
Salutandoti ti ho dato un bacio, Marina, chissà se ti ha scaldato un po’ il cuore?
Certo, l’aborto è un grande male, un male che tutti definiscono un Dramma ma che poi viene praticato con una certa leggerezza anche per i motivi più banali.
Spesso la sofferenza è, in particolar modo, della donna ma certamente queste grosse fatiche si riversano sulla coppia minando la relazione alle radici.
Cerco di far presente tutto ciò ma Luca mi rinfaccia:
“Ecco, adesso ho capito che cosa siamo venuti a fare qui; ma il mio star male a chi interessa?”
Decido di non spingermi oltre anche se vorrei confessargli che la vita di un bambino è qualcosa che travalica qualunque altro interesse e mi piacerebbe raccontargli le situazioni disperate di tante donne incontrate che, pur facendo una dannata fatica di vivere, a qualunque costo, afferrando al volo anche le minime possibilità offerte perché possano almeno sopravvivere, portano avanti la loro gravidanza.
Sembra che siamo arrivati al punto in cui ciascuno di noi si trovi a fare i conti con la propria impotenza:
“Luca – soggiungo – è inutile che finga; è vero, sono del parere di Marina ma ciò non vuol dire che il suo malessere mi lasci indifferente. Credo che non abbiamo più nulla da dirci, continueremmo a rigirare il coltello nelle piaghe di tutti, anche le mie. Perciò chiuderei qui il nostro colloquio; vi dico solo che io sono qui, e lo sono per entrambi.”